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La sera attesero il conte nella taverna della locanda dove alloggiavano.

«È tardi, Ondine» disse Sennar, quando ebbero finito di cenare. «È meglio che tu vada a dormire.»

«Veramente pensavo di aspettare insieme a te.»

Il mago la guardò con dolcezza. «Non è necessario, davvero. E poi si vede che sei stanca. Vai nella tua stanza, forza.»

Ondine obbedì senza protestare.

Sennar voleva stare solo. Ora tutto gli appariva spietatamente chiaro. Che cosa aveva creduto di fare con Ondine? Non era lei che voleva. Non era lei che popolava i suoi sogni.

Si stava dibattendo tra i sensi di colpa, quando percepì di nuovo la sensazione di minaccia che aveva avuto nel pomeriggio. Si sforzò di non pensare e chiuse gli occhi, poi li riaprì e si concentrò sulle persone che lo circondavano. Iniziò a scartarle a una a una: l’uomo seduto in fondo no, la donna al banco neppure, l’uomo ubriaco al tavolo... D’un tratto la sensazione scomparve. Sennar scattò in piedi, in tempo per vedere il lembo di un mantello nero che scivolava oltre la porta. Si gettò all’inseguimento, ma quando varcò la soglia andò a sbattere contro il conte Varen.

«Avete visto chi è uscito prima di me?» chiese agitato.

«Non ci ho fatto caso» rispose Varen. «Che cosa succede?»

Sennar scosse la testa. «Niente. Venite, rientriamo, ditemi del re.»

Seduto al tavolo più in disparte della taverna, Sennar ascoltava il conte con attenzione.

«Ho parlato con Sua Maestà. È stata una discussione lunga e difficile. Voglio parlarvi in tutta franchezza, consigliere: il re non è ben disposto verso di voi.»

«Non mi aspettavo che lo fosse» disse Sennar. In quel momento gli avrebbe fatto bene un bello Squalo. Ordinò da bere. «Insomma, non vuole vedermi.»

«No, sono riuscito a farvi ottenere un incontro. Sarà domani, nella piazza d’armi del palazzo reale, alla presenza del popolo. Dovrete essere incatenato, perché il re vi teme. E poi...» Il conte esitò. «Se le vostre parole non lo convinceranno, vi mozzerà la testa seduta stante. E lo stesso farà con me.»

Sennar si irrigidì, con il bicchiere a mezz’aria. «Volete dire... che avete messo in gioco la vostra vita per me?»

Varen guardò il mago negli occhi. «Ascoltatemi, Sennar. Quando fui nominato conte ero pieno di sogni. Voi siete come ero io allora. Io non sono riuscito a realizzare i miei. Se riuscirete nel vostro intento, sarà il mio riscatto. Altrimenti... be’, ho vissuto a sufficienza. E nessuno sentirà la mia mancanza.»

Sennar tacque a lungo, confuso. «Io... sono contento che crediate in me. Ma avete una contea da governare, gente la cui vita dipende da voi. Non posso permettere che facciate questo sacrificio.»

«Non lo faccio per voi, consigliere. Lo faccio per me» mormorò il conte. Poi prese il bicchiere di Sennar e lo bevve tutto d’un fiato.

Sennar entrò nella sua stanza e si avvicinò alla finestra. La città di vetro sembrava immobile, avvolta da un blu profondo che al mago parve improvvisamente minaccioso. Che cosa sta succedendo? Chi c’è là fuori?

Si sedette a terra con le gambe incrociate e rifletté. Una delle prime cose che si insegnavano a un mago era percepire la presenza di altri maghi. Non si trattava di un vero e proprio incantesimo, era piuttosto una tecnica di individuazione. A lui avrebbe dovuto essere preclusa, a causa dell’incantesimo del vecchio Deliah, ma quella sensazione di pericolo non poteva essere interpretata in altro modo: avvertiva la presenza di un mago.

Gli tornarono in mente le parole di Deliah a Varen, fuori dalla cella: «Tra qualche giorno riacquisterà i poteri». Sennar aprì la palma. Chiuse gli occhi e recitò a mezza voce una formula. Un istante dopo, sulla sua mano brillava un fuocherello azzurro. Gli sfuggì un sorriso di soddisfazione. Sei tornato quello di prima. Ora datti da fare.

