Quando si svegliò, una luce tenue e lugubre aveva appena iniziato a rischiarare la cella. Il primo suono che sentì fu quello del suo stomaco che reclamava cibo. Chiamò la guardia, ma non ottenne risposta.
Era una situazione assurda. Si trovava in fondo al mare, seduto per terra in una cella umida e circondato da un silenzio ostinato, fatta eccezione per il brontolio del suo stomaco.
Solo quando fu pieno giorno, udì finalmente dei passi che si avvicinavano alla grata. «Dov’eri finito? Cos’è, volete farmi morire di fame?» ringhiò il mago.
I passi si fermarono. «Ti chiedo scusa» disse una voce femminile. «Mi hanno detto solo oggi che c’era un prigioniero.»
Attraverso le sbarre, Sennar vide avvicinarsi una ragazza con in mano un vassoio. Era minuta, non molto alta, e non doveva avere più di sedici anni. Il volto era un ovale perfetto e le guance erano rosee. Fino a quel momento, Sennar aveva visto solo gente con i capelli candidi, ma la ragazza che gli stava davanti aveva numerose ciocche castane.
Fra i due calò un silenzio imbarazzato.
«Scusami, non volevo alzare la voce» mormorò Sennar, a disagio. «Credevo di parlare con la guardia.»
La ragazza gli rivolse un sorriso timido. «Non ti preoccupare. Comunque, eccoti servito, finalmente.» Fece passare il vassoio dalla feritoia alla base della grata.
Sennar lo afferrò subito e cominciò a scoperchiare le ciotole. Una era piena di una specie di brodo in cui galleggiavano strani filamenti neri, in un’altra c’era qualcosa che sembrava pollo ricoperto da una salsa verdognola, nella terza una porzione di molluschi mai visti prima. L’unica cosa riconoscibile era una mela rossa, ma il mago non andò troppo per il sottile. Trangugiò la zuppa con tanta foga che non riuscì quasi a distinguerne il sapore. La ragazza lo guardava in silenzio, con un’ombra di divertimento negli occhi verdi.
Sennar posò la ciotola. «Squisito» disse, mentre passava alla successiva. «Sei tu la cuoca?»
«Sì. Quasi tutta la mia famiglia si occupa di badare ai prigionieri. Sai, è per via dei capelli.» Mostrò una delle ciocche scure.
«In che senso?» chiese Sennar incuriosito.
«I miei antenati sono stati tra gli ultimi a scendere. È per questo che i nostri capelli non sono ancora del tutto bianchi.»
«Quando sono arrivati?»
«Una cinquantina di anni fa. I miei genitori sono nati qui, ma i miei nonni venivano da Sopra e... quelli come noi non godono di grandi privilegi. Questo è uno dei pochi lavori che possiamo fare.»
«Occuparsi dei carcerati non è proprio un compito adatto a una ragazza.»
Lei arrossì. «Di solito è mio fratello che porta il cibo ai prigionieri, io cucino e basta. Solo che... la verità è che ero curiosa di vederti. In città non si parla d’altro. Sono tutti agitatissimi. Io però non ho paura di te, ho dei parenti che sono rimasti Sopra.»
Sennar passò ai molluschi. «Di dove sono i tuoi parenti?»
«Della Terra del Mare.»
«Anch’io vengo da lì. L’hai mai vista?»
La ragazza scoppiò a ridere. «Ovvio che no! A noi non è permesso salire. Solo i maghi possono andare nel Mondo Emerso.»
Sennar alzò finalmente gli occhi dalle ciotole. Non era certo la prima volta che si trovava solo con una donna, ma quella ragazza gentile, in quel momento, gli fece uno strano effetto. È davvero carina.
Lei dovette sentirsi osservata, perché prese a sistemarsi le pieghe della gonna, in imbarazzo.
Sennar guardò il vassoio. Della mela, ormai, era rimasto solo il torsolo. «Grazie, non sai quanto mi abbia fatto bene» disse mentre lo restituiva alla ragazza.
«Di nulla, è il mio lavoro. Tornerò stasera. Puntuale, prometto! Non sia mai che tu muoia di fame» disse ridendo.
Si era già allontanata dalle sbarre, quando il mago la richiamò. «Aspetta! Non ci siamo neanche presentati: io sono Sennar.»
