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«Aggrappati a me e non mi lasciare per nessun motivo» gli ordinò Nihal.

Continuò a mietere vittime col suo drago in mezzo alle file nemiche, sforzandosi di restare calma, di non perdere la concentrazione. Ma era difficile: lo spettacolo era orrido e scoraggiante. Sentiva l’amico stringerla; doveva portarlo da qualche parte, al sicuro. Vide una radura sgombra di nemici e pensò che fosse il luogo ideale.

«Ti porto giù» urlò. «Tu tieniti stretto la spada e se arriva qualcuno ammazzalo, d’accordo?» Sentì il viso di Laio annuire contro la sua schiena.

Dopo che lo ebbe depositato, si alzò di nuovo in volo, per poi scendere in picchiata sulla mischia.

Era costretta a combattere a un pelo da terra e percepiva lo sforzo che facevano le immense ali di Oarf, ma non c’era scelta. Tutto il campo era in fiamme. Non restava che cercare di vendere cara la pelle.

Non sapeva da quanto tempo combatteva, quando a un tratto si sentì assalita da una sensazione di oppressione e un coro di voci gementi le riempì la testa. Quell’urlo disperato le rimbalzò nel cervello. Si dimenticò dov’era e quel che stava facendo. Era la stessa sensazione che aveva provato il giorno della caduta di Salazar. Fu allora che, circondata dal crepitio delle fiamme, con le tempie che le pulsavano e la vista annebbiata, alzò lo sguardo e lo vide.

Era proprio sopra di lei, illuminato dalla luce funerea della luna. Sembrava immenso: un drago, ancora più nero del cielo notturno in cui si librava. Con le enormi ali membranose spalancate, si reggeva a mezz’aria e la guardava fisso, con uno sguardo lucido, senza odio, che le gelò il sangue nelle vene. I suoi occhi erano accesi di sangue, rossi come tizzoni ardenti che covano sotto la brace, e brillavano di una luce sinistra. Un uomo sedeva sull’animale. Un uomo indefinito nei contorni, immobile. Sembrava smisurato ed era nero, come il suo animale. Oarf, il drago possente e forte, che non temeva nulla di quanto vi era in cielo e in terra, tremò.

Si guardarono per un breve momento, ma a Nihal parve interminabile. Era paralizzata da quella figura, incapace di muoversi. Un taglio rosso si aprì nell’immensa figura nera e il drago spalancò la bocca scarlatta in un ghigno luminoso. Allora Nihal poté vedere gli occhi dell’uomo: occhi piccoli e brillanti, occhi da furetto, occhi sicuri. Le urla nella sua mente ebbero il sopravvento, la assordarono. Non capì più nulla, vide solo una vampata rossa andarle incontro, mentre cadeva in un abisso senza fondo. Un grido coprì le voci, un ruggito che pareva una risata di scherno e di vittoria.

Nihal si trovò a terra, protetta sotto l’ala di Oarf. Era intontita, non capiva nulla e sentiva un forte dolore a un braccio.

«Nihal, che ti ha preso? Sei ferita?»

La ragazza guardò imbambolata Ido e non riuscì a rispondere.

«Oarf, portala via di qui, al sicuro» disse lo gnomo, mentre la caricava di peso in groppa all’animale.

Nihal si aggrappò con tutte le sue forze e cercò di riprendere possesso dei suoi pensieri; mentre Oarf spiccava il volo, vide il drago nero scendere sull’accampamento come la morte, seminando distruzione. Di nuovo l’assalto delle voci si fece insopportabile. Allora ricordò e capì: Salazar al tramonto, la pianura incendiata dal sole e in lontananza l’esercito del Tiranno. In alto volava una figura tenebrosa, alata: lo stesso drago che ora aveva davanti agli occhi.

Ci volle un’intera notte di lotta senza quartiere per respingere l’attacco. Dovettero uccidere i fammin a uno a uno, perché per quelle bestie non esisteva ritirata. Il guerriero in groppa al drago nero li abbandonò prima dell’alba, quando era ormai chiaro che non sarebbero riusciti a prendere il campo.

I primi raggi del sole inondarono l’accampamento di una luce impietosa. Non era rimasta una sola costruzione in piedi. Avevano mantenuto la posizione, ma nulla di più. Il campo era perduto.

Quando Nihal lo vide, Ido si aggirava tra le ceneri, esausto. Era stato l’anima della resistenza e aveva combattuto senza tregua, incurante delle ferite, del caldo, del fuoco, della morte. Ora era sfinito. Un passo in più e sarebbe crollato.

