Si era svegliato il giorno dopo, in un letto con baldacchino, sotto una coperta di broccato. Si trovava in un’ampia stanza le cui pareti erano ricoperte da un mosaico: piccole conchiglie perlacee di tutte le sfumature del rosa irradiavano una luce tenue e riposante. Da un oblò ogivale si intravedevano le guglie più basse del palazzo.
Sennar aveva passato molte ore in uno stato di semincoscienza. Il volto sorridente di Rodhan lo tormentava, poi vedeva la lancia che lo uccideva e sentiva le parole del soldato: «La guerra è guerra». Era trascorsa così un’altra giornata e ora il re gli stava di fronte.
«Vi devo ringraziare, consigliere.»
«Non ho fatto niente di straordinario» disse Sennar a fatica, ma Nereo lo interruppe con un cenno.
«Vi devo ringraziare e devo scusarmi con voi. Avevate ragione: un pericolo incombeva e non ce ne eravamo accorti.»
Il re iniziò a camminare pensieroso avanti e indietro, mentre il suo scettro batteva ritmicamente al suolo. «Quante forze ha in campo il Tiranno?»
«Molte, Maestà. Centinaia di migliaia di guerrieri. Sembrano inesauribili.» Sennar parlava con voce stanca.
«E le armi?» chiese Nereo, sempre più scuro in volto.
«Tutte quelle note. I guerrieri usano per lo più la spada o la lancia, i fammin danno il meglio di sé con l’ascia.»
Il re si fermò davanti alla finestra. «Credete che verranno?» chiese alla fine.
Sennar guardò la sua figura stagliarsi contro il blu. «Non lo so, Vostra Maestà. Anche per il Tiranno battersi su due fronti sarebbe impegnativo, ma questo non significa che non potrebbe decidere di provarci.»
Il re si voltò e si rivolse a Sennar con voce solenne: «Basta così. Ho deciso di farvi accompagnare in superficie da un ambasciatore. Parteciperà alle sedute del vostro Consiglio e avrà pieni poteri: le sue decisioni saranno le mie decisioni. Sarà lui a stabilire quanta parte del nostro esercito verrà impiegata. Non siete più soli, consigliere». Diede a Sennar un’ultima occhiata decisa, poi uscì dalla stanza senza aggiungere altro.
Sennar avrebbe voluto sentirsi meglio, avrebbe voluto godere di quel momento. Ma non ci riusciva. Non era la gamba, e nemmeno la stanchezza che si sentiva addosso. «La guerra è guerra» aveva detto il soldato. L’aiuto che gli veniva offerto non significava la vittoria della pace, ma il trionfo della guerra. E Sennar non poteva fare a meno di pensare che aveva contribuito a far entrare la guerra a Zalenia.
Quando Ondine fece ingresso nella stanza di Sennar, aveva gli occhi rossi e il viso tirato di chi non ha dormito. Aveva dovuto aspettare tre giorni prima di ottenere il permesso di incontrarlo. Ora le guardie erano diventate sospettose e Sennar era considerato un facile obiettivo.
Si sedette sul letto, agitata. «Che cosa ti hanno fatto?»
«È tutto passato» la rassicurò Sennar.
«Le notizie che mi arrivavano erano così confuse! C’era chi diceva che eri morto, chi sosteneva che ti avrebbero tagliato una gamba... È stato terribile, Sennar. Ho creduto di impazzire.»
Lui la lasciò sfogare. «Ora sto bene, vedi? E presto potrò alzarmi» disse. Già, si sarebbe alzato di nuovo.
Ondine lo guardò negli occhi. «Che cosa ha detto il re?»
«Che avremo il vostro aiuto.»
Ondine gli buttò le braccia al collo. «Allora ce l’hai fatta!» esclamò entusiasta. «Hai visto che avevo ragione?»
«Sì, avevi ragione» mormorò Sennar.
Lei si staccò e gli accarezzò il viso, sorridendo. Sennar abbassò lo sguardo. Ondine, potrai mai perdonarmi?
