«Ritirate le vele, maledizione!» gridò Rool. «E chiamatemi il mago.»
A bordo tutto parve fermarsi. L’intero equipaggio era affacciato alle murate, gli occhi fissi su quel magma bluastro.
«Che cos’è?» chiese Rool, quando Sennar lo ebbe raggiunto.
«Non lo so, capitano» mormorò lui.
«Pensaci! Dev’essere una diavoleria magica.»
Sennar scosse la testa. «Nessuna magia può creare una cosa del genere» rispose calmo.
«Che facciamo?»
Se anche Sennar avesse avuto la risposta, non avrebbe avuto il tempo di darla. All’improvviso la nave cominciò a muoversi da sola. Un mormorio percorse la ciurma. Uno strattone in avanti, poi un altro. Nonostante le vele ammainate, la nave accelerò come se avesse il vento in poppa. Il mare si trasformò in un’unica massa viscida e pulsante.
Sotto la chiglia, la melma aveva preso consistenza e ora si mostrava per ciò che era: una pelle coriacea.
Sennar ricordò le parole di Moni: un guardiano oscuro sulla rotta del gorgo. E capì. Un mostro marino. Aveva letto qualcosa in proposito, ma aveva sempre creduto che si trattasse di leggende: strane creature che popolavano gli abissi, esseri immani che attaccavano le navi. Si erano imbattuti in una di quelle bestie. Forse un mago del Mondo Sommerso l’aveva vincolata alla protezione del regno con qualche incantesimo.
Il mostro, o almeno una parte di esso, si manifestò in tutto il suo orrore. Era una massa informe grande quattro volte la nave, diversa da qualunque essere vivente avessero mai visto: un’immensa coltre di carne circolare, al centro della quale si apriva una voragine putrescente. Stavano navigando sul suo corpo e ovunque volgessero lo sguardo non vedevano altro.
Intorno alle fauci della creatura, il viola del corpo virava al nero: una bocca enorme, irta di denti, dalla quale si levavano miasmi di putrefazione. Al suo interno si intravedevano pesci semidigeriti, tronchi d’albero, resti di imbarcazioni. E poi cadaveri e teschi, umani e non, trascinati fin lì dalla corrente. Ecco la fine di chi naufragava durante la tempesta che proteggeva le Vanerie.
Non esistevano più né mare né onde. Non c’era via di fuga.
Un mugghiare cupo invase l’aria e giganteschi tentacoli coperti di ventose si alzarono e si contorsero contro il cielo. Per un istante sembrarono oscurare il sole, poi si abbatterono sulla nave.
Fu il panico. Un alberò si spezzò e crollò fragorosamente sul ponte. I lamenti dei pirati travolti si aggiunsero ai comandi di Rool, alle urla di terrore di Aires, agli incitamenti di Benares.
«Fai qualcosa! Fai qualcosa!» gridò Dodi a Sennar.
Sennar non era meno spaventato degli altri. Cercava di ragionare, ma il filo dei suoi pensieri gli sfuggiva di continuo. Tutto quello che riusciva a fare era erigere la sua barriera a ogni colpo.
L’imbarcazione filava ormai a una velocità innaturale. Sotto la pelle coriacea e viola cupo del mostro, le contrazioni dei muscoli erano sempre più potenti e ravvicinate.
A mano a mano che la nave correva verso la gola del mostro, il mugolio affamato della creatura aumentava di volume. Era un suono spaventoso e raccapricciante, che si univa alle grida dell’equipaggio in una melodia grottesca.
Sennar era attaccato all’albero maestro. Si imponeva di restare calmo, ma senza successo. Il suo cuore sembrava impazzito. Cercò il capitano e sua figlia, ma invano.
Benares gli si parò davanti all’improvviso. «Datti una mossa, mago!»
Sennar lo guardò stralunato. «Non so cosa fare.»
Il ceffone lo centrò in pieno volto. «Allora inventa qualcosa!» gli gridò in faccia il pirata. Poi lo agguantò per i capelli e lo trascinò a prua. «È per questo che siamo venuti fin qua? Per riempire la pancia di questo mostro? Dove sono ora tutte le tue belle chiacchiere?»
«Io...»
Benares era fuori di sé. «Sta’ zitto! Dimostrami che sei pronto a tutto pur di portare a termine la tua missione.»
