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Sennar si avvicinò incredulo alla parete di vetro e osservò i banchi di pesci multicolori che nuotavano nell’acqua di un blu intenso, a un soffio da lui. Alzò gli occhi. L’ampolla si trovava ad almeno un centinaio di braccia dalla superficie e il sole appariva come un alone indistinto. Sennar si chiese come potesse esserci tanta luce, sebbene fosse di un’insolita tonalità azzurrina che gli feriva gli occhi.

Toccò la parete. Era fredda, proprio come il vetro. Quando ritirò la mano, si accorse con stupore che la palma brillava debolmente. Studiò con più attenzione quello strano materiale. Solo allora si rese conto che era rivestito di una sostanza oleosa fluorescente. Aguzzò la vista e cercò di scorgere il fondo dell’oceano. Vide le alghe che si cullavano pigre al soffio delle correnti. Ce n’erano di vari tipi, ma da quell’altezza era difficile distinguerle. Molte, però, brillavano come la sua palma. Sennar fu stupefatto dall’ingegno degli abitanti di quel luogo: era la stessa ampolla a emanare luce; amplificava i pochi raggi che provenivano dall’esterno grazie alla sostanza oleosa fornita dalle alghe.

In mezzo alla distesa di alghe era sprofondata una massiccia colonna trasparente, la base dell’ampolla, mentre una seconda colonna cava si slanciava dal centro dell’ampolla verso l’alto, probabilmente per prendere aria dalla superficie. Sennar avvistò in lontananza altre ampolle sospese, collegate le une alle altre da lunghe gallerie trasparenti. Scosse la testa. Era quanto di più straordinario avesse mai visto: gli uomini di Zalenia avevano creato una rete sottomarina di villaggi sospesi tra acqua e cielo, piccoli mondi racchiusi nel vetro. Ancora frastornato da tanta meraviglia, ficcò le mani nelle tasche della tunica e si mise in cammino.

Se al di fuori dell’ampolla pullulava la vita, al suo interno tutto era avvolto dal torpore del primo mattino. La cittadina in cui aveva trascorso quei primi giorni era piccola, ma l’ampolla era enorme. Fuori dall’abitato si apriva una distesa ordinata di campi, irrigati da una fitta rete di canali. Le piante coltivate sembravano del tutto simili a quelle del Mondo Emerso, ma quelle asciutte non erano le sole piantagioni del regno. C’erano campi anche sul fondo del mare, più irregolari e rari, ma molto vasti: alghe.

Sennar procedeva come intontito, senza stancarsi di guardare. In alto poteva scorgere il riflesso del sole sull’acqua. Era lontanissimo, eppure non faceva freddo, anzi, c’era un piacevole tepore e dalle colonne proveniva una brezza fresca e costante.

Continuò a camminare senza meta, mentre la gente iniziava a uscire dalle case per recarsi al lavoro nei campi. Tradito dalla bellezza del paesaggio, non si accorse di essere osservato.

Quando sentì una voce prepotente che gli intimava: «Fermo, straniero!» ebbe la spiacevole sensazione di essere svegliato nel mezzo di un bel sogno.

Il mago si arrestò. Un uomo con una lunga lancia e una leggera armatura gli si avvicinò di corsa e gli puntò l’arma alla gola. «Chi sei?» chiese minaccioso.

Una piccola folla si radunò sul ciglio della strada.

«Sono un ambasciatore del Mondo Emerso» rispose Sennar con voce calma.

Dalla folla si alzò un mormorio confuso e si fece avanti una giovane donna. Era agitata. «Lo sapevo! Non ci ho voluto credere e invece...»

«Di cosa stai parlando?» chiese la guardia.

«Mio figlio. Mi ha detto che Anfitris, una sua amica, aveva trovato uno di Sopra. Pensavo che fosse una fantasia da bambini.»

Il mormorio aumentò e il volto della guardia si fece serio. «Andate a chiamare la bambina.»

Anfitris aveva circa sei anni, portava due lunghe trecce bianche ed era molto spaventata.

«Hai già visto quest’uomo?» chiese la guardia.

La bambina sembrò sul punto di mettersi a piangere. «Sì, ma era morto» piagnucolò. Due lacrimoni le scesero lungo le guance.

«Dov’era?» continuò la guardia.

