Il salone in cui entrarono era molto più grande dei precedenti e meglio illuminato. Al centro c’era un lunghissimo tavolo, a un capo del quale era seduto Pewar.
Assomigliava molto al figlio: capelli biondi e ricci e occhi grigio chiaro, ma al suo volto mancava la vivacità di Laio. Aveva i lineamenti duri e lo sguardo severo di chi impone a sé e agli altri una rigida disciplina. Benché si trovasse a casa propria, vestiva con l’uniforme che adottavano i generali durante i consigli di guerra. Al fianco aveva la spada.
Non si alzò neppure. Fu Laio a farsi avanti, per poi salutarlo con un inchino rispettoso. Pewar rispose ponendogli rigidamente una mano sulla spalla. «Ti aspettavo giorni fa.»
«Io e la mia compagna abbiamo avuto problemi durante il viaggio.» La voce di Laio tremava.
L’uomo volse gli occhi verso Nihal e la squadrò da capo a piedi. Il mezzelfo chinò il capo.
«È lei la causa della tua permanenza in quell’accampamento?» chiese.
«È lei che mi ha salvato dai nemici nei quali mi ero imbattuto. Ero ferito, quindi mi ha portato alla base. È anche merito suo se ora sono qui. Mi ha salvato da una banda di briganti» disse Laio tutto d’un fiato.
Pewar scrutò Nihal a lungo e lei sostenne il suo sguardo. «Avrò modo di discutere con te in seguito. Ora lasciami solo con mio figlio. Un servitore ti condurrà alla stanza che ti è stata riservata.»
Il servo comparve silenzioso alle spalle di Nihal e lei non poté fare altro che seguirlo.
Nihal restò nel buio umido della sua stanza per un tempo che non seppe calcolare. L’oscurità la soffocava e si costrinse a fissare la fiamma guizzante dell’unica candela che rischiarava l’ambiente.
Finalmente sentì bussare alla porta e Laio entrò con aria mesta. Aveva gli occhi lucidi.
Nihal non ci mise molto a capire. «Non è andata bene, vero?»
Laio si limitò a scuotere il capo.
«Sapevi che non sarebbe stato facile.»
«Non sembrava neppure contento di vedermi sano e salvo» mormorò il ragazzo, mentre si torceva le mani. «Per quanto lo riguarda, potevo anche essere morto. Almeno non avrei infangato il buon nome del casato.»
«Non dire sciocchezze, Laio. Certo che era contento di vederti...» provò a consolarlo Nihal.
«Sai che cosa ha detto?» la interruppe lui. «Che solo i figli di nessuno fanno gli scudieri. Che è un lavoro indegno e che io appartengo a una famiglia di grandi guerrieri e non posso essere da meno dei miei antenati.» Nihal vide lacrime di rabbia inumidirgli gli occhi. «Comunque non mi interessa. Non ho passato tutto quello che ho passato per tirarmi indietro proprio ora. Stavolta non mi farò piegare. Stavolta farò di testa mia.»
Per quel giorno Pewar non si degnò di convocare Nihal. A quanto sembrava, i vertici dell’Accademia avevano tutti lo stesso modo di fare. Anche Raven si divertiva a lasciare attendere oltre i limiti del ragionevole coloro che si recavano da lui per un’udienza. Palloni gonfiati , si sfogò tra sé Nihal.
Fino all’ora di cena la casa fu silenziosa come un cimitero, poi un campanello annunciò che il pasto stava per essere servito. Mangiarono nella stessa sala dove Laio e suo padre avevano discusso: una zuppa frugale, pane nero e acqua. Si mangia meglio alla mensa della base , pensò Nihal.
Pewar evitò gli sguardi dei suoi ospiti per quasi tutto il tempo. Il rumore più vivace era il cozzare dei cucchiai nelle scodelle.
Solo verso la fine della cena il generale ritenne di poter rivolgere la parola a Nihal. «Laio mi ha raccontato dell’imboscata. Ti sono grato per il servigio che mi hai reso salvando mio figlio» disse serio.
«Laio è un amico. Non c’è bisogno che mi ringraziate» rispose Nihal compita.
«La riconoscenza e l’esaltazione del coraggio sono due capisaldi dell’esercito» ribatté Pewar rigido. «Come ricompensa, desidero che tu scelga una qualunque delle armi nella sala grande. Dopo ti ci condurrò io stesso.»
