Nihal capì che il suo maestro non voleva infierire, ma che non approvava l’impresa che l’aveva portata in quel letto.
«Eravamo molto vicini quando mi ha colpito. Ha avuto tutto il tempo di prendere la mira, non poteva sbagliare il colpo» disse la ragazza. «Sai cosa significa?» insistette, ma lui si ostinò a tacere. «Ido, rispondimi: mi ha risparmiata?» Silenzio. «Ti ho fatto una domanda. Dola mi ha risparmiata?»
«Non ha importanza.»
«Per me ne ha, invece. Ha ferito il mio drago e si è fatto beffe di me, così come si è fatto beffe di tutta la gente della mia città!» Nihal alzò la voce. «Mi ha lasciata in vita per questo. Per dirmi che per lui non significo niente, che non sono neppure un pericolo!»
Una fitta al fianco la costrinse a tacere.
«Sì, ti ha risparmiata!» sbottò Ido. «E allora? Ringrazia il cielo di essere ancora viva.»
«Dola è uno gnomo, lo sapevi?» chiese Nihal.
Ido si alzò senza una parola e si diresse verso l’uscita della tenda.
«Aspetta! Lo conosci, hai già combattuto con lui? Perché non vuoi parlarne, maledizione!»
Ido si voltò stizzito. «Non lo conosco! E sono preoccupato per te. Possibile che tu non capisca che cosa ti stia succedendo?»
A Nihal tornarono in mente gli incubi che aveva avuto mentre lottava.
«Non voglio che tu resti qui» tagliò corto Ido. «Ti ho fatto dare una licenza di due settimane, che passerai nella Terra dell’Acqua. Lì ti rimetterai in sesto e tornerai quando sarai di nuovo in te e avrai dimenticato tutta questa storia.»
Nihal provò a sollevarsi dal cuscino. «No! Io...» Il dolore le mozzò il fiato. Impallidì.
Ido tornò indietro. Non era più arrabbiato o deluso. «Io voglio solo che tu rifletta, Nihal. Fai una pausa e pensa a quel che hai conquistato in questi mesi. Nient’altro. Partirai domani» disse senza ammettere repliche, poi uscì.
Laio insistette per andare con lei e Nihal a sua volta sollevò un putiferio per poter portare Oarf con sé. Alla fine dovettero accontentare sia lo scudiero sia il Cavaliere e partirono tutti e tre insieme, accompagnati da una guida. Quando Nihal vide Oarf, quasi si commosse. La ragazza non poteva muoversi, ma avrebbe voluto appendersi al collo enorme del drago e chiedergli scusa. Lo guardava con gli occhi lucidi e anche lui la fissava, bianca come un lenzuolo e stesa sulla brandina, come per dirle che un Cavaliere e il suo drago condividono lo stesso destino ed era normale che ora entrambi fossero feriti.
Il mago che si era occupato di Oarf era stato davvero bravo, forse anche più di quello che si era occupato di Nihal. Una lunga cicatrice gli segnava una zampa, ma il drago poteva dirsi guarito.
Il viaggio fu piacevole. La portantina che era stata allestita per Nihal era comoda e il paesaggio, che si intravedeva in lontananza, della Terra dell’Acqua, solcata dalle sue mille sorgenti, lasciava come sempre senza fiato. Dopo i campi di battaglia, di fronte a quello spettacolo meraviglioso Nihal ricordò che c’era una vita senza la guerra, una vita a cui forse, un giorno, quando avesse cessato di cercare se stessa nel sudore della battaglia, avrebbe preso parte. La prima volta che la ragazza era andata dalla Terra del Vento a quella dell’Acqua, tre anni addietro, il passaggio dall’una all’altra era appena percepibile, ma ora le cose erano molto diverse. Dallo squallore delle steppe bruciate dal fuoco di troppe battaglie, si passava all’improvviso alla lucentezza di una terra ancora vergine e feconda. Al confine, a segnare il passaggio da un regno all’altro, Nihal vide una sorta di barriera azzurrina.
«Che cos’è?» chiese alla guida.
«Cosa?»
Nihal tirò fuori un braccio dalla portantina. «Quella striscia là in fondo» disse indicando lontano.
«Siete una maga?» chiese l’uomo.
«No. Diciamo che conosco abbastanza la magia» rispose Nihal.
