Lo gnomo iniziò a menare un fendente dietro l’altro, ravvicinati e potenti, che Nihal schivò saltando. Ormai aveva capito: doveva giocare d’agilità e mirare a ferire il drago. Una volta a terra avrebbe avuto più probabilità di successo. A un tratto, però, un colpo la raggiunse al costato e le mozzò il fiato. Oarf planò bruscamente di una ventina di braccia per darle il tempo di riprendersi. Nihal era già indebolita per le ferite e il sangue perso, quell’ennesimo taglio le avrebbe tolto anche le ultime energie. Devo fare in fretta. Devo colpirlo di nuovo, adesso! Ripartì all’attacco e iniziò ad attaccare con furia cieca. Urlava e colpiva, colpiva e urlava, e quando la luce bianca la accecava sapeva che il colpo era andato a buon fine. Oarf, per parte sua, stringeva tra le fauci la spalla del drago nero già trafitta dalla spada di Nihal e non mollava la presa, mentre il sangue usciva a fiotti.
Nonostante Dola fosse ferito, la potenza dei colpi non sembrava diminuire. Lo gnomo la centrava di piatto, mirando a disarcionarla, e Nihal sentiva le forze venirle meno. Non capiva più se quello che la copriva era sudore, il suo sangue, quello del drago o quello di Dola. Continuava ad attaccare alla cieca ma era sfinita, le doleva ogni fibra del corpo. Perse il ritmo, allentò la pressione delle ginocchia sul dorso del suo drago. Si sentì mancare.
Oarf se ne accorse e arretrò con due potenti colpi d’ala, portandosi via tra le fauci un brandello di carne del mostro nero.
Nihal riprese fiato e riuscì a mettere a fuoco l’immagine del suo avversario. La corazza di Dola era intaccata in più punti e lasciava vedere la pelle insanguinata dello gnomo. Lei era messa peggio. Le ferite le bruciavano e aveva la vista annebbiata, ma non si sarebbe arresa. Lo avrebbe sconfitto, a costo di morire. Il drago. Devo abbattere il drago.
Non ebbe bisogno di dare alcun comando: con un ringhio, Oarf balzò addosso al drago nero e infuriò su di lui con le zampe e i denti. I ruggiti dei due animali erano assordanti e il calore che si sprigionava a ogni fiammata intontì Nihal e Dola, li ridusse a due guerrieri inermi, in balia della volontà delle loro cavalcature. La ragazza restava aggrappata a Oarf come poteva, mentre lo gnomo cercava di istigare il suo drago a reagire. Poi, repentinamente, proprio quando sembrava avere la meglio, Oarf abbandonò la lotta e si diede alla fuga.
«Fermati! Fermati, Oarf!» gridò Nihal. Si guardò alle spalle. La bestia nera li inseguiva a fatica e perdeva sangue a ogni battito d’ali.
Oarf puntò verso il cielo e solo allora invertì bruscamente direzione, calando dall’alto sul suo nemico. Nihal fu tutt’uno con il pensiero del suo drago. Sì! Sì, Oarf! Ho capito! Sono pronta! Adesso! Strinse le ginocchia e agguantò la spada con entrambe le mani, stringendone l’elsa come fosse quella di un pugnale.
Oarf planò a poca distanza dalla testa nera del drago e Nihal affondò la lama con tutta la forza che le era rimasta.
Dal collo del drago nero sgorgò un violento getto di sangue. L’animale emise un verso spaventoso, di dolore misto a rabbia.
«Maledetto!» urlò lo gnomo e con un fendente squarciò un’ala di Oarf.
Il drago nero perse rapidamente quota e rovinò sulla cima degli alberi, trascinando con sé i rami.
Oarf lo seguì poco dopo e andò a cadere qualche braccio più in là.
Per un attimo Nihal non vide altro che un turbine di foglie e schegge di legno, poi venne sbalzata dalla schiena del suo drago e rimbalzò al suolo.
Fu il sibilo di una lama a riportarla alla realtà.
«Hai osato troppo, ragazzino!» urlò Dola.
La ragazza fece appena in tempo a spostarsi, rotolò su un fianco e sentì la spada dello gnomo configgersi a un soffio dalla sua testa.
Rimase accucciata tra i cespugli, affannata. La spada! Dov’è la mia spada? Non riusciva a contare le ferite dello gnomo, ma erano molte e alcune dovevano essere profonde. Com’è possibile che gli sia rimasta tanta energia? Nihal cominciò ad arretrare, le ginocchia piegate, le mani tra il fogliame alla ricerca della sua spada.
