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Sennar rimase spiazzato. «Chi?»

«Non fare il finto tonto.»

«Non capisco cosa intendi» balbettò lui.

Aires scoppiò a ridere. «Mago e bugiardo! Per due giorni hai ripetuto sempre lo stesso nome. Allora, chi è questa Nihal?»

Sennar ebbe un tuffo al cuore.

«Avanti, non farti pregare» insistette Aires. «Se un uomo chiama una donna nel sonno, vuol dire solo una cosa: che ne è innamorato.»

Sennar era sempre più imbarazzato. «Io... cioè, non è...»

Lei si risedette sulla sponda del letto e lo guardò maliziosa. «Guarda che non sono mica gelosa.»

«È un’amica» capitolò Sennar.

Aires sollevò un sopracciglio. «Amica come?»

«Amica e basta» rispose lui in un tono che voleva essere neutro.

Aires non si lasciò ingannare «Sbaglio o in quel “e basta” c’è una punta di rammarico?»

«È un’amica d’infanzia» sbottò Sennar. «Abbiamo avuto la stessa maestra di magia. Tutto qui.»

«È una maga?»

«No. Sta per diventare Cavaliere di Drago.»

«Un Cavaliere donna» disse Aires interessata. «Mi piace questa ragazza. Ed è bella?»

Sennar abbassò lo sguardo. «Non so. Credo che sia bella. Sì, è bella. Possiamo finirla con questo interrogatorio, ora?»

Aires non gli diede retta. «E lei ti ama? Perché è evidente che tu la ami.»

Sennar alzò gli occhi al cielo. «Aires, ti prego...»

«Allora?»

«No, non mi ama. Ama un altro, un Cavaliere morto in battaglia. Contenta?»

«Un morto non è granché come rivale in amore» rispose Aires ironica. «Sai qual è il tuo problema, Sennar? Che ti sottovaluti.» Quindi si alzò e gli diede un buffetto sulla guancia. «Pensaci.»

Nei giorni seguenti, la cabina del capitano fu meta di pellegrinaggio. Un pirata dopo l’altro, tutta la ciurma andò a far visita a Sennar per ringraziarlo di persona. Il più prodigo di attenzioni e complimenti fu Dodi, che ormai lo considerava il suo eroe. Gli portava pranzo e cena a letto, lo guardava con occhi adoranti, lo serviva come un signore.

L’unico che non si fece vedere fu Benares. Dodi disse che aveva fatto più di una sfuriata ad Aires, ma Sennar non ci badò. Aveva superato una tempesta terribile, poteva tener testa a un fidanzato geloso.

Quando si sentì più in forze, il mago decise che era ora di riprendere quel che aveva interrotto. Si alzò e si affacciò sul ponte. Le Vanerie lo aspettavano.

L’isola dove avevano attraccato era ammantata da foreste rigogliose. C’era un unico grande villaggio, abbarbicato sulle pendici del vulcano spento che si ergeva al centro dell’isola. Sennar aveva viaggiato molto, ma non aveva mai visto un luogo simile. Al centro dell’abitato c’era una torre che assomigliava a quelle della Terra del Vento, mentre il palazzo del governatore era massiccio e decorato come si usava nella Terra del Sole. Una parte del villaggio, inoltre, si allungava fino a un piccolo lago, dal quale spuntavano le stesse palafitte dei paesi della Terra dell’Acqua. Verso la cima del vulcano, invece, si apriva una serie di costruzioni scavate nella roccia.

Nel complesso il villaggio sembrava un mosaico, eppure aveva una sua grazia. Girare per le sue stradine era come fare un rapidissimo viaggio attraverso il Mondo Emerso. La popolazione era eterogenea quanto le abitazioni, le razze più svariate convivevano senza alcun problema. L’equilibrio raggiunto dalle varie etnie pareva perfetto e imperturbabile.

Sennar era in cerca di notizie. Aveva bisogno di tutto l’aiuto possibile per terminare il suo viaggio.

Fu Rool a indirizzarlo verso una persona che potesse dargli le risposte che voleva. Lo portò in una locanda e l’oste indicò loro la casa di Moni, la donna più anziana delle Vanerie.

Sennar si aspettava una vecchietta decrepita e con la mente offuscata, invece si trovò di fronte una donna con la pelle dorata e liscia come quella di un bambino, e perfettamente in sé. Solo una larga striatura di capelli bianchi denunciava l’età avanzata.

La donna li fece accomodare a un tavolo all’ombra di un pergolato, sul retro della piccola casa di pietra. La sua espressione dolce piacque subito a Sennar.

