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«Ti ricordi quella sera nella tua cella?» disse lei con un filo di voce. «Quando un uomo bacia una donna vuol dire che la ama. Perché mi hai baciata, Sennar?»

Sennar sentì un nodo alla gola. «Perché sei bella come poche altre. E speciale. Dopo tanti morti, tanta sofferenza, avevo bisogno...» Si interruppe. «C’è qualcuno nel Mondo Emerso, da cui voglio tornare, Ondine.»

Lei rimase immobile, gli occhi piantati in quelli di Sennar.

«Non so come spiegarti, non so dirti se ne sono innamorato. Quando stavo con te credevo di averla dimenticata. Poi un giorno, all’improvviso, ho capito che non volevo più pensarci perché mi faceva male. Ho capito che mi stavo illudendo. Che ti stavo illudendo.»

La ragazza strinse i pugni. Le lacrime iniziarono a scenderle piano lungo le guance. Non le sfuggì nemmeno un singhiozzo.

Sennar allungò le dita verso il suo viso, ma Ondine arretrò di qualche passo. L’uscita del giardino era vicina.

«Addio, Sennar» disse sottovoce, poi si allontanò senza voltarsi indietro.

La luce era di nuovo limpida, il giorno seguente. Sennar raggiunse l’arena con la testa ancora piena dei pensieri che lo avevano tenuto sveglio tutta la notte e l’immagine di Ondine che piangeva in silenzio impressa negli occhi.

Quando il conte Varen gli andò incontro, Sennar non gli diede neppure il tempo di parlare: «Vorrei che vi prendeste cura di Ondine nel viaggio di ritorno, conte». Varen annuì e Sennar seppe che aveva capito.

«Grazie per aver creduto in me, Varen» disse, mentre gli tendeva la mano.

Il conte ricambiò la stretta e si sforzò di sorridere. «Sono io a doverti ringraziare, mi hai fatto ricordare cose che avevo perduto. E poi» disse, in un tentativo di essere allegro «non è detto che questo sia un addio. Ormai siamo alleati, chissà che non ci si riveda, prima o poi.»

«Già, chissà» rispose Sennar, poi raggiunse la carovana con cui era in procinto di lasciare Zalenia per sempre.

Il viaggio ebbe inizio. Sennar aveva il cuore pesante. Partiva dalle profondità marine e portava con sé il ricordo di molti momenti indimenticabili, ma che cosa si lasciava alle spalle? Il viso triste di Ondine. E uno strascico di morte.

Quando la vide sul ciglio della strada, in attesa, il cuore ebbe un sobbalzo.

«Fermiamoci un istante, vi prego» disse all’ambasciatore Pelamas che cavalcava al suo fianco. Tutto il loro seguito si arrestò.

Il mago scese da cavallo e la raggiunse. Si guardarono a lungo.

Fu lei a parlare. «Come si chiama la tua donna?»

«Non è la mia donna...»

«Voglio sapere come si chiama.»

«Nihal.»

«Devi giurarmi una cosa» disse lei con voce seria.

«Che cosa?»

«Se è tanto importante per te, se per lei rinunci a me... devi giurarmi che farai di tutto per essere felice con lei. Se scoprirò che non lo hai fatto, non ti perdonerò mai. Io ho qualche diritto su di te, Sennar, ricordi? Ti ho salvato la vita. Adesso giura.»

Sennar sorrise. «Te lo giuro.»

Ondine gli fece un cenno col capo, quindi voltò le spalle e si allontanò, tagliando per il campo che costeggiava la strada.

Sennar la vide diventare sempre più piccola, finché non fu una minuscola figura che spariva all’orizzonte.

Risalì a cavallo. «Possiamo andare» disse all’ambasciatore.

La carovana si rimise in movimento. Sennar chiuse gli occhi per non guardare oltre quella terra.

ALLA RICERCA.

17

Un nuovo cavaliere.

Nihal si avvicinò alla capanna di legno con titubanza. Non era affatto sicura di quello che stava per fare, anche se aveva riflettuto a lungo. Aveva paura. Proprio lei, che sul campo di battaglia non si lasciava mai prendere dal panico, che non temeva né la morte né le ferite. Piantala di fare la femminuccia. Ormai hai deciso. Entra e basta.

Sarebbe stato un regalo per il suo compleanno, ma soprattutto per la sua nomina a Cavaliere, ormai imminente.