Dola sembrava sicuro della vittoria. «Sei finito, ragazzo. Sei finito» ripeteva mentre avanzava lentamente.
Nihal inciampò su qualcosa di tagliente. Le sfuggì un gemito dalle labbra e cadde all’indietro. Perdeva sangue da una caviglia, ma mai una ferita l’aveva resa tanto felice.
Dola scoppiò a ridere.
«Risparmiami, ti prego» sussurrò Nihal.
«Adesso mi preghi?» sibilò lo gnomo. «Non mi basta, Cavaliere. Riprova, puoi fare di meglio.»
«Ti supplico. Lasciami vivere» lo implorò Nihal. Si spostò impercettibilmente verso di lui.
«E perché dovrei?»
Nihal si prostrò a terra. «Ti servirò per sempre, farò tutto quello che vorrai...» piagnucolò. Protese le braccia sul terreno finché la mano destra non incontrò qualcosa di duro e freddo. Fu allora che si alzò di scatto, la spada di nuovo in pugno.
Si lanciò contro di lui, ma i suoi colpi erano meno precisi, aveva la vista annebbiata e il dolore le toglieva il fiato. Duellarono ancora a lungo, mentre il suono stridulo delle lame che si incrociavano violentava il silenzio della notte.
Anche Dola sembrava accusare la stanchezza. Prese ad arretrare. Sbagliò una parata, poi un’altra ancora. Colpiscilo ora! Colpiscilo!
Lo gnomo non ebbe il tempo di vedere il fendente in arrivo. La lama di cristallo lo centrò al ventre e per un istante il bosco si illuminò di un bagliore bianco.
Dola urlò di dolore e la sua corazza cadde a terra in frantumi. Si appoggiò a un albero gemendo. Nihal rimase in guardia, ma un sorriso le affiorò alle labbra. Ce l’aveva fatta.
La sua soddisfazione durò poco.
Dola le scoccò un’occhiata sprezzante. «Ebbene? È tutto qui quello che sai fare?» disse, poi tese ancora la spada verso di lei.
Dagli occhi di Nihal sgorgarono lacrime di rabbia. Non c’era modo di sconfiggerlo. Non ce la faceva più, non avrebbe retto un altro scontro. Era destinata a morire per mano del mostro che aveva ucciso la sua infanzia.
Poi accadde qualcosa che le mozzò il respiro.
La Lacrima incastonata nell’elsa della sua spada prese a brillare e l’albero a cui Dola si era appoggiato si illuminò di colpo ed emanò un chiarore argenteo e terribile. Le radici uscirono dal terreno, avvolsero il corpo tozzo dello gnomo e lo gettarono a terra. I rami si contorsero fino a toccare il suolo e si avvilupparono intorno ai suoi arti.
Nihal osservò la scena terrorizzata. Lo spettacolo di quell’immenso albero che si muoveva aveva un che di spaventoso, di sovrumano, di potente. Un Padre della Foresta la stava aiutando.
Vide la corteccia brillare minacciosa, le foglie diventare acuminate come lame di coltelli e penetrare sotto la pelle di Dola, i rami scuotere con violenza il loro prigioniero per poi gettarlo lontano.
Dola andò a sbattere contro un altro albero e cadde in modo scomposto sul terreno. La luce svanì a poco a poco e l’alberò tornò immobile e silenzioso.
A Nihal sembrò di avere perso la cognizione del tempo. Non sapeva per quanto era rimasta lì, immobile, a guardare quel corpo steso a terra. Quando si riscosse, si accorse che tremava da capo a piedi e che nella sua testa rimbombava un unico grido: “Uccidilo! Uccidilo! Uccidilo! ”.
Si avvicinò piano a Dola. Era a poche braccia di distanza, ma a lei parvero miglia. Quando gli fu sopra lo guardò. Ansimava in una pozza di sangue, ma la fissava ancora con occhi di fuoco.
Nihal alzò la spada e la conficcò nella spalla dello gnomo, inchiodandolo al suolo. Il suo grido le sembrò un canto melodioso.
Solo allora si tolse l’elmo e lo gettò lontano.
Dola accennò un sorriso beffardo. «Dunque era vero: ce n’è ancora una, di voi bastardi...»
Nihal fu accecata dalla rabbia. «Sì, ce n’è ancora una, Dola» ringhiò. «Si chiama Nihal della Torre di Salazar. Guardala bene in faccia, perché sarà lei a strapparti la vita.» Mentre lo diceva, gli puntò la lama alla gola.