La ragazza fece atterrare Oarf e gli corse incontro. «Ido, stai bene?» chiese allarmata, mentre passava in rassegna le ferite sul corpo dello gnomo.

«No, non sto bene, ma neanche tanto male come sembra» rispose lui con voce roca. La guardò e gli occhi si fermarono sull’ampia ustione sul braccio. «Sei ferita.»

«Non è niente» rispose lei. «Ora dobbiamo andarcene.»

Ido scosse il capo. «No, qualcuno potrebbe essere ancora vivo, in mezzo a questo macello. Devo trovarlo» mormorò. «Dobbiamo cercare...»

Nihal lo interruppe. «Vieni via, Ido. Vieni via.»

I superstiti, un centinaio di persone, poco più della metà degli originari abitanti del campo, furono riuniti in una radura poco distante. Era stata una sconfitta su tutta la linea. La perdita del campo era irreparabile e il numero dei feriti molto alto.

«Nihal, vuoi dirmi che cosa ti è capitato?» chiese Ido, quando si fu ripreso.

Il volto della ragazza si fece serio, mentre ricordava l’orribile sensazione che aveva provato davanti al drago nero.

«Allora?» insistette lo gnomo.

«Io conosco quel guerriero.»

Negli occhi di Ido passò un’ombra. «Quale?»

«Quello sul drago nero. Lo conosco, Ido. Quando Salazar venne assalita dall’esercito del Tiranno, io ero sulla terrazza della torre, insieme a Sennar.

Ho visto le lance dei fammin scintillare alla luce del tramonto. Ho visto l’esercito avvicinarsi. E alla sua testa c’era quell’uomo.»

Ido rimase in silenzio.

«Ieri notte, quando me lo sono trovato davanti, non ho capito più niente. È per questo che il suo drago mi ha colpita.»

«È Dola» mormorò Ido. «L’uomo di ieri notte si chiama Dola.»

Nihal guardò lo gnomo negli occhi. «Sennar mi ha parlato di lui. Dola... È lui che ha distrutto la mia città. È per colpa sua che mio padre è morto.»

Ido sostenne il suo sguardo, poi voltò la testa e chiuse gli occhi.

Si spostarono in un accampamento a poche miglia di distanza, sempre lungo il confine ma più verso occidente. Se si prestava attenzione, si poteva sentire il rumore delle correnti impetuose del Saar. Là Ido e Nihal ebbero il primo momento di pausa dal giorno in cui era avvenuto l’attacco. Da quella notte ciascuno dei due, a modo suo, era stato impegnato a cercare di risollevare la situazione. Non si erano lasciati scoraggiare, anzi, avevano infuso coraggio agli altri e supportato i generali nel rimettere insieme le file dell’esercito.

Nihal sapeva che Ido aveva apprezzato il modo in cui si era comportata. Nei suoi gesti sicuri, nella sua calma determinazione, lo gnomo aveva letto che ormai era una persona diversa, un guerriero maturo e affidabile. Ma lei non si sentiva affatto così. L’incontro con Dola l’aveva scossa e le aveva risvegliato ricordi insopportabili.

«Non riesco a smettere di pensare a quel guerriero il giorno dell’attacco a Salazar» disse una sera, mentre se ne stava a guardare il cielo estivo con Ido. «Ora me lo ricordo bene, sai? Cavalcava il suo drago nero e sotto di lui l’esercito si stendeva come la pece.» Si girò verso Ido. «Sai che cosa ha fatto alla gente della mia città? Li ha chiusi nella torre in fiamme e li ha lasciati bruciare vivi. Uomini, donne e bambini.»

Ido aspirò con calma dalla pipa e buttò fuori una nuvola di fumo compatto. «I generali del Tiranno si comportano tutti così.»

Nihal alzò il viso verso le stelle, pensierosa. «Credo che dovremmo andare a stanarlo. Voglio chiedere al generale di organizzare una spedizione contro di lui a cui potermi aggregare.»

Ido tacque per qualche istante, poi sbuffò un’altra nuvola di fumo. «Mi sembra una pessima idea.»

«Perché?»

«Ti pare che questo distaccamento sia in grado di affrontare un nemico come Dola? Guardati intorno, Nihal. Siamo stati decimati, siamo allo stremo delle forze. Non è il momento per i gesti dimostrativi. Dola è un guerriero potente, comanda la Terra del Vento. Ed è spietato.»