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Si sedette sul pagliericcio con le gambe incrociate e osservò il suo salvatore. Non riusciva ancora a distinguerne con chiarezza i lineamenti, ma le parve davvero molto vecchio. Aveva addosso solo una lunga casacca lacera e sporca che lo copriva fino alle caviglie. Il cranio era quasi del tutto calvo, però aveva una fluente barba candida che sfiorava il pavimento. Era scalzo e quando lo guardò Nihal capì che cos’era quel rumore metallico: il vecchio aveva le mani e i piedi gravati da pesanti catene, che gli si avvolgevano intorno alle membra come le spire di un rettile.

«Perché sei legato?» chiese d’impulso.

Il vecchio si voltò verso di lei e sembrò sorridere. «Per espiare i miei numerosi peccati.»

«Sei un evaso?»

Il vecchio rise, con la sua risata soffocata. «No, Nihal, no. Mi sono messo io stesso queste catene, perché il loro fardello mi ricordi sempre quanto sia pesante il mio animo.»

«Come fai a conoscere il mio nome?» si stupì lei.

«La vecchiaia e la solitudine mi hanno fatto molti doni. La pazienza, innanzitutto, e un certo grado di preveggenza. È stato grazie a questa dote che ti ho trovata.»

La ragazza si fece seria. «Raccontami tutto.»

Il vecchio si acciambellò ai piedi del giaciglio di Nihal. «Ieri sera ho sentito che accadeva qualcosa nei pressi della mia dimora. Sono uscito, mi sono nascosto e ho visto la vostra compagnia in balia dei briganti. Tu eri a terra, non distante da un giovane immerso nel sangue. Più in là c’era un prigioniero.»

Il cuore di Nihal ebbe un sobbalzo. «Descrivimelo.»

«Poco più di un bambino. Biondo. E terrorizzato.»

Il vecchio le raccontò di come i predoni avessero trovato addosso a Laio una lettera che lo identificava come figlio di Pewar e avessero deciso di rapirlo per chiedere un riscatto. «Se lo sono portato via legato e imbavagliato, dopo aver gettato te e l’altro giù da un dirupo.»

«L’altro, il nostro compagno... è...» mormorò Nihal.

«Morto» disse il vecchio con semplicità. «L’ho seppellito nei pressi della forra dove vi ho trovati. I briganti hanno pensato che fossi morta anche tu. Non era difficile crederlo. Eri bianca come un cencio e respiravi appena.»

Nihal non ascoltava più. La vita di Laio era appesa a un filo. C’erano poche speranze che i ladri lo liberassero, anche dopo il pagamento di un eventuale riscatto.

«Sai dirmi dove sono andati?»

Il vecchio sorrise. «Certo. Questo posto è il mio regno. Entro tre leghe da qui non c’è luogo che non conosca.»

«Allora devi portarmi da loro.» Nihal balzò in piedi e afferrò la sua spada, ma le cedettero le gambe.

Il vecchio la afferrò prima che cadesse e la fece distendere sul pagliericcio. «Dove credi di andare? La tua vista è ancora compromessa, sei debole. In queste condizioni non puoi affrontare quegli uomini.»

Nihal si alzò di nuovo in piedi, questa volta con più cautela. «Ma non posso neanche lasciare Laio in balia di quella gentaglia.»

«Non hai di che temere. Per loro il tuo amico è come un sacco di monete d’oro. Almeno finché il padre non avrà pagato. Tu nel frattempo ti rimetterai in sesto.»

Nihal si risedette sconsolata. Il vecchio aveva ragione. In quelle condizioni si sarebbe solo fatta ammazzare.

«Su, non c’è da scoraggiarsi. Sei giovane e forte, ti riprenderai in fretta. Allora sarò io stesso a condurti dove desideri.»

Nihal annuì. Si sentiva scoppiare la testa e aveva il cuore in tumulto. Si distese sul pagliericcio e iniziò a fissare con impazienza le macchie d’umidità sulla volta della caverna.

Nihal si esaminò con attenzione: una ferita superficiale su un braccio, le gambe graffiate dai rami bassi dei cespugli, un livido violaceo su una spalla. Quando si toccò la testa, alla ricerca dell’origine del dolore che la stordiva, le sue dita incontrarono un grosso taglio slabbrato sulla nuca. Proprio quello che mi ci voleva, una nuova cicatrice. Mi toccherà farmi crescere i capelli.