Rimase a letto per una settimana. Dopo tanta immobilità, la gamba gli obbediva poco e spesso si divertiva a cedere sotto il peso del corpo. Per fortuna c’era sempre Ondine, pronta al suo fianco, che lo sorreggeva e lo aiutava, lo assisteva con assoluta dedizione. Sennar non riusciva a scacciare la sensazione di benessere che provava quando stava con lei, tanto che pensò di essersi sbagliato. Forse la sua felicità era legata a quella ragazza, forse non era impossibile pensare a una vita con lei. Ma erano solo momenti e Sennar lo sapeva bene. Ciò che voleva davvero era lontano da quegli abissi, la persona che amava era alla luce del sole e non serviva a niente ingannarsi come aveva fatto in quelle settimane. Era stato sciocco. Sciocco e superficiale. E ora doveva pagarne il conto.
La data della partenza fu stabilita e i giorni che mancavano trascorsero tra colloqui con il re e i suoi dignitari. Sennar li mise al corrente di tutti i dettagli della guerra e delle condizioni dell’esercito delle Terre libere, poi passarono a pianificare un’ipotesi di alleanza tra Zalenia e il Mondo Emerso.
Conobbe anche Pelamas, l’ambasciatore che lo avrebbe accompagnato. Era un uomo di mezza età, flemmatico e dall’espressione imperscrutabile, che parlava poco e solo di questioni diplomatiche. Guardava Sennar con una certa ammirazione e lo trattava con rispetto, ma sembrava continuamente in lotta contro il disgusto per la pelle scura e i capelli rossi del giovane consigliere.
Sennar trascorreva tutto il suo tempo libero con Ondine. Avrebbe voluto spezzare lentamente il filo che lo legava a lei, ma non ci riusciva. Cercò di essere più freddo, anche se gli costava fatica, ma Ondine accettava la sua distanza senza fare domande.
Quando arrivò l’ultima sera a palazzo, Sennar volle passarla in uno dei giardini che punteggiavano la reggia, quello che si trovava proprio sotto la colonna, dove si sentiva fischiare il vento che saliva lungo il condotto. Quel rumore solenne e quasi lugubre si mescolava al sommesso chiocciare di una piccola fontana. Era un luogo malinconico e Sennar pensò che fosse il più adeguato per dire addio al Mondo Sommerso. Seduto di fronte alla fontanella, fissò lo scorrere lento e regolare del sottile getto d’acqua. Pensò a tutto quello che era accaduto, alla paura che l’aveva accompagnato per l’intero viaggio, al terrore cieco che aveva provato nel gorgo, ai pirati, ad Aires, alla dolcezza di Ondine, che quella sera avrebbe visto per l’ultima volta.
La ragazza lo raggiunse poco dopo e Sennar fu contento di interrompere quell’attesa, quel susseguirsi di pensieri. Ondine si fermò davanti a lui, immobile, controluce. A Sennar parve identica al giorno in cui l’aveva conosciuta, quando si era avvicinata alle sbarre della cella con il vassoio tra le mani. Ma ora il suo volto era serio.
«Domani parti» disse lei.
«Già, pare che io sia guarito» mormorò Sennar.
Ondine tacque a lungo. Poi si schiarì la voce e fece un profondo respiro. «In questi giorni ho riflettuto molto, Sennar.» Alzò la testa, l’espressione determinata. «Voglio venire con te nel Mondo Emerso.»
Sennar la guardò negli occhi. «Ondine, io...» Lei sostenne il suo sguardo. «Vivo in un paese in guerra, lo sai. Devo controllare l’esercito della Terra del Vento, è questo il mio compito. Non voglio che tu veda quello che accade laggiù, non voglio che...»
All’improvviso Ondine alzò la voce. «Piantala di dire sciocchezze. Non trattarmi da stupida, Sennar!»
Ha ragione lei. Mi ha salvato la vita, mi è stata accanto. Merita la verità, non queste pietose bugie. Ma Sennar non ce la faceva. Era paralizzato. Guardava il viso dolce di Ondine e la voce gli moriva in gola.
Lei gli prese le mani. «Tu mi vuoi, Sennar? Devo saperlo. Vuoi che venga con te?»
L’acqua scendeva lenta dalla fontana e il vento continuava il suo lamento.
Sennar chiuse gli occhi. «No, Ondine» disse in un sussurro. «Domani partirò da solo.»
La stretta di Ondine si allentò a poco a poco, le mani le ricaddero lungo i fianchi. Restò in piedi, senza dire una parola.
«Ondine, ascoltami, ti prego. Io ti voglio bene, sei una ragazza stupenda. Mi hai aiutato, sei stata la mia compagna in questa avventura. In tanti momenti ho pensato che restare insieme a te sarebbe stato bello. Perché con te stavo bene... sto bene. Ma dentro di me so che non posso.»