«Io mi chiamo Ondine. Allora a più tardi, Sennar» rispose lei, poi si allontanò.
Ondine andava alla prigione mattina e sera.
Per Sennar era un raggio di sole nel buio. Era premurosa, sempre sorridente e lo distraeva dalla solitudine in cui era sprofondato.
Con il passare dei giorni fecero amicizia. Parlarono dei loro mondi, si raccontarono la propria storia. Lei rimase colpita dall’idea del cielo, non poteva credere che nel Mondo Emerso tutto il blu fosse accumulato in alto. Raccontò a Sennar quanto amasse il mare e come le sarebbe piaciuto essere una sirenide.
«Una sirenide?» chiese lui perplesso.
«Sì, una discendente delle sirene.»
«Pensavo che le sirene non esistessero.»
Ondine rise. «Certo che esistono!» Quindi raccontò a Sennar che Zalenia era stata costruita con l’aiuto dei tritoni e delle sirene e che, dopo qualche tempo dalla fondazione del regno, avevano iniziato a nascere bambini particolari: esserini a metà tra le sirene e gli abitanti della terraferma, senza pinna ma dotati di piccole branchie, che potevano vivere anche sott’acqua. «Sono esseri straordinari. Per loro non c’è un sopra e un sotto, un dentro e un fuori. Quanto vorrei essere libera come loro!»
Dai racconti della ragazza, Sennar capì quanto fosse profondo l’odio per gli abitanti del Mondo Emerso. “Quelli di Sopra”, come li chiamavano a Zalenia, erano considerati gente dedita solo agli omicidi e alla guerra, incapace di vivere in pace con se stessi e con gli altri. Quell’odio si ripercuoteva anche su chi era arrivato più di recente nel Mondo Sommerso, come Ondine e la sua famiglia. Il segno distintivo degli esclusi, “i nuovi”, erano i capelli segnati da ciocche scure. Venivano guardati con sospetto e avevano accesso solo ai lavori più umili. Il padre di Ondine era uno degli addetti alla manutenzione delle colonne che collegavano le ampolle alla superficie. Doveva lavorare sospeso a mezz’aria, per liberarle dai rifiuti che si accumulavano lungo le pareti e ostruivano i condotti.
«In casa ci dobbiamo arrangiare, io non ho neanche la dote. Ma tanto, chi vuoi che mi sposi?»
«Nel mio mondo avresti frotte di corteggiatori» rispose Sennar imbarazzato. Non era abituato a fare complimenti.
Ondine scosse la testa con un sorriso scettico. «Con questi capelli e queste guance rosse?»
Sennar trovava assurda quella situazione. Moni gli aveva detto che i fondatori del Mondo Sommerso volevano un mondo migliore, dove tutti vivessero in pace. Quello che vedeva, invece, era un regno fondato sull’odio e sulla discriminazione.
Sennar si fece spiegare come funzionava l’organizzazione politica di Zalenia. Ogni gruppo di ampolle era retto da un conte, una sorta di sovrano assoluto con tanto di esercito personale. Il conte riscuoteva anche tributi, che in parte era tenuto a versare al re. Quel che restava poteva amministrarlo a suo piacimento. Alcuni fortunati vivevano in ampolle gestite da conti illuminati, che utilizzavano il denaro per migliorare la vita dei propri sudditi, ma molti erano governati da despoti che li vessavano. La massima autorità era il re, che però si interessava poco dei territori più lontani.
In passato le cose andavano diversamente. Non c’era nessun re e la gente si governava da sola. A scadenze fisse, gli abitanti di ogni villaggio si riunivano e prendevano insieme le decisioni più importanti, e lo stesso facevano, per le questioni più generali, gli ambasciatori provenienti da tutte le ampolle. Durò poco. Alcuni tentarono di prendere il potere con la violenza e Zalenia fu sull’orlo della guerra. Per evitare il conflitto, uno degli ambasciatori, il più carismatico, propose di eleggere un re.
«In fondo non ci possiamo lamentare» diceva Ondine. «L’importante è restare in pace. Se capita un conte cattivo, si spera che il suo successore sia migliore. Non può essere sempre tempesta, non credi?»
Il conte si occupava anche della giustizia. Quando le sue guardie catturavano un criminale, lo chiudevano in prigione in attesa del suo giudizio, perché solo lui poteva comminare le pene.