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«Bene» mormorò il vecchio. «Ora possiamo cominciare.»

Nihal sentì il cuore accelerare i battiti. Giunta al momento cruciale aveva paura, una paura fredda e autentica.

«Ripeti con me: Vrašta Anekhter Tanhiro.»

« Vrašta Anekhter Tanhiro » mormorò Nihal.

«Ancora: Vrašta Anekhter Tanhiro» ripeté Megisto. « Vrašta Anekhter Tanhiro. Continua, non smettere.»

« Vrašta Anekhter Tanhiro » gli fece eco lei.

«Concentrati sulla disperazione che hai provato nella tua vita. Ma attenta! Non perderti in essa, cerca di dominarla.»

Nihal vide lo sguardo cupo del vecchio fisso su di lei, poi chiuse gli occhi. Ripeteva quelle parole senza senso e pensava al passato. Era fin troppo vivo il ricordo di ciò che l’aveva fatta soffrire. Richiamò alla mente la morte di Livon, mentre la litania le affiorava sulle labbra come un canto ipnotico. Prima vide la fucina del padre, vuota e silenziosa. Poi vennero i rumori, il suono terribile della battaglia di quel giorno: le grida, il fischio delle asce che si abbattevano sulla gente di Salazar, il tonfo dei corpi che cadevano al suolo. Vrašta Anekhter Tanhiro. Vrašta Anekhter Tanhiro . Si sentì fluttuare. Il mondo scomparve e rimase solo un senso di calore alla mano.

La voce di Megisto le giunse come un’eco: «Immergiti, Nihal, immergiti...». All’improvviso la fucina si popolò. Da un lato c’era Livon, intento a frugare in una cassapanca. Poi apparve una ragazzina, le orecchie appuntite e spropositate, gli occhi grandi e languidi, una spada nera al fianco. Vrašta Anekhter Tanhiro, Vrašta Anekhter Tanhiro, Vrašta Anekhter Tanhiro...

Eccoli. Due fammin, armati d’ascia e spada. Irrompono, la guardano, ridono. Suoni di lame che si incontrano. Livon che le urla di andarsene. Vrašta Anekhter Tanhiro, Vrašta Anekhter Tanhiro. Livon combatte. Perché non fugge? Vai via! Scappa! Vrašta Anekhter Tanhiro, Vrašta Anekhter Tanhiro.

«Scendi ancora, Cavaliere. Controlla quello che senti e scendi...»

Nihal sa che non può finire bene, sa quel che sta per accadere e non vuole, non vuole! Basta, basta! Ma non può muoversi, non può fare nulla e allora strilla, lo chiama, gli grida di andare via. Vrašta Anekhter Tanhiro, Vrašta Anekhter Tanhiro, Vrašta Anekhter Tanhiro.

«Sì, Nihal, ci sei quasi!»

L’urlo squarcia le tenebre. In un istante di silenzio, vede Livon voltarsi verso di lei: la guarda e tutto si ferma. Non voltarti, Livon! Scappa! Non guardarmi! Ed ecco la spada che lo trapassa, lui continua a guardarla, la guarda come sempre, cade senza un lamento e Nihal vorrebbe urlare ma non può, perché non ha voce...

All’improvviso, quella scena si trasformò in una voragine.

Nihal vide migliaia di volti urlanti, neri, deformi, correrle incontro contorti, e udì un rumore assordante di risa. Per un istante riebbe coscienza. Di fronte all’orrore che la travolgeva pensò che doveva fermarsi, che era troppo, che voleva smettere. Ma la sua lingua continuava da sola la litania, le parole che le uscivano dalla bocca attiravano nuovi demoni, che la avvolgevano e la trascinavano con sé, tirandola per le braccia, le gambe, i capelli.

«Dominali, dominali!» bisbigliava una voce lontana, mostruosa.

Dominare cosa? Come si può dominare il regno dei morti? Mille mani su di lei, mille occhi piantati nei suoi occhi e l’odio che montava come una marea. Era terrorizzata come mai in vita sua, la gola chiusa non le permetteva di gridare ma solo di salmodiare ancora quella maledetta cantilena: Vrašta Anekhter Tanhiro, Vrašta Anekhter Tanhiro, Vrašta Anekhter Tanhiro...

«Basta! Ritorna in te!» ripeteva la voce distorta.

Come? Si poteva davvero riemergere da quell’incubo? Che qualcuno l’aiutasse!

«Chiudi la mano! Ferma la magia!» disse la voce.

