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Il bibliotecario però non era diretto a quella sezione, bensì a quella successiva, dove si trovavano libri rilegati in cuoio scuro con pesanti borchie di metallo, ma dall’aspetto assai più innocuo degli altri. L’uomo prese un volume in fondo allo scaffale, accanto alla sezione protetta dalle grate, e lo porse a Nihal con malagrazia. «Qui dovrebbe esserci tutto quello che cercate.»

Nihal lesse il titolo. Annali della lotta al Tiranno.

Incuriosita, tornò al tavolo e si immerse nella lettura. Era una raccolta di tutti i frammenti degli Annali del Consiglio dei Maghi che parlavano della lotta al Tiranno.

La storia cominciava cinque anni dopo lo scioglimento del Consiglio dei Re e dei Maghi. Tanto c’era voluto perché il Consiglio dei Maghi riuscisse a riorganizzarsi.

Nihal spulciò il volume finché non si imbatté nella parola “mezzelfo”. Il suo cuore quasi cessò di battere. In un tono distaccato e burocratico, molti frammenti raccontavano della distruzione di Seferdi, la capitale della Terra dei Giorni “rasa al suolo in una sola notte”, e dell’odissea del suo popolo. Nihal lesse dei villaggi di profughi distrutti dai fammin, della difesa disperata dei suoi simili, del susseguirsi di stragi e uccisioni. Non riusciva a staccare gli occhi da quelle parole. All’improvviso la pagina prese vita. Dai segni neri vergati sulla pergamena emersero figure umane, fammin, mezzelfi. E poi corpi riversi a terra, arti mozzati, sangue. Nella sua mente si levarono grida di disperazione e infine il canto feroce dei guerrieri.

No!

Nihal spinse indietro la sedia e si allontanò dal tavolo. Respirava affannosamente. Cercò di scacciare quelle immagini di morte, così simili ai suoi sogni. Chiuse gli occhi. Pensò alla base, a Laio, a Sennar, alla sua nuova vita.

Quando fu più calma, si riavvicinò al libro e sfogliò rapidamente le parti dedicate ai suoi simili. Ancora guerre, ancora stragi. Poi, alcune pagine scritte con una calligrafia diversa. Nihal riprese a leggere.

Oggi, decimo giorno del quarto mese, anno settantesimo dal Tempo di Nammen, è caduto nelle nostre mani un terribile nemico.

Finalmente trovò notizie di Megisto.

Per anni era stato al fianco del Tiranno, che lo aveva reso un mago potente. Non disdegnava l’uso della spada, in cui era assai abile, e aveva fatto della Terra dei Giorni il suo regno. Da lì sferrava terribili attacchi alla Terra del Sole e lottava in prima linea insieme ai suoi uomini. Sembrava assetato di sangue. Alcuni credevano fosse immortale.

A Nihal ricordò la descrizione che Sennar aveva fatto di Dola, il terribile guerriero che aveva messo a ferro e fuoco la Terra del Vento.

Dopo aver seminato il terrore nella Terra dei Giorni, Megisto si era spostato nella Terra dell’Acqua e si era accanito sul popolo delle ninfe.

Era stata la sua stessa crudeltà a condannarlo: affamato di morte, si era spinto con un piccolo contingente nella parte più interna e rigogliosa della Terra dell’Acqua, una zona di cui non esistevano mappe e dove nessun essere umano aveva mai pensato di insediarsi. Quei boschi erano il regno incontrastato delle ninfe ed era impossibile orientarsi senza la loro collaborazione. Là Megisto era stato accerchiato da un distaccamento dell’esercito delle Terre libere. Aveva combattuto a lungo e ucciso non pochi nemici. A renderlo inoffensivo non furono i soldati né i Cavalieri di Drago. Furono le ninfe. Memori dei lutti che quell’uomo aveva inflitto al loro popolo, tutte le ninfe della Terra dell’Acqua erano accorse sul luogo dello scontro e avevano lanciato uno dei loro incantesimi più potenti: il bosco si era chiuso su Megisto come una morsa verde e lo aveva imprigionato tra viluppi di rami, fronde e rampicanti.

L’uomo era stato condotto a Makrat e sottoposto a giudizio dal Consiglio dei Maghi, ma il frammento relativo alla sua condanna era incompleto. Riportava solo alcuni stralci della requisitoria di Dagon, il Membro Anziano del Consiglio.

