«Non era meglio aspettare l’alba?» chiese alla schiena del vecchio che, davanti a lei, sgusciava rapida tra cespugli e alberi.
«No, è meglio così» sussurrò lui.
I suoi piedi nudi non facevano rumore sull’erba. Si sentiva solo, di tanto in tanto, il tintinnare lento e inquietante delle catene. Sembrava che quel bosco gli appartenesse. Per muoversi con tanta sicurezza doveva conoscerne ogni palmo.
Nihal invece procedeva a fatica. I suoi occhi erano allenati all’oscurità, ma la macchia era fitta e quell’intrico di piante metteva a dura prova la sua agilità.
Non impiegarono molto a raggiungere il luogo che cercavano. Sbucarono dal folto e davanti a loro, in lontananza, apparve un alto costone di roccia punteggiato qua e là dai ricami dell’edera. La base della parete sprofondava fra cespugli e alberelli. Sembrava completamente liscia.
Sulle prime Nihal non vide nulla. «Allora?»
«Là.» Il dito rinsecchito del vecchio indicò un punto.
Alla luce della luna si intravedeva una minuscola apertura dietro uno dei tanti arbusti. Il covo dei briganti. Neppure un occhio attento sarebbe riuscito a distinguerne l’ingresso.
«Non sembra, ma la caverna è molto grande, due ambienti spaziosi collegati tra loro» bisbigliò il vecchio. «Nascosta tra le frasche c’è una sentinella. Di notte fanno turni di due ore, di giorno invece l’entrata è quasi sempre sguarnita.»
Nihal fu stupita dalla quantità di informazioni di cui disponeva il vecchio.
Doveva conoscere bene i briganti. Quell’uomo era davvero un mistero.
«Quanti sono?» chiese la ragazza.
«Erano in dieci, ma due sono morti; un altro è ferito e non esce mai.»
Restarono in silenzio per qualche minuto, poi il vecchio contemplò il cielo e si alzò. Sembrava aver fretta di andarsene. «Questo è tutto» disse. «Non c’è altro che possa fare per te.»
Anche Nihal si alzò. «Grazie. Per avermi salvata e per i tuoi consigli. Spero di potermi sdebitare, un giorno.»
Il vecchio scrollò le spalle. «Chissà. Forse quando le nostre strade si incroceranno di nuovo. Fino allora, buona fortuna.» Un attimo dopo era scomparso tra i cespugli.
Nihal osservò l’apertura del covo, la mano stretta sull’elsa della spada. I giorni di attesa nella caverna l’avevano sfibrata. Era preoccupata per Laio e si ripeteva che doveva agire il più presto possibile, ma la superiorità numerica dei briganti la frenava.
La lama nera stridette mentre usciva piano dal fodero. Il rumore incrinò la quiete della notte e Nihal si bloccò. Nessun movimento, né nelle sue vicinanze né dinanzi alla caverna. Ma lì c’era qualcuno in attesa, la ragazza lo sentiva: un uomo all’erta e pronto a combattere. Restò immobile per qualche istante, la spada ancora a metà nel fodero. Pazienta, Nihal, pazienta. Questo è uno di quei momenti in cui bisogna essere lucidi e ragionare. Non farti prendere come al solito dalla smania. Trasse un respiro profondo e rinfoderò l’arma il più delicatamente possibile. No, non poteva attaccare il covo dei ladri così. La sentinella non era un problema, ma non appena avesse messo piede lì dentro, si sarebbe trovata di fronte sette uomini, ben armati e abituati alla battaglia. Aveva bisogno di un piano.
Nihal si strofinò il viso con le mani. Detestava l’attesa e più ancora la tattica.
La luna era scomparsa e a oriente il cielo iniziava a tingersi di un vago chiarore. L’alba non era lontana. Nihal arretrò verso il folto, alla ricerca di un nascondiglio sicuro dove poter riflettere con calma sulla situazione.
Vagò senza una meta precisa finché non vide un ruscello che si incuneava in un canalone. Scese fino in fondo e si chinò a bere. All’inizio si bagnò solo le labbra, poi tuffò nell’acqua tutta la testa.
Sentiva il bisogno di schiarirsi le idee. Stette per qualche tempo seduta sulla riva, a guardare il cielo che prima impallidiva, poi virava verso un azzurro intenso. L’estate si approssimava, solo con la bella stagione il cielo acquisiva quella tinta così cupa.
