Quando Ido arrivò al palazzo reale, lo trovò presidiato dalle guardie del Tiranno. Lo fermarono e lo trascinarono in catene nella sala del trono.
Seduto sullo scanno non c’era Moli ma Dola, irriconoscibile. Sul capo aveva la corona che era stata di suo padre. Ai piedi, accucciato, l’immenso drago nero guardava Ido con occhi di brace e sembrava ridere di lui.
«Fratello mio» esordì Dola in tono condiscendente «sai che il Tiranno è adirato con te?»
«Dov’è nostro padre?» chiese Ido, stremato.
Dola alzò le spalle. «Purtroppo è morto qualche settimana fa. Mi dispiace, non avrei voluto che tu lo venissi a sapere in questo modo...»
«Maledetto! L’hai ucciso!» gridò Ido, ma le guardie lo sbatterono a terra.
«È stata la sua stoltezza a ucciderlo» rispose Dola. «Perché fai finta di non capire, Ido? Perché non vuoi che il Nostro Signore si prenda cura di te? Guardami: il Tiranno mi ha reso potente, mi ha dato un corpo e una forza invincibili.»
Ma Ido non capiva, non riusciva a capire. «Tu sei pazzo...»
Dola scoppiò a ridere. «Il pazzo sei tu, se rinunci a questo. Ido, cosa vuoi che sia la vita di nostro padre, la vita degli inetti che ci circondano, di fronte al Potere? Tutto ci sarà permesso, potremo tutto, perché il Tiranno può tutto. Contribuiremo alla creazione di un nuovo ordine. Pensaci, Ido. Torna da lui e prostrati ai suoi piedi: ti perdonerà.»
La rabbia di Ido esplose. «Hai venduto la tua anima, Dola! Hai ucciso nostro padre e venduto la tua anima!» gridò mentre le guardie lo trascinavano via.
«Hai tempo fino a domani per decidere, fratello mio: o torni al servizio del Tiranno o sarai ucciso» concluse Dola.
Ido venne rinchiuso nella fortezza adiacente al palazzo, dove un tempo risiedevano le guardie personali di suo padre.
Era disperato per la morte di Moli e il peso della vita che aveva condotto fino a quel giorno gli franò addosso. Aveva permesso al Tiranno di compiere atti atroci, lo aveva aiutato a ottenere il potere, aveva lasciato che uccidesse suo padre e che distruggesse la vita dei suoi sudditi.
A salvarlo fu Vesa. In dieci uomini provarono a trattenerlo, ci si mise anche un mago, ma la forza di quell’animale sembrava indomabile. Il drago incenerì chiunque si trovasse sulla sua via e scappò dalle scuderie dopo averne sfondato una parete. Sorvolò a lungo la fortezza dove era rinchiuso Ido, levando alto il suo ruggito, incurante delle frecce che gli si incuneavano nella pelle. Poi scese in picchiata, abbatté le mura e trascinò il suo padrone al sicuro, oltre il fronte.
Ido si rifugiò nella Terra del Vento. Non aveva più un posto dove andare, un motivo per cui vivere. Fu allora che decise di consegnarsi all’esercito di quella Terra. Pensava che fosse giusto che a punirlo con la morte fossero coloro che aveva combattuto. Si presentò in un accampamento, gettò a terra la spada e chiese di essere arrestato. Quando i soldati lo riconobbero, sporco, lacero e ferito, restarono impietriti: non era mai capitato che un nemico si consegnasse spontaneamente. Il generale dell’accampamento ordinò che Ido venisse giudicato dal Consiglio dei Maghi.
I giorni prima di comparire di fronte al Consiglio furono i peggiori della sua vita. Era perseguitato dal ricordo del villaggio che aveva distrutto, dalla consapevolezza che quelle donne e quei bambini non sarebbero mai più tornati.
Ido fu condotto in catene al cospetto dei consiglieri. Disse loro tutto ciò che sapeva sull’esercito del Tiranno e sulle sue strategie future. Raccontò loro tutto quello che aveva fatto. Prima di essere riportato in cella, li pregò di ucciderlo.
