«Ido, quell’uomo ha ucciso mio padre, sterminato i miei amici, raso al suolo la mia città!» Senza accorgersene, Nihal aveva alzato la voce. «Quell’uomo va fermato. E voglio essere io a farlo!»
Ido si tolse la pipa di bocca e la guardò a lungo, in silenzio. «Chi è che sta parlando, Nihal?» chiese alla fine.
La ragazza lo guardò senza capire. «Io... io sto parlando.»
«Quale parte di te?» ribatté lo gnomo scandendo le parole.
Nihal si sentì le guance in fiamme. «So cosa stai pensando, ma ti sbagli.»
«Non mi sembra, da quel che dici» rispose Ido.
«Non è per vendetta» mormorò la ragazza.
Ido si rimise la pipa in bocca. «E per cosa, allora?»
«Per giustizia.»
«Ascoltami, Nihal. Se mai ci sarà una spedizione contro Dola, e ti assicuro che non ci sarà, tu potrai anche partire con tutti i buoni propositi di questo mondo, convinta di andare a compiere una semplice missione di guerra, ma quando ti troverai di fronte a quell’uomo...» Ido lasciò il discorso in sospeso, poi scosse la testa. «Non metterti alla prova, Nihal. Non farlo.»
Dopo quella sera, Nihal non ritornò sull’argomento con il suo maestro, né si azzardò a proporre missioni suicide al generale, ma nel suo cuore e nella sua mente l’immagine di Dola non poteva essere cancellata. Il ricordo di quell’immenso animale nero e dei suoi occhi rossi che la fissavano dal profondo dell’inferno non la lasciava mai. Quegli stessi occhi forse avevano fissato il cadavere di Livon, steso nella fucina a coprire il suo sangue, si erano posati sui tanti abitanti di Salazar che lei conosceva prima che le fiamme esaurissero le loro esistenze. La rabbia le saliva alla gola e sentiva che doveva fare qualcosa. Sapeva che Ido aveva ragione: dare la caccia a quell’uomo significava giocare col fuoco. Sapeva anche che il suo desiderio di vendetta non si era sopito e non aspettava altro che un momento come quello per assalirla di nuovo. Non era vendetta, quella che cercava? Non voleva forse riscattare il sangue di tutti i suoi concittadini che Dola aveva destinato a una morte orrenda? No, non è così. Dola è un nemico e io sono un Cavaliere di Drago. È per questo. È solo per questo.
La decisione di Nihal maturò in fretta. Sarebbe stata lei, cresciuta a Salazar, a mettere fine al regno di Dola. Avrebbe fatto in modo che la città distrutta dal Tiranno si prendesse la sua rivalsa su colui che l’aveva ridotta in cenere. Dopo la caduta di Dola, per l’esercito delle Terre libere sarebbe stato più facile riconquistare la Terra del Vento.
Era determinata e galvanizzata dal suo progetto. Per la prima volta dopo tanto tempo sentiva di essere impegnata in qualcosa di importante. Forse è così che ci si sente quando si insegue un ideale, quando si sa dove sta andando la propria vita , si diceva.
Quando ebbe trovato tutte le giustificazioni di cui aveva bisogno, smise di pensarci. Non si fece altre domande, perché in fondo all’anima sapeva che le risposte che avrebbe trovato non le sarebbero piaciute.
A quella notte funesta in cui l’accampamento era stato raso al suolo seguì un periodo di relativa calma. I feriti si rimisero in piedi, i soldati superstiti furono integrati nelle truppe del campo che li aveva accolti e i generali misero a punto nuove strategie.
A Nihal l’occasione per affrontare Dola si presentò dopo quasi un mese di inattività. I vertici del campo avevano deciso di tentare una spedizione contro un accampamento nemico a oriente. Se fossero riusciti a far cadere la loro roccaforte, sarebbero potuti partire da lì per cercare di riguadagnare terreno nell’entroterra.
Le riunioni per pianificare l’azione ebbero inizio una settimana prima della data dell’attacco e vi parteciparono tutti i Cavalieri di Drago.
Per la prima volta Nihal dette il suo contributo. Non era mai stata interessata alle strategie; ai tempi dell’Accademia le lezioni teoriche la annoiavano a morte. Però, nonostante fosse appena un anno che calcava i campi di battaglia, aveva combattuto molto e l’esperienza non le mancava. Quando avanzò la sua proposta su come disporre le truppe in vista dell’assalto, si preparò a vedersela rifiutata.