Sennar annuì. Ha ragione lui. Non può finire così.
«Allora?» urlò Benares. «Che cosa hai intenzione di fare?»
Sennar prese coscienza dell’unica soluzione possibile. Non pensare a quello che potrebbe succedere. Non pensare a niente. Fallo e basta. «Ho bisogno del tuo aiuto, Benares.»
«D’accordo, ma vediamo di sbrigarci» rispose il pirata.
All’inizio fu impercettibile. La nave si alzò piano, come tirata da gomene invisibili. Poi la chiglia si staccò di poche braccia dalla pelle del mostro, insicura, finché con un strattone non si sollevò del tutto. Il pennone puntò verso il cielo e la nave salì sempre più rapida, le vele stranamente rigonfie verso il basso. Sotto di lei, il mostro si contraeva in maniera convulsa alla ricerca della preda.
«Stiamo volando» mormorò stupefatto Dodi, mentre i pirati si sporgevano dalle murate per guardare quel prodigio.
A prua, Sennar era affacciato oltre il parapetto, gli occhi serrati, e gridava parole incomprensibili. Al suo fianco, Benares lo guidava nella giusta direzione. Sotto di loro, il demone scolpito nel legno sembrava irridere le fauci della bestia, che si aprivano e si richiudevano spasmodicamente.
Sennar strinse i pugni e si sforzò di proseguire. Era l’incantesimo più faticoso che avesse mai fatto. Aveva il corpo contratto dallo sforzo e il dolore invadeva ogni singola fibra dei suoi muscoli.
La chiglia cozzò un paio di volte sulla superficie coriacea.
«Concentrati! Stiamo calando di quota» ringhiò Benares.
La nave accelerò di colpo e fece perdere l’equilibrio all’equipaggio. Lo scafo riprese a sollevarsi poco alla volta, finché non si alzò di nuovo.
«Issare le vele!» gridò allora Benares. «Issare le vele, subito!»
La nave continuava a volare a poche braccia dal mostro, cercando una via d’uscita tra la selva dei tentacoli.
Il mago era allo stremo delle forze, non avrebbe retto ancora a lungo; era come se le sue energie venissero risucchiate fuori a una velocità vertiginosa. Accennò a cadere, ma Benares lo sorresse. «Forza! Ti tengo io, tu pensa a farci volare.»
Sennar sentì solo le braccia del pirata strette intorno al petto e la sua voce che urlava: «Ciurma! Mano agli arpioni!». Guidato da Rool, l’equipaggio riprese coraggio e iniziò a infierire contro il mostro. Su entrambi i fianchi della nave, un gruppo di pirati agganciò i tentacoli con i rampini e un altro si lanciò all’attacco con spade e scuri.
Dalle ferite schizzò un liquido giallastro e maleodorante. Nell’aria rimbombarono gli ululati agghiaccianti della bestia.
La voce di Benares arrivò a Sennar distante e attutita. «Scendi! Scendi, maledizione!»
Sennar si sentì scuotere.
«Ti ho detto scendi. Ce l’abbiamo fatta!»
Quando riaprì gli occhi, il mago vide davanti a sé il mare aperto. Il disco rosso del sole che tramontava gli ferì le pupille, il vento fresco della sera gli frustò il viso.
La nave ammarò dolcemente, mentre a un centinaio di braccia dalla poppa l’ultima propaggine del mostro si inabissava. Sul ponte si levarono grida di trionfo. L’incubo era finito.
Sennar tremava da capo a piedi. Benares non disse una parola. Lo allontanò dalla prua e lo affidò in modo brusco a Dodi, poi si mise a correre lungo il ponte.
«Aires!» urlò il pirata. «Aires!»
«Figlia! Rispondi!» gli fece eco Rool.
Per qualche istante, sulla nave scese un silenzio di tomba.
Poi sul ponte risuonò una debole voce. «Sono... sono qui.»
Aires giaceva miracolosamente incolume tra quel che restava del castello di poppa.
Si trovavano in mezzo al mare, lontani dalle Vanerie e dal Mondo Sommerso. Ma erano vivi e fuori dalla portata del mostro.
«Bisogna proseguire» disse Rool all’equipaggio radunato sul ponte.
«E come?» fece un pirata. «Siamo rimasti in pochi. La maggior parte delle vele è inutilizzabile e un albero è distrutto.»