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Dalla coffa non arrivò risposta. Lo scudo argentato si rimpicciolì ancora.

«Voi, là sotto! Aumentate il ritmo!» ordinò Rool, ma si rendeva conto di chiedere troppo ai suoi uomini. «Siamo finiti» mormorò.

«Guardate!» urlò all’improvviso Benares.

Nel nero delle nuvole si era aperto uno squarcio. Una lama di luce tagliava l’oscurità. Aires iniziò a ridere, tanto che il timone quasi le sfuggì di mano.

«Remate più che potete» intimò Rool.

Tra i fulmini si intravide uno spicchio di cielo azzurro e subito dopo un pezzo di terra incorniciata di verde. Viste da quell’inferno, le isole sembravano terre paradisiache. La salvezza era lì, a portata di mano, ma la tempesta non accennava a diminuire. I fulmini e le onde si abbattevano incessanti sulla barriera.

«Resisti, Sennar! Manca poco!» urlava Aires con quanto fiato aveva in corpo, ma ormai la barriera lambiva la polena della nave e continuava a restringersi.

D’un tratto, la polena si frammentò in centinaia di schegge argentate e la figura scolpita nel legno della prua si trovò a fronteggiare la furia degli elementi. La nave iniziò a deviare, mentre la tempesta inghiottiva l’imbarcazione, un’asse dopo l’altra. Ormai buona parte della prua era in balia della burrasca e la barriera era sottile come un velo. La nave continuò a ruotare su se stessa, mutando rotta ogni volta. Dal ponte si alzarono urla, incitamenti confusi, ordini.

Di tutto quel baccano a Sennar non giungevano che suoni ovattati. Sentiva solo che le forze lo abbandonavano e che uno strano languore si impossessava di lui. Sono stanco. Sono tanto stanco . Desiderava soltanto lasciarsi andare, farsi cullare dal nulla che lo avvolgeva, ma qualcosa, in un angolo remoto della coscienza, lo spingeva a non desistere. Un ultimo flusso di energia lo percorse da capo a piedi. I muscoli si tesero allo spasimo, le mani si alzarono vibrando verso il cielo nero e la barriera tornò ad avvolgere tutto lo scafo. Poi chiuse gli occhi e scivolò nell’incoscienza.

Davanti alla nave si dispiegò un arcipelago tranquillo. A poppa, la macchia nera come la pece che aveva quasi inghiottito la Demone Nero si allontanò velocemente. L’equipaggio esplose in un boato di entusiasmo, Rool strinse la figlia tra le braccia, Benares si passò le mani tremanti sul viso. Erano salvi.

Aires si liberò dall’abbraccio del capitano e corse verso l’albero maestro. «Sennar! Sei stato grande, Sennar!» gridò al colmo della gioia.

Nessuna risposta.

«Sennar» chiamò ancora.

Sul ponte scese il silenzio.

«Ci avrà rimesso le penne» commentò Benares.

Aires si voltò di scatto. «Non dire idiozie!» sibilò, quindi dimenticò la stanchezza e prese ad arrampicarsi.

Quando si riaffacciò dalla coffa, gli occhi di tutti i pirati erano puntati su di lei.

«Non ci crederete mai» urlò Aires con un sorriso. «Dorme.»

5

Laio diventa scudiero.

Laio non riusciva ad appoggiare il piede e a Nihal la ferita alla spalla bruciava. Di rimettersi in cammino non se ne parlava proprio, così decisero di attendere le prime luci dell’alba. Si allontanarono il più possibile dal luogo dello scontro e si arrampicarono a fatica su un grande albero. Almeno lassù sarebbero stati al sicuro.

Laio studiò con occhio clinico la ferita dell’amica. «Posso disinfettarla, se vuoi» propose titubante.

Nihal gli rivolse uno sguardo interrogativo. «E come?»

«Ora ti faccio vedere.»

Tirò fuori dalla bisaccia che portava al fianco alcune foglie e iniziò a masticarle. Quindi si tolse il bolo di bocca e lo spalmò sulla spalla di Nihal. «È solo un graffio, ma almeno così non farà infezione. Per un po’ ho lavorato come sguattero in una locanda e la donna che la gestiva conosceva le proprietà delle erbe. Mi ha insegnato qualche segreto.»

Quando ebbe finito, Laio si appoggiò al tronco e chiuse gli occhi, esausto.

