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Il pirata non riuscì a tentare un secondo assalto. All’improvviso il pugnale si fece incandescente tra le sue mani e lui fu costretto a lasciarlo cadere con un urlo.

Sennar era in piedi accanto alle scale. Aveva gli occhi chiusi e recitava una lenta litania.

«Che cosa diavolo...» Mormorò l’uomo tra i denti, ma non ebbe il tempo di finire la frase. Cadde a terra, muto e rigido come un’aringa affumicata e iniziò a roteare gli occhi terrorizzati.

Il mago dischiuse le palpebre, prese fiato, cercò di controllare il tremito alle mani. Aveva avuto paura, inutile negarlo, ma era anche furibondo. «Tutti qua!» urlò a pieni polmoni. «Tutti qua!»

Dal boccaporto spuntarono facce insonnolite. Aires scese le scale, a piedi nudi e fasciata in una lunga camicia bianca che lasciava poco all’immaginazione. Gettò un’occhiata al pirata steso a terra e quello ricambiò con uno sguardo supplice.

«Che cosa succede qui?» chiese minacciosa.

Sennar non si lasciò intimidire. «Nulla, a parte il fatto che mi avete sottovalutato.»

«Qualsiasi cosa tu gli abbia fatto, liberalo subito» sibilò la donna tra i denti.

«Con calma, Aires. Prima ci tengo a chiarire un paio di cose. Punto numero uno: se credevate di aver trovato un pollo da spennare, avete sbagliato i conti. Punto numero due» Sennar indicò il pirata immobilizzato «questo è ciò che capita a chi si mette in testa di farmi del male. E stasera sono stato clemente.»

Nella stiva scese il silenzio. Aires rimase al suo posto, con un’espressione indecifrabile. Poi le sue labbra si piegarono in un sorriso sardonico. «E bravo il nostro mago. Allora c’è dell’altro, sotto quel bel faccino.» Si avvicinò a Sennar e gli accostò la bocca all’orecchio. «Facciamo un patto. Io tengo a freno le intemperanze dei miei, ma tu toccane ancora uno e ti giuro che mi occuperò personalmente di fartene pentire.»

«Affare fatto» sussurrò il mago, sudando freddo.

Aires si voltò verso gli uomini affacciati al boccaporto. «Lo spettacolino è finito, gente. Torniamocene a dormire.» Quindi risalì con tutta calma in coperta e scomparve.

Rimasto solo nella stiva, Sennar tirò un sospiro di sollievo. Poi gli cadde l’occhio sul pirata a terra. Sbuffò, pronunciò una breve formula e sciolse l’incantesimo.

L’uomo imboccò le scale di corsa, senza voltarsi indietro.

Il giorno seguente, Sennar venne accolto sul ponte con sguardi a metà tra l’ammirazione e il timore. Lo “spettacolino”, come l’aveva chiamato Aires, aveva fatto effetto. Nessuno provò più a intrufolarsi nella stiva e il mago, seppur tenendosi in disparte, iniziò a godersi il viaggio.

La nave era bellissima, di un legno scuro che Sennar non conosceva e che la rendeva minacciosa e maestosa al tempo stesso. Il suo colore metteva in risalto le vele sanguigne che garrivano al vento. La chiglia affusolata non misurava più di una trentina di braccia da poppa a prua e la murata non era molto alta. Era un’imbarcazione fatta per volare sui flutti e ghermire le prede, rapida e imprendibile. Esclusi il capitano e la bella Aires, i marinai erano circa una ventina.

La figura che aveva scorto sulla prua la notte della partenza era un demone: il busto partiva dal legno della nave e vi si fondeva come se emergesse dalla chiglia stessa. Sul petto scolpito si innestava un collo taurino, che sosteneva una testa mostruosa; al posto dei capelli aveva lunghi serpenti ritorti e le fauci spalancate mostravano denti simili ad aculei. Quando il veliero filava sulle onde, sembrava che la polena si facesse beffe dell’oceano, irridendolo con il suo sorriso mostruoso. Sennar non capiva molto di imbarcazioni, ma trovava che quella nave fosse magnifica.

Ogni mattina, il mago vedeva il capitano ritto a prua, a godere della brezza e a contemplare la sua creatura che scivolava sull’acqua come una piuma. Era affascinato da quell’uomo. Tutta la ciurma aveva qualcosa che lo attirava.

