Nihal si sentì cadere. Una mano esile l’afferrò.
Entrambi ci misero un po’ a riprendersi. Rimasero a lungo ad ansimare stesi sulla roccia, tremando nella brezza della notte, che dopo l’inferno del cunicolo era fredda come il gelo dell’inverno.
Fu Laio a riaversi per primo. Si voltò piano verso l’amica e allungò un braccio fino a toccarle la mano.
«Credevo che fossi morta» mormorò.
Nihal socchiuse gli occhi. Sopra di lei il cielo estivo era pieno di stelle. Strinse forte la mano di Laio.
14
La guerra entra a Zalenia.
I giorni volarono. Dopo i pericoli corsi per mare, a Sennar quel viaggio sembrò una passeggiata. Il paesaggio era incantevole, il cavallo docile e il vitto quanto di meglio potessero avere. E c’era Ondine al suo fianco.
Le donne con cui aveva avuto a che fare fino allora erano state molto diverse da lei. La prima era stata Soana, la sua maestra di magia, bella e altera. In seguito aveva conosciuto altre giovani maghe, ma le aveva trovate tutte fredde e presuntuose; con quella zazzera spettinata e l’aria svagata, Sennar non poteva certo aspirare alla loro amicizia. E poi c’era stata Nihal. Ma Nihal era un’altra cosa. E Sennar non ci voleva pensare.
Da quando aveva dato a Ondine quell’unico bacio, Sennar era confuso. Non era riuscito a impedirle di accompagnarlo nel viaggio, ma dentro di sé sapeva di non averci davvero provato. La sua compagnia era così piacevole, i suoi sorrisi così spensierati, che il mago aveva rinunciato a porsi troppe domande. Dopo diciannove anni di seriosità, gli sembrava di avere diritto a un po’ di leggerezza. Voleva prendersi il tempo di capire che cosa provava per lei. Chissà, forse alla fine di quell’avventura si sarebbe reso conto di esserne innamorato.
Le cose andavano per il meglio, la sua missione era su una buona strada, il Mondo Sommerso era pieno di meraviglie. Perché preoccuparsi?
Erano una lunga carovana. Apriva la colonna la portantina del conte, preceduta da due guardie a cavallo e seguita dal corteo degli inservienti e dei portatori, che conducevano sui muli vettovagliamenti e quant’altro potesse servire. Sennar e Ondine chiudevano la fila, controllati a vista da due guardie dietro di loro.
Camminavano per tutto il giorno e si fermavano solo dopo il tramonto. Nella zona di sua giurisdizione, il conte aveva varie residenze; vi trascorreva i periodi di vacanza e le utilizzava come basi una volta all’anno, quando era tenuto a visitare tutti i villaggi sotto il suo controllo.
Usciti dalla contea, invece, alloggiarono in locande lungo la strada o presso le residenze di altri conti. Ovunque si fermassero, ricevevano un trattamento principesco. Il conte godeva di buona fama e veniva ossequiato anche da chi non era suo suddito. Non mancavano tuttavia gli sguardi maligni. In molti si domandavano che cosa ci facessero una nuova e uno di Sopra con il conte Varen, di cui si diceva tanto bene.
La sede del palazzo del re era nella capitale del regno, Zirea, una città enorme e tentacolare, che occupava un’intera ampolla. La capitale era diversa da qualsiasi altra città del Mondo Sommerso. Tutto era di vetro: case, palazzi, botteghe, piazze, monumenti. Vetro opaco, per nascondere da sguardi indiscreti ciò che avveniva nelle abitazioni. Vetro colorato, che formava giochi di luce sulle strade. Vetro scabro, per deformare in modo magico i contorni delle cose.
A Zirea, Sennar vide per la prima volta le sirenidi. Erano simili agli altri abitanti di Zalenia, ma avevano due vistose branchie alla base del collo e talvolta li si scorgeva sfrecciare fuori, in mare aperto.
La capitale pullulava di vita, ma non aveva nulla a che fare con il caos che regnava in una grande città del Mondo Emerso come Makrat. Le attività quotidiane venivano svolte con una calma esemplare, niente urla, strepiti o confusione. I cittadini, tutti in abiti bianchi o grigi, si aggiravano per le vie della metropoli con aria compassata.
