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«E se il conte... cosa succede se il conte non arriva?» chiese Sennar preoccupato.

Ondine esitò. «Non credo che questa informazione ti farà piacere.»

«Dimmela lo stesso.»

La ragazza si mordicchiò il labbro. «Se il conte non si fa vivo sono le guardie a decidere della sorte del prigioniero» disse tutto d’un fiato. Subito dopo sorrise a Sennar, per rassicurarlo. «Però non ti devi preoccupare. Sono sicura che il conte ti ascolterà e ti farà parlare con il re. Davvero.»

Sennar sperava che la ragazza avesse ragione. Ma i giorni passavano e del conte non si vedeva neanche l’ombra.

11

Un vecchio nel bosco.

Procedettero al sicuro tra i boschi, lontani dal confine. Nihal non riuscì a ritrovare l’eccitazione e la gioia dei primi viaggi. Tutto ormai aveva il sapore dell’abitudine: le ore a cavallo, i tratti a piedi sui sentieri più impervi dove bisognava condurre l’animale per le redini, i pasti silenziosi consumati senza alzare il capo dalla ciotola. Forse se fosse stata sola con Laio avrebbe chiacchierato, ma con quel soldato al seguito l’atmosfera non era delle più amichevoli.

Mathon doveva avere sei o sette anni più di lei, ma era cupo e taciturno quanto un vecchio burbero. Parlava di rado e non sorrideva mai.

«Ha avuto una vita difficile» le spiegò Laio una sera. «Era il bastardo di una famiglia nobile e da piccolo l’hanno abbandonato vicino a una caserma. È stato l’esercito a prendersi cura di lui, per questo è venuto su selvaggio come un lupo. Ne ha passate proprio tante, poveraccio.»

Dopo quella rivelazione, Nihal provò maggiore simpatia per Mathon, ma il soldato continuò a non rivolgerle la parola e lei non fece nulla per socializzare.

Neppure Laio, comunque, era particolarmente ciarliero. Sembrava concentrato sulla sua missione e più riflessivo del solito. Quando lo guardava in viso, a Nihal sembrava di cogliere lineamenti nuovi e una decisione nello sguardo che non gli aveva mai visto. Per Laio la battaglia era già iniziata e lei sapeva che, prima che con Pewar, doveva vincerla con se stesso.

Non passò molto prima che Nihal cominciasse ad annoiarsi. Le giornate scorrevano lente e la ragazza accoglieva con un sospiro di sollievo l’arrivo della notte, quando almeno le ore sarebbero trascorse rapide nel sonno.

Raggiunsero la Terra dell’Acqua in una decina di giorni. La missione, se così poteva essere chiamata, non imponeva fretta e Laio non sembrava ansioso di giungere alla meta. Appena ebbero varcato il confine, il ragazzo si fece ancora più cupo. A quel punto Nihal si disse che, se il suo compito era quello di assistere moralmente l’amico, forse era ora di iniziare a svolgerlo.

«Non devi aver paura proprio adesso» gli disse una sera, mentre il loro compagno dormiva e il fuoco scoppiettava allegro.

«È che sento già il fiato di mio padre sul collo.»

«Sei arrivato fin qui e non è poco. L’ultima volta non ti eri spinto tanto lontano, no?»

Laio sorrise timidamente.

«Tu credi in quello che stai facendo, Laio, è questo l’importante. Andrà tutto bene.»

Quella stessa notte, però, una notte senza luna e senza stelle, Nihal capì di essersi sbagliata. In quei dieci giorni non aveva notato niente di strano, nessun segno che potesse rivelare un pericolo di qualsiasi genere. Si era sentita sicura e fu quella sicurezza a farli cadere in trappola.

Erano in dieci. I loro passi erano più circospetti di quelli di un normale soldato. Si avvicinarono con cautela al luogo dove erano accampati i tre viaggiatori, le armi alla mano, silenziosi ma pronti ad attaccare. Uomini abituati a vivere e agire nell’ombra, agili come gatti. Una banda di ladri.

Neanche Nihal, che pure aveva i sensi vigili, sulle prime si accorse di nulla. Fu il rumore di un ramoscello spezzato a farla riemergere dal sonno, seguito da un fruscio leggero, come di una veste che si impiglia in un cespuglio. Nihal spalancò gli occhi e li vide: un gruppo di uomini circondava il bivacco. Erano armati e si avvicinavano piano; si guardavano intorno e si dividevano i compiti con cenni delle mani. Un paio si diressero a colpo sicuro verso le bisacce, mentre un terzo si avvicinò a Laio addormentato brandendo un pugnale.