Nihal non sentiva più nessuna parte del corpo. Dov’era la sua mano? C’era una mano da stringere? Cercò di frenare il panico che la attanagliava ma non ci riuscì. Spalancò gli occhi più che poteva, ma al buio non c’era fine. Poi sentì qualcosa e vi si aggrappò: la freschezza dell’aria, il tocco di due mani sul viso...

I volti scomparvero, il buio si dissolse.

La luna, di un candore gelido, la guardava dall’alto. Megisto era chino su di lei.

Nihal non riusciva a rallentare il respiro, le sembrava che non ci fosse aria abbastanza per riempirle i polmoni.

«Sei di nuovo tra i vivi» ripeteva il vecchio.

Nihal giacque a lungo, con il cuore che faticava a ritrovare il suo ritmo.

Quando riuscì a mettersi a sedere, ansimava ancora.

«Questo è ciò che devi affrontare» disse Megisto senza emozione. «Domani notte sarò ancora qui, se vorrai ritentare.»

Nihal annuì, si alzò in piedi e si allontanò senza una parola, con le gambe che le tremavano e una sensazione di freddo in tutto il corpo.

Raggiunse Oarf nel folto del bosco e appoggiò il viso sul petto del suo drago.

Il giorno dopo, Nihal si disse che non sarebbe tornata da Megisto. Perché doveva ripetere quella terribile esperienza? Si sforzava di tornare alla vita, ed era già abbastanza difficile così. Il vecchio aveva ragione: lei stava cercando la sua strada, si doveva concentrare su quello, non su Dola. Eppure...

Era la sola ad avere un mezzo per batterlo. E poi non poteva fuggire per sempre. Era arrivato il momento di fare i conti con i suoi incubi. Coraggio, ci voleva coraggio.

Fu così che decise di continuare, e lo fece col cuore in gola. Ma la sconfitta di Dola era tutto quello che importava, era la sua sfida contro il passato.

La seconda sera credette di morire. Tra i volti dei fantasmi si insinuarono anche gli spiriti del suo popolo e i vecchi incubi si mescolarono ai nuovi. Resistette, ma non riuscì a fare sua l’Ombra Inestinguibile perché l’aldilà la trascinava in basso, sempre più giù, e lei non riusciva a tirarsene fuori.

«La determinazione è tutto quello che hai, Nihal. La volontà di non cadere di nuovo nell’abisso. È questa la tua ancora di salvezza» le diceva Megisto.

Notte dopo notte, Nihal tornò alla radura, anche se il suo corpo si ribellava. Quando il sole calava fino a scomparire oltre la cima degli alberi, sentiva lo stomaco stringersi, veniva attanagliata dalla nausea e le tempie prendevano a pulsarle con violenza. Notte dopo notte, guadagnò terreno su quelle visioni mostruose. A poco a poco riuscì a restare cosciente, mentre la fiamma nella sua mano si faceva sempre più nera.

«Sei vicina, Nihal» ripeteva Megisto e Nihal resisteva all’assedio dell’odio e del dolore.

Quel viaggio atroce terminò la sera prima della fine della sua licenza. Quando aprì gli occhi e riemerse dalle tenebre con le sue sole forze, un globo nero le brillava sulla mano: era grande poco più di una mela e levitava sopra la sua palma sinistra lanciando bagliori cupi. Nihal lo guardò meravigliata. Ce l’aveva fatta.

«Questa è l’Ombra Inestinguibile» disse Megisto a bassa voce. «Prima della battaglia contro Dola, applica questo incantesimo alla tua spada e sarà in grado di fendere la sua armatura. Quando chiudi la palma, il globo scompare e la magia è infranta.»

Nihal serrò le dita e la luce si dissolse.

«Grazie, Megisto» mormorò.

«Non mi ringraziare, perché ti ho fatto un dono letale. E rammenta: se tenterai di recitare questa formula due volte, morirai. Ora china la testa.»

Nihal obbedì e il vecchio le impose le mani sulla nuca, poi recitò a bassa voce una formula. Quando ebbe terminato, le sollevò il mento con una mano e la guardò fisso negli occhi. «La tua ricerca della verità è prossima a una svolta, Nihal. Ma spesso la verità è un bene terribile.»

«Cosa intendi?» chiese lei, perplessa.

«Ogni individuo deve cercare da solo il proprio ideale. Ricordatelo» ribatté il vecchio. Si alzò in piedi. «Ora va’. Il nostro incontro termina qui.»