Anche dove la luce è più fulgida, però, non mancano le ombre. La città era circondata da miseri sobborghi, che sembravano cingerla d’assedio. Erano i quartieri destinati ai poveri, per lo più nuovi o gente malata: per legge, non potevano varcare le porte della candida Zirea. Mentre li attraversava, Sennar si chiese per l’ennesima volta se un mondo in cui regnasse la fratellanza fosse possibile.
Il castello del re era un’enorme costruzione al centro della città. Si sviluppava attraverso una teoria infinita di pinnacoli e guglie, bianchi, trasparenti o opalescenti, che si innalzavano al cielo. Non c’erano finestre vere e proprie: l’aria entrava direttamente dalla colonna portante dell’ampolla e la luce era fornita da piccoli oblò ogivali. Solo a una seconda occhiata si notava la cosa più straordinaria: parte dell’edificio era sott’acqua. Il castello era diviso in due ali, di cui una immersa nelle profondità marine. L’ala sommersa era la residenza dei regnanti di sirene e tritoni ed era stata costruita ai tempi della fondazione di Zalenia, in segno di eterna gratitudine da parte degli abitanti verso coloro che li avevano aiutati nella realizzazione del loro sogno.
I governi erano totalmente disgiunti. Tritoni e sirene si erano semplicemente comportati da buoni ospiti. D’altra parte, i nuovi arrivati non avevano mai dato segni di ostilità verso il popolo sottomarino, né avevano insistito per un’impossibile fusione. Anche se le relazioni tra i due popoli erano strette e di buon vicinato, insomma, la logica che regnava era quella di un’assoluta indipendenza.
«Credo sia meglio che parli prima io con Sua Maestà. Stasera verrò a riferirvi l’esito del colloquio» disse il conte e Sennar pensò che fosse una saggia decisione.
Il mago e la ragazza, seguiti dalla scorta, vagarono tutto il giorno, osservarono i maestosi palazzi governativi e gli altissimi templi delle divinità di quel regno, girovagarono per i mercatini che animavano le vie fuori mano. Ondine non era mai stata in città ed era attratta da tutto. Sennar invece era inspiegabilmente a disagio; non ne capiva il motivo, ma aveva una sensazione di pericolo incombente. La gente intorno a lui camminava senza fretta, per le strade e le piazze risuonava un mormorio discreto, eppure il mago non era tranquillo.
«C’è qualcosa che non va?» gli chiese a un tratto Ondine, distogliendolo dai suoi pensieri.
«No, tutto bene.» Sennar le sorrise. «Vieni, andiamo a vedere quella bancarella.»
Sul banco era esposta una serie di disegni che sembravano rappresentare luoghi immaginari: paesaggi idilliaci, campagne fertili, boschi selvaggi. All’improvviso il mago capì perché quella bancarella l’aveva attirato: in bella mostra c’era un dipinto con una specie di osservatorio e tanti omini intenti a scrivere e a guardare attraverso un enorme cannocchiale. Sennar si avvicinò alla tela e osservò con più attenzione. Ebbe un tuffo al cuore: le figure del quadro erano slanciate, avevano i capelli blu e le orecchie a punta. Mezzelfi.
In quello strano avventore incappucciato il mercante vide profilarsi un affare. «Benvenuto, straniero» disse con voce melliflua. «Ti piace? Sono gli astronomi della Terra dei Giorni. Te lo vendo per poco.»
Sennar non rispose. I suoi pensieri erano lontani mille miglia, persi dietro l’immagine di Nihal. Dov’era? Come stava? Pensava ancora a lui?
«Sennar» mormorò Ondine, sfiorandogli un braccio.
Il mago tornò in sé. «Dove l’hai preso?» chiese al venditore.
Il mercante strizzò l’occhio a Ondine. «Si vede che viene da lontano. L’ho fatto io, straniero! Pelavudd in persona, per servirti.»
«Conosci i mezzelfi?» insistette Sennar.
«E chi non li conosce?»
«Intendo dire, li hai visti?»
«E come? È gente di Sopra. Questo quadro l’ho fatto pensando alle ballate dell’esodo. È un bel dipinto, lo vuoi?» tornò alla carica il mercante, ma Sennar aveva già preso Ondine sottobraccio e si era allontanato.
«Ti piaceva?» chiese la ragazza.
«No, ero solo curioso.»
Nihal. Già, Nihal... Come aveva potuto illudersi?