Nihal fece altrettanto, ma un pensiero le rimbalzava nella testa.

Prese in mano la spada e la guardò. Il drago scolpito da Livon si avvolgeva sinuoso intorno all’elsa. Sul cristallo nero, la testa dell’animale si stagliava come una stella nel buio della notte; era incisa in una gemma bianca, al cui interno brillavano migliaia di pagliuzze colorate.

La Lacrima.

Era così abituata a vederla che aveva smesso di considerarla altro che un ornamento. Come aveva potuto dimenticarsene?

Nihal ripensò a quando, a tredici anni, aveva deciso di imparare la magia e aveva perseguitato Livon perché le presentasse un mago disposto ad accettarla come allieva. Livon da principio non ne aveva voluto sapere, ma era stata così insistente che alla fine lui aveva ceduto.

Era stato così che Nihal aveva scoperto di avere una zia. La sorella di suo padre si chiamava Soana e viveva ai margini della Foresta; si era allontanata da Salazar perché gli informatori del Tiranno non venissero a sapere che era un membro del Consiglio dei Maghi.

Soana l’aveva accolta senza chiederle nulla, se non di superare una prova: Nihal avrebbe dovuto passare due giorni e due notti da sola nella Foresta e dimostrare di essere stata accettata dagli spiriti della natura.

Là Nihal aveva incontrato per la prima volta una comunità di folletti. Era stato Phos, il loro capo, a darle quella pietra. «È una specie di catalizzatore naturale» le aveva detto. «Potenzia e aumenta la durata delle magie. Ho pensato che fosse un bel regalo da farti, per quando sarai maga.»

Nihal si ricosse dai ricordi.

Maga... Non sono mai diventata una maga.

Ma allora che cosa è successo prima? Da dove sono arrivati quello scudo trasparente e quell’esplosione?

Si ripromise di indagare. Poi la stanchezza ebbe la meglio e lei scivolò in un sonno profondo e senza sogni.

Il viaggio di ritorno alla base fu privo di sorprese. Non incontrarono tracce dei soldati del Tiranno, tuttavia si mossero con circospezione. Laio zoppicava, ma non si lamentò mai. Arrivarono con un giorno di ritardo sulla data prevista. Quando vide che Nihal non era sola, la sentinella ebbe un attimo di esitazione.

«Garantisco io per lui» la anticipò Nihal. «È un mio vecchio compagno d’armi.»

La notizia si diffuse per il campo più rapida della folgore.

«È tornata accompagnata...»

«Un ragazzo, più piccolo di lei...»

«Sarà l’amante...»

«Macché amante! L’hai visto? Uno così Nihal se lo mangia a colazione...»

«Ho sentito dire che è suo fratello...»

«Come no. Lei con i capelli blu e le orecchie a punta, lui biondo e paffuto. Due gocce d’acqua...»

Nihal tirò dritta fino alla capanna di Ido. Laio la seguì, a disagio. Dovunque girasse lo sguardo, c’erano occhi curiosi che lo fissavano.

«Ma cos’hanno da guardare?» sussurrò all’amica.

Nihal alzò le spalle. «Ignorali.»

Ido la aspettava sulla soglia. «Che cosa è successo? Sei tutta intera?» chiese, mentre le andava incontro.

«Tutto a posto. La ferita è una sciocchezza» rispose lei, ma lo gnomo aveva già puntato gli occhi su Laio.

Il ragazzo abbassò la testa e arrossì fino alla radice dei capelli.

Laio fu spedito in infermeria a farsi controllare il piede e Nihal restò sola con Ido.

Lo gnomo le porse in malo modo una sedia. «Che cos’è questa storia? Da dove salta fuori quel bamboccio?»

«Aspetta, Ido. Lascia che ti spieghi. Era con me all’Accademia.»

Nihal raccontò tutto d’un fiato della loro amicizia. Sapeva che alla prima pausa Ido sarebbe esploso. Dalla sua pipa le nuvole di fumo si facevano sempre più nervose e frequenti.

Poi arrivò al punto cruciale del discorso. Forza, diglielo. È inutile che meni il can per l’aia. «Insomma, vuole fare lo scudiero, ma è evidente che suo padre non glielo permetterà mai. Lo devo aiutare, Ido. È stato l’unico a restarmi vicino quando ero all’Accademia, è davvero un amico. Così ho pensato... che potresti prenderlo tu come scudiero. È una buona idea, non trovi?»