«E così è questo il giovane che vuole morire» esordì Moni, mentre prendeva una mano di Sennar tra le proprie.

Parlava una lingua comprensibile al mago, ma con un accento che apparteneva al passato. Il modo in cui pronunciava le parole e il ritmo che imprimeva alle frasi ricordarono a Sennar le antiche ballate che i cantastorie intonavano nei giorni di festa. Era la lingua del Mondo Emerso, ma di due secoli prima.

«Io non voglio morire. Ho solo una missione da compiere» rispose Sennar imbarazzato.

La donna sorrise. «Lo so. Lo vedo. Il tuo cuore è limpido, giovane mago.»

«Come sai che sono un mago?»

La donna gli lasciò la mano. «Ho il dono della veggenza. O forse dovrei dire la condanna. Da che ho memoria, mi dischiude le porte del tempo e dello spazio, mi svela a suo piacimento brandelli del futuro e del passato.» Moni si sporse verso Sennar e lo guardò intensamente. «Quando arrivammo qui, trecento anni fa, i nostri occhi erano ancora pieni degli orrori a cui avevamo dovuto assistere. Ma ci guidava la speranza.»

«Eravate tra quelli che abbandonarono il Mondo Emerso?» chiese Sennar stupito.

«Noi siamo quelli che abbandonarono il Mondo Emerso. Sei giovane, non puoi sapere com’era in quegli anni: un inferno dove la brama di potere divorava le Terre. Noi eravamo ragazzi. La guerra prosciugava la nostra voglia di vivere, la nostra giovinezza. Il potere ci nauseava, non volevamo più combattere, non volevamo più vedere morire nessuno. Provenivamo da Terre diverse, ci dividevano la razza e la guerra, eppure ci univa un desiderio profondo: volevamo la pace. Eravamo convinti che il Mondo Emerso fosse destinato a sprofondare in un abisso di dolore e di morte. Desideravamo un altro mondo.» La donna si interruppe e Sennar annuì, pensieroso. «Lasciammo le nostre Terre, i nostri affetti, e attraversammo il Mondo Emerso squassato dalla guerra. Fu un viaggio terribile, molti di noi morirono lungo la strada, ma ci spronava la certezza che esistesse un mondo migliore e che noi potessimo abitarlo. Poi raggiungemmo la Terra del Mare e partimmo verso l’ignoto.»

Moni fece una lunga pausa. Nei suoi occhi, grigi come la pietra della casa in cui viveva, brillavano pagliuzze dorate. Sennar e Rool attesero in silenzio che ricominciasse.

«Le navi erano piccole, le provviste poche. Non sapevamo se davvero vi fosse qualcosa al di là dell’oceano, se avremmo trovato una terra da abitare, ma partimmo ugualmente. Per arrivare fin qui, voi avete rischiato la vita. Per noi non fu così, il mare ci accolse paterno e si mantenne calmo per tutto il tragitto. Ma passammo comunque momenti difficili. Chissà, forse gli dèi ci misero alla prova per vedere se il nostro spirito era abbastanza saldo, se eravamo degni di costruire il mondo nuovo. Quando giungemmo qui, eravamo allo stremo delle forze. Le isole ci parvero meravigliose, la natura sembrava invitarci a restare. Ci fermammo e iniziammo una nuova vita. Per molti anni vivemmo tranquilli, costruimmo la nostra città, crescemmo i nostri figli e coltivammo i nostri sogni. Poi iniziarono ad arrivare le navi.»

«Le navi?» ripeté Sennar.

«Sì. Navi armate, piene di uomini avidi e violenti, intenzionati a rubarci ciò che avevamo costruito con tanta fatica. Ci difendemmo. Combattemmo duramente. Sporcammo di sangue le nostre mani. Rivivemmo ciò da cui eravamo fuggiti. Fu allora che creammo la tempesta.»

«Allora avevi ragione, era opera di un mago» bisbigliò Rool a Sennar.

«Esatto, capitano. Un mago potente ci aiutò a proteggerci dai possibili invasori. Ci aiutò a non riprendere le armi.» Moni chiuse gli occhi, come se quel ricordo fosse troppo doloroso. «Ma ormai l’odio si era insinuato tra di noi. In molti dissero che queste isole non bastavano più, che bisognava creare un impero lontano dagli occhi famelici del Mondo Emerso. Un impero con un esercito, in grado di difendersi. Così nacque il regno che voi chiamate Mondo Sommerso.»