«Ah, ecco, ora si spiega. È la barriera che hanno eretto le ninfe della Terra dell’Acqua contro l’esercito del Tiranno. Solo chi conosce la magia può vederla.»
«Io non vedo niente» disse Laio, che si era sporto dal cavallo e strizzava gli occhi verso l’orizzonte.
«Un gruppo di ninfe la tiene in piedi notte e giorno.»
Se Nihal aguzzava la vista, poteva addirittura vederle, quelle evanescenti figure d’acqua. Erano in piedi a qualche braccio dalla barriera, erette in tutta la loro bellezza, le mani diafane rivolte verso il confine. I loro volti erano assorti e i lunghi capelli scossi dal soffio del vento. Da quei visi concentrati emanava un senso di malinconia, di cose perdute per sempre, di vite consumate nel sacrificio e nella solitudine.
Nihal sentì quel sentimento avanzare verso di lei come nebbia in una vallata, per poi avvolgerla. Ebbe un capogiro e le parve di udire le voci di quelle creature che avevano scelto il sacrificio e rinunciato alla vita, ma che non potevano dimenticare la dolcezza di un’esistenza normale. Le giunse l’eco di una litania immensamente triste e udì le parole della formula con cui le ninfe mantenevano in piedi la barriera. Era come un canto straziante, carico di dignità e di dolore.
Nihal conosceva il tormento di chi sa di avere perduto qualcosa che non potrà mai più essere recuperato. Distolse lo sguardo da quelle creature infelici.
Si stabilirono in un villaggio poco distante dal confine. A ridosso delle case c’era il bosco, tra i cui alberi le ninfe trovavano riposo. Una specie di base dell’esercito completava il panorama.
Nihal trascorse i primi giorni a letto e quel riposo forzato non fu poi così spiacevole. Era troppo stanca e indebolita per poter pensare ad altro che non fosse una pronta guarigione.
Furono alcune ninfe a occuparsi della sua ferita. La prima volta che una di loro si presentò nel piccolo alloggio e le disse che era lì per curarla, la mezzelfo rimase stupita. La creatura eterea le si avvicinò lentamente, procedendo come se fosse sospesa dal suolo. Poi la toccò. Nihal non aveva mai avuto un contatto fisico con le ninfe. Sembravano fatte di acqua pura e lei aveva sempre pensato che fossero quasi impalpabili. Invece la mano che si posò con delicatezza sul suo fianco era fredda, ma corporea e tangibile. Il senso di refrigerio che trasmetteva pulsava di vita e le diede una sensazione di benessere che neppure le più potenti formule di guarigione di Sennar erano riuscite a farle provare.
«È una magia?» chiese Nihal.
La ninfa sorrise. «Se così si può dire... Per voi uomini ha senso parlare di magia, voi siete disgiunti dalle forze naturali, non potete afferrare la vita che scorre nella terra o negli alberi, o nell’acqua che è nostra madre. Ma per noi è diverso: noi stesse siamo natura e dunque siamo quella che voi chiamate magia.»
Grazie a quelle cure Nihal poté alzarsi dal letto, ma dal momento in cui lo fece il suo spirito irrequieto ricominciò a tormentarla. La licenza era di due settimane e non ne era passata nemmeno una. Si chiedeva come avrebbe fatto a resistere. Nei primi giorni di convalescenza non ci aveva pensato, ma ora le immagini della sua sconfitta la ossessionavano. Rivedeva il ghigno del drago e gli occhi di Dola, e sentiva che la partita non era chiusa.
Iniziò a girovagare per i dintorni del villaggio, seguendo il corso dei mille rigagnoli che solcavano quella terra. Il filo dei suoi ragionamenti si dipanava tortuoso come il percorso delle acque e si avvolgeva sempre intorno allo stesso pensiero: Dola. Neppure lo splendore del paesaggio riusciva a distoglierla da quel nome. Non poteva tollerare l’idea che Dola fosse ancora libero di fare quel che voleva della Terra del Vento, della sua patria, della sua casa. Non avrebbe trovato requie finché non l’avesse sconfitto.
Una sola cosa la preoccupava: l’armatura dello gnomo. Quando era riuscita a colpirla, la scalfittura si era aggiustata da sola. Doveva trattarsi di un incantesimo del Tiranno. Con un nemico come quello non bastava la spada: bisognava ricorrere alla magia.