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Sennar si alzò e iniziò a correre. Ogni volta che poggiava il piede a terra, una fitta lancinante gli mozzava il fiato, ma non si arrese. Il mago nero filava dritto come una scheggia, il mantello al vento, e abbatteva una dopo l’altra le guardie che cercavano di fermarlo.

Sennar continuò a tallonarlo. Ormai zoppicava e rischiava di cadere a ogni passo. Vedeva quel maledetto davanti a sé, avvolto da una strana cupola color porpora. Sennar non aveva mai incontrato una barriera come quella, ma decise di tentare ugualmente. Valutò la distanza che lo separava dal nemico e gli parve sufficiente. Stese le mani e urlò una formula con quanto fiato aveva in corpo.

La cupola purpurea si infranse in una pioggia di schegge e l’uomo cadde sul selciato.

Sennar raccolse da terra la spada di una delle guardie uccise e si avvicinò, trascinando la gamba ferita. L’incantesimo di pietrificazione era una formula da principianti, su un vero mago non sarebbe durato a lungo. Doveva renderlo inoffensivo al più presto. Ma quando fu finalmente a un passo dal nemico e gli scoprì il capo, Sennar ebbe un istante di vertigine.

«Chi non muore si rivede, eh, consigliere?»

Ai suoi piedi c’era un ragazzo di una ventina d’anni, con un ciuffo di capelli corvini che gli ricadeva sulla fronte e beffardi occhi verdi.

Sennar lo aveva conosciuto a Makrat, mentre perfezionava con Flogisto l’addestramento per diventare consigliere. Avevano anche parlato, qualche volta. Rodhan, ecco come si chiamava. Era un giovane e promettente mago della Terra del Sole. Era uno di loro.

«E bravo Sennar» sogghignò Rodhan. «Chi se lo sarebbe immaginato? Il Tiranno non avrebbe scommesso su di te nemmeno mezzo dinar e invece guarda cosa sei stato capace di fare. Complimenti per il discorsetto, sei proprio bravo a parlare. Ma sappi che né tu né nessun altro potrete mai fermare il Mio Signore.»

Sennar ansimava e la gamba non gli dava tregua. «Ti ha addestrato Flogisto, il mio maestro... Perché?»

«Perché il Tiranno è grande, perché voi non siete che formiche al suo cospetto.» Il ragazzo si rivolse alla piccola folla che osservava la scena, ammutolita: «E questo vale anche per voi! Ora il Tiranno sa dove siete, ricordatevelo sempre!». L’incantesimo stava per svanire, presto l’emissario del Tiranno sarebbe stato di nuovo in grado di nuocere. Sennar sentì tra le mani l’elsa della spada e un pensiero repentino gli attraversò la mente.

Rodhan se ne accorse. «Ti consiglio di uccidermi, o sarò io a farlo» sussurrò con un sorriso assurdo, del tutto inadeguato alla situazione.

Sennar strinse la presa, esitante. Non aveva mai ucciso nessuno. Poi sentì uno scalpiccio alle spalle e un sibilo poco sopra la testa.

Un istante dopo, una lancia infisse al suolo Rodhan, quel ghigno insensato ancora dipinto sulle labbra.

Sennar si voltò di scatto.

Un soldato lo sovrastava. «La guerra è guerra» disse cupo.

15

L’uomo nell’ombra.

Le trappole avevano funzionato. Dei briganti non c’era traccia, ma Nihal e Laio furono ugualmente guardinghi e per riprendere il viaggio che avevano interrotto scelsero una strada più lunga.

La paura a poco a poco passò e Laio raccontò a Nihal della sua prigionia.

«Non mi hanno trattato male. Mi tenevano legato, ma per gran parte del tempo mi hanno ignorato. Mangiavo lo stesso cibo che mangiavano loro. No, la cosa peggiore non era essere lì. Era che ti credevo morta, Nihal» disse, guardandola negli occhi.

«Anch’io sono stata in pena per te» ammise lei, senza imbarazzo.

Quei pochi giorni trascorsi nella paura che potesse accadere qualcosa a Laio avevano fatto capire a Nihal quanto avesse bisogno di lui. Ido era il suo maestro, ma ora che Sennar era lontano, Laio era l’unico vero amico che avesse.

Nihal e Laio si erano inoltrati nella Terra dell’Acqua e i ruscelli che accompagnavano il loro cammino glielo ricordavano a ogni istante.