Nihal cercò di concentrarsi, di placare l’agitazione, di trovare la calma necessaria a escogitare una strategia. Era la prima volta che provava quell’esercizio lontana dai campi di battaglia. Di solito lo faceva prima di iniziare a combattere: si sedeva in un angolo e restava in silenzio, sforzandosi di ascoltare solo i battiti del suo cuore. Teneva a bada la bestia che viveva dentro di lei, metteva a tacere le voci che le vibravano nella testa. Rincorreva la calma, la lucidità di cui un bravo cavaliere ha sempre bisogno.
Quella volta però era diverso. Non era in guerra, non sarebbe scesa su un campo di battaglia. Non c’erano file di fammin urlanti ad attenderla, né guerrieri da sconfiggere. Non c’era neppure l’ombra minacciosa del Tiranno. Quella nuova battaglia non aveva nulla a che fare con la vendetta. Era la prima volta che Nihal si preparava a battersi per qualcuno.
Quando ebbe messo a punto il piano, Nihal si diede da fare. Innanzitutto occorreva perlustrare la zona e cercare di capire la conformazione del territorio e della tana dei briganti. Il vecchio le aveva parlato di una grotta con due ambienti, ma non bastava. Doveva scoprire qualche dettaglio in più.
Per prima cosa si dedicò allo studio dell’ingresso. Le sembrò di essere tornata bambina. Strisciò silenziosa tra le felci e si avvicinò abbastanza da poter vedere con chiarezza il passaggio, ma non troppo per evitare che potessero sentirla. Mentre giaceva a terra, con le mani sul tappeto di foglie secche, si ricordò dei giochi nella steppa ai piedi di Salazar. Anche allora strisciava a terra con il cuore in subbuglio, eccitata e spaventata, cauta come un gatto. Quei giochi erano presto diventati una cruda realtà.
Come aveva detto il vecchio, c’era un uomo di guardia. Si trovava all’imboccatura della caverna, nascosto nella penombra. Nihal rimase a osservarlo a lungo. Sapeva fare bene il suo mestiere. Ad averne di sentinelle così, nell’esercito. Sembrava rilassato – evidentemente la banda non si aspettava attacchi –ma manteneva i sensi vigili e si metteva sul chi va là a ogni minimo rumore.
Nihal attese il cambio di guardia. La nuova sentinella era di tutt’altra pasta. Se ne stava appoggiata con aria indolente a una spada infissa a terra. Di tanto in tanto sonnecchiava.
La ragazza si stampò bene in mente i connotati di quel tizio. Un uomo basso e tarchiato, con lunghi ricci neri e untuosi che gli scendevano sulle spalle. Meglio attaccare quando c’era lui di guardia. Sarebbe stato tutto più semplice.
Nel pomeriggio si diede all’esplorazione dell’ambiente esterno. Esaminò con attenzione l’erta rocciosa nella cui parete era scavata la caverna. Era una lunga faglia e Nihal dovette camminare un bel po’ prima di trovare un punto da cui riuscire ad arrampicarsi. Poi salì fino alla parte superiore dello strapiombo. La roccia era friabile, stratificata, e quando giunse in cima si accorse che la parete doveva essere un colabrodo. Il terreno sovrastante era punteggiato di avvallamenti più o meno profondi.
Li analizzò a uno a uno. Un canale che conduceva alla grotta dei ladri le avrebbe fatto comodo. Quasi tutte le buche, però, finivano in vicoli ciechi e sulle prime l’esplorazione non le portò altro che un gran numero di lividi e graffi. Un lavoro da gnomi. Ci vorrebbe Ido , si disse con stizza, mentre si ripuliva dalla terra.
Ci mise un po’ a trovare quello che cercava: un grosso buco dal quale si accedeva a una sorta di galleria. Nihal si inginocchio e cercò di vederne il fondo. Il cunicolo scorreva quasi parallelo al terreno, ma a un’occhiata più attenta notò che scendeva verso il basso. Non sarà un po’ di terra in più a rovinarmi i vestiti. Nihal diede un’ultima occhiata al cielo, fece un respiro profondo e si infilò di testa nel condotto.
Il passaggio era stretto e, nonostante la ragazza fosse di corporatura minuta, in molti punti ebbe difficoltà a procedere. Mancava l’aria e quella poca che c’era puzzava di muffa e di marcio. Nihal continuò ad avanzare alla cieca, le mani che scivolavano sul muschio, tra le pareti infestate da insetti e lombrichi. Si aspettava da un momento all’altro uno sbarramento di roccia che la costringesse a tornare in superficie, ma non lo trovò. La discesa proseguì, lunga e disagevole. Nihal seguitò a strisciare sul ventre, aiutandosi con le ginocchia e i gomiti, finché non vide in lontananza un vago chiarore. Procedette con più cautela. Se davvero il cunicolo conduceva al covo, doveva assolutamente evitare di farsi scoprire.