Rimase nella grotta per qualche giorno, stesa sul suo letto di paglia, cercando di elaborare piani per la liberazione di Laio e struggendosi nell’attesa. A poco a poco, la vista tornò normale e il mal di testa si affievolì fino a scomparire.

Quello strano vecchio non era molto di compagnia. Di giorno spariva e faceva ritorno solo a notte fonda. Usciva poco prima dell’alba, dopo aver preparato lauti pasti per la sua ospite, poi si ripresentava con il buio e le chiedeva come fosse andata la giornata.

Ogni volta che Nihal provava a indagare su dove fosse stato, il vecchio dava risposte vaghe oppure cambiava argomento.

Ora Nihal poteva guardarlo meglio. Il suo volto era una ragnatela di rughe, ma non doveva essere anziano come sembrava. Aveva occhi vivaci e la presa delle sue mani era salda e forte. Sulla palma destra c’erano calli vistosi, tipici di chi ha impugnato a lungo un’arma; in gioventù doveva aver combattuto.

«Hai visto molte battaglie?»

«Troppe. Ho ucciso molte persone. Ho combattuto su molti fronti. Eppure è sempre la solita guerra, che si trascina ormai da tempo immemore.»

«Ed eri un bravo guerriero?»

«Uno fra tanti, né migliore né peggiore degli altri.»

Rispondeva sempre così, a mezze parole, in modo sfuggente. Aveva il sorriso perennemente stampato sulla faccia, sebbene dovesse soffrire. I polsi e le caviglie erano ulcerati per le catene e spesso sanguinavano. Nihal capì che il vecchio aveva vissuto intensamente e di certo non solo belle esperienze. Sembrava un naufrago che avesse visto molte tempeste e trovato infine la pace.

L’ultima sera, Nihal si fece spiegare con precisione dove fosse il covo dei briganti. Il vecchio fu prodigo di informazioni preziose. Non solo sapeva dove si trovavano, ma sembrava conoscere molto bene le loro abitudini.

La ragazza iniziò a oliare la spada e il vecchio si sedette davanti a lei e la osservò. Lo faceva spesso; sembrava particolarmente interessato a Nihal.

«Vedo che conosci il popolo dei folletti» disse il vecchio di punto in bianco.

«Da cosa l’hai capito?» chiese Nihal, cercando di dissimulare lo stupore.

Il vecchio levò un dito verso l’elsa. «Dalla pietra che hai incastonata nella spada. Non avevo mai incontrato un umano che la possedesse, tanto meno un mezzelfo.»

«Mi è stata regalata da un folletto, molto tempo fa» rispose Nihal. Poi sentì la vecchia curiosità fare capolino. «Che cosa sai di questa pietra? La conosci? Sai che poteri ha?»

Il vecchio sorrise. «Sarebbe davvero strano se uno come me, che ha vissuto tanto nel bosco, non conoscesse le Lacrime. Sono pietre fatte con la resina essiccata dei Padri della Foresta e sono il simbolo del popolo dei folletti.»

«Sì, questo lo so» disse Nihal impaziente. «Quello che vorrei capire, però...» Si morse le labbra, indecisa. Non sapeva se poteva fidarsi di quell’uomo.

Alla fine gli raccontò l’avventura che aveva vissuto con Laio nella Terra del Mare e di come la Lacrima li avesse salvati dall’attacco dei fammin.

Il vecchio ascoltò, assorto ma per nulla stupito. Quando parlò, la sua voce era calma e pacata come sempre. «Le Lacrime sono in grado di assorbire la forza vitale della natura e di amplificarla. I folletti però non sfruttano questa prerogativa, usano le pietre come ornamenti e le venerano, perché sono il frutto del pianto dei loro alberi protettori. Forse non ne sei consapevole, ma quello che hai ricevuto è un dono importante. Certo, in mani umane la Lacrima è del tutto inerte.»

Nihal restò interdetta. «In che senso?»

«Nessuna delle stirpi che calcano questa terra è in grado di sprigionare il potere della Lacrima.»

«Allora perché in mano mia si è... risvegliata?»

Il vecchio sorrise. «Siamo abituati a considerare solo la storia più recente di questo mondo martoriato, ma le razze che popolano ora il Mondo Emerso non sono le uniche a essere esistite su questa terra. Prima di noi vi furono altri.»