Molto sangue è stato versato in questi anni, aggiungere quello di quest’uomo non ristabilirà la giustizia. Propongo dunque che venga imposto (...) giacerà in eterno nella Terra su cui tanto ha infierito (...) Che rifletta su quanto ha fatto nella solitudine della sua prigionia e che gli anni possano portargli saggezza e pentimento.

«Allora è vivo» mormorò Nihal. Era incredibile. C’era un nemico così potente imprigionato nella Terra dell’Acqua.

Il tocco di una mano la riscosse dai suoi pensieri. Di fianco al tavolo si erano materializzati Laio e il bibliotecario. Era ora di andarsene.

Durante tutto il tragitto di ritorno, Ido si lamentò e ripeté che la riunione era stata una scocciatura. Nihal, ancora preda dei dubbi sulla Lacrima, lo ascoltava distrattamente e Laio, carico com’era delle boccette e delle erbe che aveva comprato al mercato, era troppo impegnato a cercare di non cadere da cavallo.

Quando arrivarono, la base era tranquilla come sempre. Nulla sembrava essere cambiato durante la loro breve assenza. Non fecero però in tempo a oltrepassare il cancello, che una sentinella li chiamò. «Fermatevi! C’è un messaggio per lo scudiero.»

Laio, incredulo, prese il rotolo che la guardia gli porgeva. Quando vide il sigillo impresso sulla pergamena, impallidì e si lasciò sfuggire un gemito.

«Che cosa succede?» chiese Nihal.

«Mio padre» rispose il ragazzo con un filo di voce.

7

Le vanerie.

Sennar percepiva solo la morbidezza delle coltri. Era come essere avvolti nella bambagia e quel tepore gli ricordò la sua infanzia. Socchiuse gli occhi. Si aspettava di vedere sua madre china su di lui, pronta a svegliarlo con un bacio sulla fronte, come faceva quando era piccolo. Ma l’immagine che si insinuò tra le sue ciglia fu ben diversa: una profonda scollatura, l’incavo di un seno bianco come il latte e un paio di occhi scuri.

Il mago si svegliò del tutto con un sobbalzo e si alzò a sedere.

«Era ora» disse Aires con un sorriso.

Mentre lei andava a scostare le tende, Sennar si rese conto di trovarsi niente meno che nella cabina del capitano.

«Due giorni interi a dormire.» Tornò verso di lui e si sedette sul letto. «Non ti vergogni?»

Sennar si stropicciò gli occhi. «Dove siamo?» chiese con voce roca.

Aires si esibì in un inchino. «Benvenuto alle Vanerie, signor mago.»

«Le Vanerie?» ripeté Sennar confuso.

«Sì, le isole sconosciute segnate sulla mappa. Gli abitanti le chiamano così. Sono in tutto quattro; una più grande abitata, che per inciso è quella in cui ci troviamo, e tre isolotti che sono poco più di meri scogli. Dovresti vedere come ci guardano. Non hanno mai incontrato gente del Mondo Emerso, siamo i primi» disse Aires con orgoglio.

Sennar si lasciò ricadere sul cuscino.

«A pezzi, eh?» Lei ridacchiò.

Sennar annuì. «È sempre così quando un mago compie una magia molto faticosa.»

«Ci hai fatto spaventare, sai? Quando sono salita in coffa eri bianco come un cadavere. Poi ho capito che dormivi e mi è quasi venuta voglia di prenderti a schiaffi.»

«Proprio quello che mi mancava...» Sennar sospirò.

Aires gli scostò i capelli dal viso. Ora aveva uno sguardo serio. «Devo ringraziarti. Tutti dobbiamo ringraziarti. Se non fosse stato per te saremmo morti, Sennar. Certo, se non fosse stato per te non saremmo neanche partiti...»

Il mago si accorse di essere arrossito.

«Ora pensa solo a riposarti» disse Aires mentre si alzava. «La nave è piuttosto malconcia, ci vorrà qualche giorno per ripararla. Poi faremo il punto della situazione.» Quando fu sulla porta, però, si fermò e tornò indietro. «Ah, dimenticavo» disse, con uno strano sorriso stampato sul volto. «È bella?»