Nihal lo seguì per cercare di capire che cosa turbasse tanto il suo maestro, ma Ido fu vago e alla fine perfino sgarbato.
«Non mi piace quel posto, d’accordo? E non mi dare il tormento con i tuoi interrogatori! Non sei la sola ad avere brutti ricordi.»
Nihal desistette e si disse che non doveva più pensarci. Anche lei si era tenuta stretta i suoi segreti, in passato. Sapeva bene che le domande a volte possono essere insopportabili. Tuttavia la sua curiosità non si sopì.
Fu così che, dopo più di un anno di assenza, Nihal tornò a calcare le steppe della Terra del Vento. Aveva paura a rimettervi piede, perché era il luogo dove aveva perso tutti i suoi affetti, ma al tempo stesso sentiva che era un passo importante. Se da un lato temeva che il passato tornasse ad assalirla, dall’altro era consapevole di dover superare anche quella prova, o non avrebbe mai potuto mettere la parola fine a quel periodo della sua vita.
Si stabilirono in un campo appena oltre il confine della Terra dell’Acqua, vicino ai resti di una torre distrutta. In quel posto si respirava aria di rassegnazione. Ganna, il mago che faceva le veci di consigliere del campo, era un ragazzino. Di per sé la cosa non sarebbe stata un problema – anche Sennar era giovane – ma il giovane era poco esperto di tattica e di strategia e insicuro fino al parossismo. Durante le riunioni taceva, parlava solo se interrogato e non era capace di tirare fuori una buona idea nemmeno a pregarlo. Uno strazio.
Ido e Nihal non furono certo accolti a braccia aperte: una donna e uno gnomo non erano quello che i Cavalieri consideravano un valido rinforzo. Anche il generale del campo all’inizio li guardò con sospetto, poi si limitò a ignorarli, senza consultarli prima di prendere una decisione. Sembrava uno che ne avesse viste troppe in vita sua. Era magro, neppure troppo anziano, a giudicare dal corpo atletico. Eppure il viso era segnato da molte rughe, le spalle erano sempre curve, gli occhi grigi e spenti. Un uomo stanco della guerra e del sangue, un uomo stanco della vita. Si presentò come Mavern.
La ragazza non se ne preoccupò. Era abituata a quel modo di fare e aveva imparato che, quando si trattava di dare prova del proprio valore, la sua spada valeva più di mille discussioni.
Ido sembrava turbato, ma Nihal era certa che la cosa non avesse nulla a che fare con l’atteggiamento degli altri Cavalieri. Usciva di rado dalla sua tenda ed era diventato taciturno e pensieroso.
Chi invece non tardò a riscuotere la simpatia di tutti fu Laio. Divenne subito la mascotte del campo. I Cavalieri scherzavano con lui e approfittavano dei suoi servigi, tanto che in pratica divenne lo scudiero di tutti. Del resto, come si poteva non volergli bene? Era un ottimo aiutante di campo ed era sempre allegro, sempre disponibile: un raggio di luce nel buio di quella guerra.
Per la prima volta da quando aveva iniziato a combattere, Nihal ebbe la sua tenda personale.
Si adattò presto ai nuovi ritmi dell’accampamento, ma soprattutto si abituò a una vita in cui scendere in battaglia era l’attività principale. Quando stava alla base poteva passare anche settimane senza impugnare la spada, mentre lì i guerrieri avevano appena il tempo di riprendere fiato tra un’azione bellica e l’altra.
Il territorio pullulava di spie, gli attacchi nemici erano frequenti, e quando non subivano offensive, andavano a dare man forte a qualche accampamento vicino.
Nihal si fece valere già nella prima battaglia, durante un attacco a una torre, una delle tante. Trasgredì gli ordini che la volevano in seconda linea, si affiancò agli altri Cavalieri di Drago e si lanciò all’attacco al fianco di Ido. I due erano abituati a combattere insieme, erano efficaci e coordinati come un meccanismo ben oliato e furono di grande sostegno agli altri guerrieri. La torre venne conquistata rapidamente e senza troppe perdite.
La ragazza però non riuscì a evitare una solenne lavata di capo. Un tempo avrebbe fatto fuoco e fiamme per difendere la sua iniziativa, ma quella volta se la sorbì tutta in silenzio e con noncuranza.
«Avete ragione, ho sbagliato. Però ora la torre è nostra, se non sbaglio» disse solo alla fine, guardando Mavern negli occhi.