«Sotto il gorgo. Io e mio fratello stavamo giocando, abbiamo sentito un tonfo e siamo andati a vedere» disse, tra i singhiozzi.

La guardia si voltò verso Sennar con lo sguardo truce. «Così sei uno di quei bastardi. Credevamo di avere chiuso con voi da un bel pezzo.» Quindi prese a pungolarlo con la lancia per farlo camminare.

«Aspetta» disse Sennar. «Sono in missione di pace. Devo parlare al più presto con...»

«Taci! Starà al conte decidere della tua sorte.»

Sennar cercò in tutti i modi di convincere il militare. Spiegò, alzò la voce, gli mostrò il medaglione che attestava la sua appartenenza al Consiglio dei Maghi, ma riuscì solo a fargli perdere le staffe. Alla fine decise di seguirlo senza opporre resistenza.

La guardia lo condusse in un edificio basso e lo rinchiuse in una cella. Tornò poco dopo, accompagnata da un vecchio dall’aspetto austero.

«Da questa parte, venerabile Deliah» ripeteva in tono rispettoso.

L’uomo era piegato dagli anni e camminava con il volto rugoso rivolto a terra. I lunghissimi capelli bianchi scendevano sulla veste azzurra fino a scivolare sul pavimento come uno strascico. La mano nodosa stringeva una lunga asta di legno grezzo, che terminava in una grande sfera turchese. Il vecchio avanzò lento, appoggiato al bastone, finché non fu di fronte al prigioniero.

Sennar tese la mano destra. «Il conte, immagino.»

Per tutta risposta, il vecchio gli afferrò il mento e gli esaminò la faccia, girandola in ogni direzione.

«È uno di loro» disse con voce cavernosa.

La guardia assunse un’espressione tronfia. «L’avevo capito subito.»

«Vi prego di ascoltarmi, conte» provò a dire Sennar. «Sono un ambasciatore del Mondo Emerso e...»

La guardia non gli lasciò finire la frase e lo atterrò con un pugno allo stomaco. Sennar si piegò, senza fiato, e cadde a terra. In un attimo il soldato gli fu sopra, gli ficcò qualcosa in gola, gli immobilizzò le braccia.

Il vecchio si avvicinò di nuovo con calma, quindi posò il pomolo del bastone sul capo di Sennar e pronunciò una litania a bassa voce.

Il mago ebbe appena il tempo di capire che cosa stesse accadendo, ma non riuscì a reagire. Si sentì soffocare e a poco a poco perse conoscenza.

La guardia gli strappò di malagrazia il bavaglio.

«Non sono il conte» disse il vecchio con un sorriso gelido prima di uscire.

Quando Sennar si riprese gli girava la testa. Provò a rimettersi in piedi appoggiandosi alla parete della cella. Le forze gli tornarono lentamente e con esse la consapevolezza di quello che era successo.

«Maledizione» imprecò tra i denti. Conosceva quell’incantesimo, lo conosceva fin troppo bene.

Tentò una magia facile. Distese la palma della mano, pronunciò la formula per evocare un fuoco. Nulla. Cercò invano di produrre qualche innocuo lampo colorato. Provò ancora e ancora, sempre con lo stesso risultato. Non faceva altro che ripetere formule inefficaci.

Si lasciò ricadere a terra con rabbia. Quel vecchio gli aveva imposto un sigillo e finché non l’avesse spezzato sarebbe stato privo dei suoi poteri.

Ora non era più un mago, né un consigliere. Era solo un ragazzo chiuso in una cella puzzolente a miglia e miglia da casa.

Tentare la fuga era impossibile. Nella cella c’era una sola feritoia, posta molto in alto, e le sbarre della porta erano robuste. Sennar si sentiva un idiota per il modo in cui si era fatto beffare e un incapace perché non aveva preso abbastanza sul serio l’ostilità della gente del Mondo Sommerso.

Non vide nessuno per tutto il giorno e quando calò la notte dormì poco e male. Fu perseguitato dagli incubi: veniva giudicato dal fantomatico conte e giustiziato, deriso dai Consiglieri, ringraziato dal Tiranno per il suo ottimo lavoro. Sognò anche Nihal. Nihal in battaglia, Nihal in pericolo, Nihal morta.