Giunsero in vista di Laodamea, la capitale, con quattro giorni di ritardo sulla tabella di marcia. La vista di quella splendida città risvegliò in Nihal ricordi dolorosi. Era stato lì che aveva duellato con Fen e che si era innamorata di lui.

«Dov’è la casa di tuo padre?» chiese a Laio, per scacciare quel pensiero.

«Fuori dalla città» rispose cupo Laio e Nihal tirò un sospiro di sollievo.

Le mura sparirono presto all’orizzonte, per far posto a boschi rigogliosi che risuonavano del canto allegro degli uccelli. Non c’era altro luogo in tutto il Mondo Emerso in cui il verde fosse brillante come nella Terra dell’Acqua. Le foglie degli alberi erano grasse e lucide, l’erba compatta e profumata, la natura ricca e generosa.

Nihal conosceva quella Terra, ma ogni volta la riempiva di stupore. Camminava senza smettere di guardarsi intorno e di tanto in tanto sbirciava di sottecchi Laio, che marciava a testa bassa, concentrato come un guerriero prima della battaglia.

«Quando saremo lì, non voglio nessun aiuto da te» disse a un tratto il ragazzo.

«Lo so» ribatté Nihal. «Sono qui per accompagnarti, nient’altro.»

«Lui ti irriterà, è bravissimo a farlo, ma mi devi promettere di non rispondere alle sue provocazioni.»

«Non lo farò.»

Per un po’ sentirono solo il fruscio dei loro passi tra le felci.

«Comunque» borbottò Laio «grazie per essere qui.»

Nihal sorrise.

Il bosco si fece più cupo. Le chiome degli alberi si intrecciavano e nascondevano la luce del sole, l’erba era scomparsa e i loro piedi calpestavano solo foglie secche e marce. Era giorno, ma si muovevano nella penombra. Persino l’aria si era fatta più fredda, notò Nihal mentre si stringeva nel mantello.

La casa emerse all’improvviso dal folto.

Era una grande magione, stretta d’assedio dalla vegetazione. Nonostante le dimensioni della costruzione, non c’erano decorazioni inutili né pacchiane esibizioni di ricchezza. Era una dimora sobria e spartana. Questo Pewar dev’essere un soldato fino al midollo, rifletté Nihal.

Fu Laio, taciturno e silenzioso, a guidarla per i meandri del bosco fino all’ingresso.

A mano a mano che si avvicinavano, Nihal ebbe modo di osservare la casa con più attenzione. Tutte le finestre erano sbarrate. Non fosse stato per la tinteggiatura fresca sui muri e il legno fiammante delle imposte, sarebbe sembrata abbandonata.

Laio bussò timidamente e la pesante porta d’ingresso si aprì.

«Bentornato, signore, vi aspettavamo. Se volete seguirmi» disse un servitore impettito.

Laio entrò a capo chino e Nihal lo imitò. All’improvviso piombarono nel buio più fitto. La casa era immersa nell’oscurità, rischiarata solo dalla debole luce di alcune fiaccole appese alle pareti.

Laio si muoveva con disinvoltura, ma Nihal riusciva a malapena a distinguere la mobilia. Finì per urtare una credenza in un angolo.

«Dammi la mano, ti guido io» disse il ragazzo.

Nihal non se lo fece ripetere.

«Capita spesso che le case della mia gente in esilio siano così, sai? Chi viene dalla Terra della Notte non ama la luce. Nella mia famiglia le finestre sono sempre state tenute chiuse. A parte di notte, naturalmente. Mio padre sostiene che è un modo per ricordarsi delle proprie radici.»

Nihal si fece guidare come una cieca, finché gli occhi non si abituarono alle tenebre e poterono distinguere il profilo delle cose.

Attraversarono lunghi corridoi, che collegavano stanze spaziose, tutte arredate con il minimo indispensabile. Un tavolo al centro, una cassapanca contro una parete e poco altro. Quasi in ogni stanza c’erano camini così ampi che Nihal sarebbe potuta entrarci. Le pareti erano fitte di spade, lance e armi di ogni genere.

Regnava un silenzio perfetto, rotto solo dall’eco dei loro passi sul pavimento di pietra. C’era odore di chiuso. Sembrava di essere scesi nelle viscere della terra. Nihal iniziò a sentirsi oppressa da quel luogo.

Finalmente giunsero davanti a una porta massiccia e il servitore si fece da parte. Laio prese un profondo respiro, quindi aprì il doppio battente.