Nihal provò a declinare l’offerta. «Vi prego, non mettetemi in imbarazzo» mormorò.
«Insisto perché accetti il mio dono. Un tuo rifiuto sarà per me un’offesa.»
Un uomo abituato a farsi obbedire. Laio aveva proprio ragione. «Come desiderate, allora. Sarò lieta di ricevere il vostro omaggio» rispose Nihal.
Cacciò indietro la stizza. Era lì per aiutare Laio, non per litigare con suo padre. Ma avrebbe fatto volentieri a meno di dover leccare i piedi anche a lui, oltre che a quel damerino di Raven.
Come promesso, dopo cena Pewar accompagnò personalmente Nihal nella sala di cui aveva parlato. Armi di ogni tipo ricoprivano le pareti: balestre, spade, archi, pugnali, mazze ferrate. Nihal non dubitava che quell’uomo sapesse maneggiarle tutte alla perfezione.
La ragazza prese un pugnale semplice e anonimo e Pewar dimostrò di apprezzare la scelta, segno evidente che quell’inutile cerimonia era dettata solo dal formalismo.
«L’ora è tarda, sarete stanchi per il viaggio» disse il generale alla fine.
Nihal fece un rapido calcolo. Tarda? Il sole era calato da neppure due ore!
«Che ognuno si ritiri nella propria stanza» concluse l’uomo, poi rivolse loro un secco saluto e se ne andò.
Nihal fu presa in consegna dal solito servitore taciturno, mentre Laio si diresse verso la sua vecchia stanza con la stessa attitudine dell’agnello che va incontro al lupo.
Il sole era sorto da poco, quando Laio andò a svegliare Nihal.
La ragazza si stropicciò gli occhi. «Sempre così mattinieri, voi della Terra della Notte?»
Laio rispose con un sorriso tirato.
Pewar li attendeva già nella sala da pranzo, seduto all’estremità del lungo tavolo. Era impeccabile, esattamente come il giorno prima, e abbigliato nello stesso identico modo. Non sembrava neppure che fosse andato a dormire.
A tavola c’erano tre scodelle colme di latte di capra e l’immancabile pane nero. Un vassoio di mele piccole e asprigne costrinse Nihal a chiedersi dove accidenti avessero trovato della frutta così in una terra florida come quella dell’Acqua. Quest’uomo si è proprio portato il campo di battaglia a casa.
Mangiarono in silenzio, poi Pewar si alzò. «A metà mattinata ti aspetta un duello, Laio. Fa’ in modo di essere pronto tra due ore esatte» disse con voce marziale.
Laio alzò la testa dalla scodella vuota. «Che duello?» chiese spaesato.
«Il primo di una lunga serie» rispose secco Pewar. «Stando a quel che mi hai detto, non prendi in mano una spada da parecchi mesi. È tempo di ricominciare a fare pratica. Il tuo addestramento inizia oggi.» Poi il generale si rivolse a Nihal. «Per quanto ti riguarda, puoi tornare al campo di battaglia. Ritieniti congedata da questa casa a partire da domani.»
«Io non ho intenzione di combattere» disse Laio.
«Tra due ore. Puntuale» ripeté Pewar, poi si allontanò.
«Io non voglio combattere!» urlò Laio, ma suo padre stava già per infilare la porta.
Nihal sentì il sangue salirle alle guance e, nonostante tutti gli inviti alla calma che si era ripetuta, si alzò di scatto. «Avete sentito o no vostro figlio?»
Laio la guardò. Nei suoi occhi vi era una tacita supplica, ma Nihal la ignorò.
Pewar si bloccò sulla porta e si voltò lentamente. «Io sono un tuo superiore e tu sei nella mia casa. Chi ti ha autorizzata ad alzarti e a rivolgermi la parola?»
Il cuore di Nihal tambureggiava sotto il corpetto di pelle, le mani che stringevano il bordo del tavolo erano sbiancate. «Vostro figlio non vuole combattere.»
«Nihal...» sussurrò Laio.
Pewar le scoccò un’occhiata gelida. «Ti voglio fuori di qui entro stasera» scandì, prima di uscire sbattendo la porta.
«Mi avevi promesso che saresti stata zitta, maledizione!» la aggredì Laio.
«Sì, ma lui...»
«Questa è la mia battaglia, lo capisci? La mia!»
Nihal sentì l’ira sbollire. «Volevo solo...»