Si ritrovò in una stanza buia e soffocante. «C’è nessuno?» chiese ad alta voce.

Si fece avanti un omone. Sembrava uno di quei venditori di carne che aveva visto al mercato: grasso, sporco e sudato. Un brivido le percorse la schiena. L’uomo si puliva le mani con uno straccio.

«Chi sei?» chiese.

«Una cliente, ovvio» rispose Nihal, cercando di darsi un contegno.

«Le donne non si fanno tatuaggi» rispose quello senza scomporsi.

«Non si finisce mai d’imparare: io sono una donna che se li fa. Sono un Cavaliere di Drago» disse. Scoprì lo stemma che aveva sul petto.

L’uomo ebbe un attimo di stupore, poi riprese la sua espressione apatica. «Non ancora, sei un allievo.»

«Domani ci sarà la cerimonia di consacrazione.»

«Ce li hai i soldi?»

La ragazza tirò fuori un sacchetto e ne sparse il contenuto su un tavolo. «Questi bastano?»

L’uomo li valutò con attenzione, annuì e andò in una stanza attigua.

Nihal restò sola nella penombra. Molti Cavalieri prima della nomina si facevano un tatuaggio, era una specie di tradizione. Naturalmente fioccavano le leggende sull’atroce dolore che bisognava sopportare e parecchi si erano divertiti a spaventarla. Ido, invece, era stato laconico. «Ci manca solo quello» aveva detto, e con quelle quattro parole aveva sancito tutta la sua disapprovazione. Ma ormai era fatta, era inutile avere paura: qualche minuto e sarebbe finita.

Quando il tatuatore tornò, aveva tra le mani un coltello sottile e affilato e una serie di ciotole piene di pigmenti colorati. «Dove lo vuoi, questo tatuaggio?» chiese con un sorrisetto ambiguo.

Tutti così, quelli che incontrava: o non la prendevano sul serio, oppure iniziavano a guardarla con quello sguardo laido. Nihal sbuffò e sguainò piano la spada. Il suo riflesso nero percorse il volto dell’uomo che le stava davanti. Il tatuatore cambiò immediatamente espressione.

«Solo per ricordarti che quest’arma non è qui per bellezza» disse Nihal con tutta calma. «Ora veniamo a noi. Il tatuaggio lo voglio sulla schiena, per cui adesso mi spoglio. Tu invece ti giri e non ti volti finché non mi sono sdraiata su quel tavolo. Sono sicura che sei una brava persona, ma la prudenza non è mai troppa. Tutto chiaro?»

L’uomo deglutì in silenzio e fece un cenno col capo.

«Perfetto. Girati.»

«Che tatuaggio vuoi?» chiese l’uomo, mentre le dava la schiena. Gli tremava la voce e a Nihal venne quasi da ridere.

«Due ali di drago, una per spalla. Chiuse.»

«Perché chiuse?»

«Perché quando sarà il momento le spiegherò al vento e volerò via. Puoi girarti, ora.»

Prona sul tavolo, la schiena nuda, Nihal sentì l’uomo avvicinarsi e passarle un panno caldo sulle spalle. Si accorse che il cuore le batteva forte e si maledisse per quella stupida paura. Infine vide il coltello e la punta già nera di inchiostro. Strinse gli occhi e sentì la lama inciderle la pelle.

Uscì dalla capanna felice. La schiena era indolenzita e la ferita le bruciava, ma ora aveva le sue ali. Non restava che capire quando si sarebbero spalancate.

Quando arrivò alla base, trovò Ido ad attenderla sulla porta. «Dove sei stata?» chiese, tra un tiro di pipa e l’altro.

Nihal preferì rimanere sul vago. «In giro.»

«Tu non me la conti giusta» rispose lui, dopo averla scrutata a lungo.

«Ido, a volte ti comporti come se fossi mio padre!»

Lo gnomo sorrise. «Vieni dentro, forza, che dobbiamo parlare.»

Nihal lo seguì e lui la fece sedere.

«Allora, ti senti pronta per la cerimonia di domani?»

Nihal divenne seria. «Credo di sì» disse. “Credo” era la parola giusta.

«Bene, allora sarai pronta anche per questo» disse Ido, poi sparì dietro la porta della stanza accanto.

Ricomparve poco dopo con un fagotto di iuta, sotto il cui peso le sue gambe corte si piegavano. Lo buttò sul tavolo mentre Nihal lo fissava con uno sguardo interrogativo.