Il primo con cui fece amicizia fu il ragazzo biondo. Si chiamava Dodi, era il mozzo di bordo. Aveva quindici anni e si era imbarcato quando ne aveva dieci. Era figlio illegittimo di uno della ciurma; il padre non aveva voluto saperne di lui, ma alla morte della madre aveva deciso di portarlo con sé.

Visto che Sennar non riusciva ad abituarsi al movimento della nave e continuava a soffrire di mal di mare, Dodi si era eletto a suo guaritore. «Anch’io stavo così, all’inizio. Ma non ti preoccupare: una bella aringa sotto sale e ti passa tutto.»

Il mago però si dimostrò refrattario a ogni tipo di rimedio. Gallette del marinaio, pane raffermo, acciughe, carne essiccata: niente sembrava placare la nausea.

Una sera Dodi gettò la spugna. «Per gli dèi dell’oceano! Con te è proprio tutto inutile. Insomma, se sei un mago, perché non ti curi da solo?»

Sennar spostò la testa giusto quel tanto da guardarlo di sbieco. Di più il mal di mare non gli permetteva. «Credi che se potessi non lo farei?»

Dodi strabuzzò gli occhi. «Fammi capire, un mago non sa risolvere un problema così semplice?»

Suo malgrado, Sennar fu costretto a proseguire la conversazione. «Non è che non ne sia capace. È un po’ più complicato. Compiere magie fa perdere parecchie energie.» Sennar trattene un conato e maledisse tra sé tutte le onde dell’oceano, a una a una. «Se fai un incantesimo quando stai bene e sei riposato, il peggio che può succederti è di stancarti. Un po’ come dopo una corsa, hai presente?»

«O dopo aver lavato da cima a fondo il ponte» ridacchiò il mozzo.

«Esatto.» Sennar sorrise e fece un’altra pausa, per cercare di calmare i sussulti dello stomaco. «Ma se stai male, una magia ti fa solo stare peggio. Al massimo puoi cercare di accelerare la guarigione di una ferita mezzo rimarginata, ma di più non è possibile. Insomma, come mago al momento sono fuori combattimento.»

«Me li immaginavo più robusti, i maghi.»

Sennar scosse la testa. «Ma scusa, i guerrieri non si stancano forse a combattere? E i maghi si stancano a fare magie. E poi dipende dagli incantesimi. La levitazione è molto faticosa, ma potrei tenere acceso un fuocherello tutta la notte e al mattino avere solo un po’ di affanno. Ovviamente, più il mago è bravo e potente, meno le sue energie si esauriscono, ma tutti abbiamo dei limiti. Le magie impegnative richiedono enormi sforzi anche ai maghi più...» Sennar si interruppe di colpo e chiuse gli occhi. Un’altra parola e avrebbe vomitato quel poco che aveva mangiato.

«Mago... ci sei?» chiese Dodi.

«Sì, sì. Va tutto bene.»

«Ma per il resto» insistette il ragazzino «a parte la stanchezza, fate quel che vi pare, no?»

«Non proprio. Conosci la differenza tra la magia del Consiglio e quella del Tiranno?»

Dodi fece cenno di no.

«La magia del Consiglio, che è l’unica permessa, si basa sulla capacità di piegare la natura al proprio volere. Per questo i maghi sono sapienti: devono conoscere le leggi del mondo per poterle assecondare e guidarle con i propri incantesimi. Un mago non sovverte la natura, la indirizza verso i propri fini. È un’arte complessa.»

«Cos’è che non puoi fare, per esempio?» domandò Dodi, interessato.

Sennar rifletté. Il mal di mare gli annebbiava anche il cervello. «Non posso creare le cose dal nulla, né modificare l’essenza di una creatura, tipo trasformare un maiale in un uccello. Al massimo posso trasfigurarlo, fargli assumere solo l’aspetto di un uccello. Non posso forzare gli elementi: niente pioggia quando c’è siccità o sole estivo in pieno inverno. Però posso prolungare la pioggia per un certo periodo di tempo, rafforzare l’intensità del vento e così via.»

«E quello che hai paralizzato l’altro giorno? Non mi sembra tanto una cosa naturale...»

«Ha cercato di aggredirmi e ho rivolto contro di lui la sua violenza. Niente di più.»

Dodi aveva un’espressione assorta. «È complicato.»

«Infatti non tutti sono maghi» chiosò Sennar. «E poi, la cosa più importante:

Non posso uccidere con la magia. Togliere la vita è il sovvertimento massimo della natura. Tanto è vero che molte Formule Oscure del Tiranno si basano su quello. Ecco perché sono proibite.»