Quella bravata valse a lei e a Ido un salto in avanti nella stima dei Cavalieri del campo, che a poco a poco iniziarono a considerarli elementi indispensabili per la buona riuscita delle missioni.
Nel giro di un mese, la vita nel nuovo accampamento acquistò ritmi familiari e stancanti. Nihal combatteva molto e riposava poco. Si sentiva a suo agio.
Era una notte afosa, illuminata solo dalla luna piena.
Il caldo non dava tregua e opprimeva l’accampamento. Nihal aveva dimenticato quanto potessero essere soffocanti le notti della sua Terra. Era stanca, non aveva voglia di pensare, il sonno sarebbe stata la medicina migliore per la sua inquietudine. Invece non arrivava, la lasciava boccheggiante ad ascoltare i grilli, che frinivano a tutto spiano a un passo dalla tenda. Nihal odiava quegli insetti, le davano sui nervi. Alla fine uscì a guardare la luna e ad approfittare della brezza sottile che ogni tanto soffiava un alito agonizzante sulla steppa. Si sedette con la spada piantata a terra fra le gambe e chiuse gli occhi. Nel giro di poco si assopì.
Forse fu grazie ai suoi sensi sempre vigili, o forse fu solo un caso, ma a un tratto si svegliò e guardò in alto. Un’ombra nera passava rapida sul disco argenteo della luna. Fu solo un istante e le ci volle un po’ per rendersi conto di che cosa fosse. La consapevolezza arrivò insieme all’urlo della sentinella: «Siamo attaccati!». Il grido finì in un rantolo.
Nihal divelse la spada da terra e si lanciò verso le scuderie. Quello che aveva visto era un drago! Li attaccavano dal cielo! Incrociò i volti tesi dei guerrieri che uscivano dai loro alloggi, gli scudieri che avevano già iniziato a bardare i draghi, i fanti che correvano da una parte all’altra. E poi giunsero i fammin. Sembravano spuntati dal nulla, si lanciavano sulle tende a fare strage di chi si attardava. All’improvviso una luce squarciò la notte e si levò un vento caldo, insopportabile. Parte dell’accampamento divampò in un incendio, mentre in alto sopra di loro volavano gli uccelli sputafiamme. Non c’era tempo, né per Oarf né per l’armatura.
Nihal si dispose in posizione d’attacco solo con la spada e confidò nel buio per non essere riconosciuta. Il suo cuore rallentò, le sue percezioni si fecero più fini e fu pronta per combattere. Si lanciò sui fammin decisa e sicura.
Il campo non riuscì a reagire all’offensiva con prontezza. I più erano intontiti dalle fiamme, dal fumo e dal caldo. Ancora una volta, l’esercito del Tiranno si era mosso con astuzia e abilità.
Nihal vide avanzare Ido. Aveva in mano la spada ed era perfettamente in sé. Si fece largo con la solita calma, sgominando chiunque gli si parasse innanzi, e la affiancò.
«Ce n’è uno in groppa a un drago. È lui che incendia le tende. Va’ a prendere Oarf!» le urlò.
«Non c’è tempo, Ido!»
«Ti copro io! Tu pensa solo a correre» disse lo gnomo, poi con un balzo si fiondò sul fammin che insidiava la ragazza.
Nihal si lanciò di corsa verso la scuderia. Vide nuovamente l’ombra oscurare la luna e incombere minacciosa sul terreno. Fu allora che ebbe una strana sensazione.
Sulle prime le parve un semplice capogiro, ma era qualcosa di diverso. Accelerò la corsa. Abbatté due nemici che le si pararono di fronte e raggiunse il drago, che l’attendeva scalpitante. Infilò un elmo che trovò a terra: era più prudente coprirsi il volto. Non ebbe bisogno di dire nulla, saltò in groppa a Oarf e si alzarono in volo un attimo prima che le fiamme attecchissero anche sulle scuderie.
Dall’alto la situazione apparve in tutta la sua gravità: metà campo era invaso dal fuoco e numerosi cadaveri punteggiavano il terreno; nell’altra metà la battaglia infuriava, ma i fammin erano in superiorità schiacciante. Con le zampe irte di artigli brandivano spade diverse dalle solite, che mandavano strani bagliori rossastri. Nihal planò sul campo, Oarf afferrò un paio di quelle creature al volo e le uccise. Poi scese ancora e raccolse Laio, che correva alla ricerca di un riparo.