Estrasse dalla tunica un piccolo sacchetto di cuoio. Ne vuotò il contenuto sulla palma della mano: dieci piccoli dischi d’argento tintinnarono nel silenzio della stanza. Ondine sospirò e si rigirò nel letto. Il mago li distribuì a terra e iniziò a sussurrare una litania lenta e solenne. I dischi si mossero uno dopo l’altro, andando a formare un cerchio. Sennar li guardava concentrato. Niente. Possibile che mi sia sbagliato? Continuò a recitare l’incantesimo, finché il cerchio non prese a girare accelerando sempre di più. Ci siamo. Uno dei dischi si sollevò in aria. La superficie si tinse lentamente di nero e al centro emerse una runa scarlatta, fiammeggiante: due incisioni a formare una croce, una lunga barra verticale a intersecarle.

Sennar smise all’improvviso. Il disco tornò d’argento e cadde a terra, gli altri si fermarono di colpo.

Il mago rimase immobile nel buio, trattenendo il fiato. Si prese la testa tra le mani.

Il Tiranno. Era arrivato.

Ondine dormiva profondamente, rannicchiata sotto le coperte come una bambina. Sennar, pallido e con gli occhi cerchiati, si chinò su di lei e le scosse con dolcezza una spalla.

La ragazza si stirò e sbatté le palpebre per abituarsi alla luce della lanterna. Quando lo mise a fuoco, si alzò di scatto, preoccupata. «Che cosa è successo?»

Sennar si sedette sulla sponda del letto. «Ondine, voglio che tu mi ascolti attentamente.»

«Che cosa ha detto il conte?»

«Ascoltami. Tra poco verranno a prendermi per portarmi dal re...»

«Allora hai ottenuto il colloquio!»

Sennar le mise le mani sulle spalle. «Voglio che tu non ti muova dalla tua stanza, oggi. Per nessun motivo. Mi hai capito?»

Ondine lo guardò spaventata. «Che cosa succede, Sennar?»

Il mago scandì le parole: «Fa’ quello che ti ho detto e aspettami. Andrà tutto bene».

Dopo averlo incatenato, le guardie lo sospinsero tra due ali di folla: uomini, donne, bambini, volti curiosi e volti intimoriti. Sennar si guardò intorno e scrutò fra tutta quella gente, ma non riuscì a vedere nulla.

Varcò la soglia del palazzo ed entrò in un lunghissimo corridoio inondato di luce turchina. Lungo le pareti, sovrastate da una volta di altezza vertiginosa, erano disposte due schiere di lancieri.

Sennar era teso. Gocce di sudore gli imperlavano la fronte e si sentiva la bocca completamente asciutta. Una goccia cadde sull’elegante tappeto e disegnò un piccolo punto scuro. Stai calmo, calmo e concentrato. Da una parte doveva convincere il re, dall’altra tenere la situazione sotto controllo. Non era in gioco solo la sua vita, ma quella di tutto il mondo conosciuto.

Il corridoio si aprì su un’immensa sala scarlatta. Le pareti erano rosse come il sangue e la luce filtrava attraverso piccole ogive trasparenti. In fondo al salone c’era una grande porta smerigliata. Le guardie la spalancarono e Sennar si trovò catapultato nella piazza in cui si tenevano le udienze. Era una sorta di anfiteatro, sconfinato e gremito di gente. Una passerella di vetro attraversava tutta l’arena fino a un palco, che si alzava ad almeno sei braccia da terra. Vi si accedeva tramite una scalinata che poi proseguiva e si inerpicava ancora più in alto, dove spiccava un trono di cristallo blu.

Le guardie si fermarono a metà della passerella. Sennar sentì le gambe cedergli. I suoi pensieri si fecero via via più confusi. Cercava disperatamente di percepire qualcosa dalla folla, ma l’agitazione, la paura e l’immensità del luogo lo confondevano. Gli girava la testa.

Poco più avanti c’era il conte.

«C’è qualcosa che non va, Varen!» urlò.

«Zitto!» gli intimò una guardia, poi lo strattonò.

Il conte non lo aveva sentito. Voltati, voltati, ti prego!

Sennar fece per avvicinarsi, ma i soldati lo bloccarono.

Poi nella piazza risuonarono squilli di tromba e avanzò un corteo di guardie armate di spade, seguite da un uomo massiccio, a torso nudo. Aveva il volto coperto da una maschera di cristallo nero. I muscoli delle braccia sembravano sul punto di scoppiare sotto la pelle candida. Impugnava una scure. Il boia.