Fu allora che la ragazza scattò in piedi urlando, la spada in pugno, pronta alla lotta. Laio e il soldato si svegliarono di soprassalto e misero mano alle armi, mentre Nihal si gettava con foga sull’uomo più vicino e lo abbatteva con un fendente.

Laio provò a scattare in avanti, ma uno dei briganti non ebbe difficoltà a disarmarlo colpendogli il polso con un bastone. Poi lo atterrò con un calcio in pieno petto e gli fu subito sopra, a cavalcioni.

«Buono. Stai buono e non ti succederà niente» disse, mentre gli puntava un coltellaccio alla gola. «Per ora.»

Nihal si occupò di un altro boscaiolo. Cercò di prenderlo di sorpresa con un attacco violento e fulmineo, ma quello non si lasciò spiazzare. Era un omone, con i muscoli che gli gonfiavano la tela della casacca; parò gli affondi di Nihal senza fatica, contrattaccò con foga e la costrinse ad arretrare di parecchio nel folto.

La mezzelfo si batteva come una furia mentre cercava una via di fuga. Il bosco risuonava di mille fruscii, come se i nemici fossero infiniti. Poi sentì un urlo.

A quel punto fu sopraffatta dall’ira. «No! Laio! Mathon!» gridò. Mozzò di netto un braccio al suo avversario e lo lasciò a dissanguarsi fra i cespugli.

Provò a tornare verso il bivacco, ma aveva perso il senso dell’orientamento. Intravide due ombre avanzare tra gli alberi. Sentì uno scalpiccio di passi che si avvicinavano alle sue spalle. Allungò la spada davanti a sé, fletté le gambe nello slancio, alzò il braccio per colpire.

Poi, all’improvviso, un forte dolore alla testa.

Un fiotto caldo giù per la schiena.

Un’oscurità densa e senza ritorno.

Nihal socchiuse gli occhi. Aveva un feroce mal di testa. Anche il minimo suono le rimbalzava da un lato all’altro del cranio e si trasformava in un rumore insopportabile. La vista era annebbiata e non riusciva a mettere a fuoco nemmeno un particolare del luogo in cui si trovava. Sembrava una grotta, ma non distingueva altro. In sottofondo sentiva lo scoppiettio di un fuoco. Distese le mani e tastò intorno a sé. Era sdraiata su un sacco di paglia, coperta da un telo leggero.

Udì un rumore metallico lancinante e nel suo campo visivo entrò una figura dai contorni indefiniti.

«Evviva» esclamò una voce maschile. «Ben svegliata.»

Nihal si portò una mano alla testa. «Parla più piano, ti prego.»

«Scusa» disse l’uomo in un sussurro. «Con la botta che hai preso...»

Le dita di Nihal sfiorarono una larga fasciatura. Si sforzò di ricordare che cosa fosse successo e non le fu difficile ricostruire l’accaduto. Una botta in testa. L’avevano fregata come un pivellino. Ebbe un moto di stizza dannazione. Aveva ragione Sennar, rischio la vita un giorno sì e l’altro pure. «Non ci vedo» si lamentò.

«È normale» disse l’uomo, mentre si affaccendava intorno al fuoco. «Non preoccuparti, è un disturbo passeggero. Domani sarà di nuovo tutto a posto.»

«Chi sei?»

«Un vecchio.»

Le sembrò piuttosto vaga come risposta. «E non ce l’hai un nome?»

«Ce l’avevo, molto tempo fa, ma l’ho lasciato dietro di me. Non ne ho più bisogno. Sono un vecchio, nient’altro.»

Vecchio. Quella parola le riportò alla mente Livon, suo padre. Lo chiamava così:

Vecchio. Non sarebbe mai riuscita a chiamare nessun altro con quel nome.

«E se volessi chiamarti?»

«Ti ho salvato la vita. Chiamami pure Mio Salvatore.» Il vecchio rise, una risata saggia e antica. Le si avvicinò con una ciotola. «Basta con le domande. È tempo di rimettersi in forze.»

Nihal esitò, poi prese la ciotola e iniziò a mangiare.

Il momento delle domande venne più tardi, verso sera, dopo che Nihal si fu riposata. Quando si svegliò, si accorse che la vista era migliorata, anche se le sembrava di avere gli occhi appannati. La testa continuava a martellare, ma riuscì a tirarsi su senza problemi. Il cuscino era macchiato di sangue.