Invece il generale, dopo averla ascoltata con attenzione, disse che gli sembrava una buona idea. «Tu e Ido avrete a vostra disposizione le truppe sullo schieramento orientale, cento uomini ciascuno. Attaccherete al nostro accenno di ritirata, chiudendo sui lati» concluse.
Ido si tolse la pipa di bocca per lo stupore. «Stasera nevica» sussurrò a Nihal, poi si rificcò in bocca la pipa con aria soddisfatta.
Nihal trattene a stento un sorriso. Aveva una doppia occasione: comandare degli uomini, ma soprattutto mettere le mani su Dola.
La mattina della battaglia Nihal aveva il cuore in subbuglio. Camminava nella steppa, alla testa dei suoi soldati, seguita da Oarf, e cercava inutilmente di calmarsi. Fino a quel giorno, era sempre riuscita a frenarsi. Era ciò che le aveva insegnato Ido: freddezza, prudenza, autocontrollo. Quella mattina, invece, non riusciva a mantenere la concentrazione per più di qualche minuto. Da quando si era svegliata non aveva fatto altro che pensare a Sennar. Le capitava ogni volta che le succedeva qualcosa di importante, o che la sua vita era a una svolta: si domandava che cosa avrebbe fatto lui al suo posto. Da quando era partito, però, si chiedeva anche se l’avrebbe mai rivisto.
Ido, al suo fianco, sembrava invece l’immagine della tranquillità. Fumava la sua pipa dall’alto di Vesa, che affrontava flemmatico la steppa un passo dopo l’altro.
Lo gnomo calò lo sguardo su di lei nel momento in cui Nihal si tergeva il sudore dalla fronte. Era pallida. «Va tutto bene?»
«Certo. È il caldo...»
«Era da un po’ che non ti vedevo così agitata.»
Lei alzò il viso e si sforzò di sorridere. «È la prima volta che mi capita di guidare dei soldati» rispose, ma Ido continuava a fissarla. Nihal si chiese come facesse a cogliere sempre il suo stato d’animo. Proprio come Sennar...
«È una battaglia come le altre» disse lo gnomo.
Nihal tirò ancora le labbra in quell’insopportabile sorriso forzato che le veniva fuori ogni volta che nascondeva qualcosa al suo maestro.
Quando furono in vista dell’accampamento che dovevano assaltare, una linea color ocra all’orizzonte, la testa di Nihal si vuotò del tutto e il suo cuore prese a battere con regolarità. Si fermarono sulla cima di una collina, in attesa. Ai loro piedi, videro una distesa di tende di un marrone spento, almeno una cinquantina, disseminate in cerchi concentrici nel raggio di mezza lega. Il puzzo delle bestie che ci vivevano arrivava fin lassù e prendeva alla gola. Al centro, una costruzione di legno scuro. Dola. Quella è la capanna di Dola, si disse Nihal, e il suo cuore prese a galoppare.
La battaglia ebbe inizio. Mentre i fanti scendevano a precipizio e divoravano la pianura a larghi passi verso l’accampamento, Nihal estrasse la spada. Il suo riflesso accecava, nella luce splendente del sole estivo. Salì su Oarf e fu affiancata da Vesa. Anche Ido aveva sguainato la spada e la teneva stretta in pugno. Più di una volta Nihal si era chiesta dove si fosse procurato un’arma così: sull’elsa c’erano simboli strani, alcuni raschiati via a forza, altri incisi profondamente. Erano rune, forse, di una lingua che lei non conosceva.
«Partiremo al primo segno di ritirata» disse Ido ai soldati.
Nihal strinse l’elsa.
Il momento dell’attacco arrivò. Il contingente guidato dallo gnomo e dalla mezzelfo scattò in avanti gridando. L’effetto fu quello sperato: chi era impegnato a combattere nella piana non si aspettava un secondo fronte di carica. Le prime linee riuscirono a penetrare nel cuore dell’accampamento senza troppe difficoltà.
In groppa a Oarf, Nihal combatteva come al suo solito, colpendo chiunque le si parasse innanzi, ma al contempo si guardava intorno. Del guerriero sul drago nero sembrava non esserci traccia e Nihal trovò strano che in un momento tanto grave Dola non arrivasse a dare man forte ai suoi soldati. Tra loro c’erano molti uomini, e altrettanti gnomi. Si erano venduti al Tiranno, lottavano contro le loro stesse Terre. Nihal si chiese che cosa li attraesse tanto in quell’uomo.