Quella notte andò a fargli visita un consigliere. Il suo nome era Dagon.
«Con la tua morte non otterrai niente, Ido. La morte non laverà i tuoi peccati, non ti renderà un uomo migliore» gli disse. «Ma se vivi, dalla tua disperazione può nascere qualcosa di buono.»
Ido non capiva il senso delle sue parole.
«Il dolore per le tue azioni sarà sempre con te. La tua espiazione sarà il ricordo» continuò Dagon. Poi lo guardò negli occhi. «Sei un guerriero potente, Ido. Sono venuto a proporti di lottare per abbattere il Tiranno, per impedire che prenda possesso di altre Terre. È una mia iniziativa. Se vorrai morire, il Consiglio non si opporrà e sarai giustiziato. Ma se vorrai combattere nell’esercito delle Terre libere, farò di tutto perché tu possa avere un posto nelle sue file. Ora sta a te scegliere.»
Ido ci pensò a lungo. Era davvero possibile ricominciare? Poteva diventare un’altra persona? Non aveva mai considerato la possibilità di combattere per qualcuno: non per il potere, non per una corona, non per uccidere, ma per qualcuno.
Quando la settimana seguente si presentò al Consiglio, Ido accettò la proposta. Ovviamente non tutti i consiglieri e i vertici militari furono d’accordo. Soprattutto Raven, il Supremo Generale, che fu tra i suoi più accaniti detrattori.
Dagon, però, si assunse la responsabilità delle azioni dello gnomo.
Ido fu messo a fare il fante.
Il giorno della sua prima battaglia, Dagon andò a restituirgli la spada. Quando gliela porse, lo gnomo la guardò inorridito. Non riusciva neppure a toccarla. «Inciso sull’elsa c’è l’atto di obbedienza al Tiranno» mormorò. «Non posso...»
Il consigliere lo interruppe con un gesto e gli mostrò l’impugnatura: le rune del giuramento erano state grattate via; al loro posto c’era solo un’ampia abrasione.
«Non credere di poter ricostruire la tua vita ignorando le macerie, Ido» disse Dagon. «Il dolore svanirà, ma il ricordo no. Quest’arma è la testimonianza di quello che sei stato e il pegno che non sarai mai più come allora.»
Lo gnomo fece una pausa. Si alzò in piedi e bevve un lungo sorso d’acqua da una caraffa. La porse anche a Nihal, ma la ragazza non mosse un muscolo.
Ido appoggiò la caraffa a terra e si risedette sulla branda. «Non mi sono più separato dalla mia spada. Ho fatto altre incisioni, ho scritto sull’elsa il nome dei compagni caduti in battaglia, ma il segno più importante rimane sempre quella cancellatura.» Accese con calma la pipa e aspirò finché il tabacco non ebbe preso. «A quella battaglia ne seguirono altre e altre ancora. Raven mi mise i bastoni fra le ruote in mille modi. Arrivò ad accusarmi di tradimento. Aveva trovato un paio di disperati disposti a giurare di avermi visto complottare con un fammin. Ne uscii bene, ma da allora Raven non è tra le persone che mi piace incontrare. Sono in questo esercito da vent’anni, ho combattuto centinaia di battaglie, sono diventato un altro. Non ho dimenticato il mio passato, però so che ogni palmo di terreno che conquisto, ogni battaglia che vinco è un passo verso la redenzione. La strada del riscatto è infinita, Nihal. Non salderò mai il mio debito con la vita. Ma ho la presunzione di credere che anche il poco che faccio è qualcosa.»
Ido tacque e nella tenda scese un silenzio pesante come una cappa di piombo.
Nihal era ancora seduta sulla branda, immobile. Non riusciva a guardarlo, non riusciva a pensare a niente. «Perché non me l’hai mai detto?» sussurrò.
Ido alzò le sopracciglia. «Secondo te, perché?»
«Lo chiedo a te!» disse Nihal, alzando la voce. Era infuriata e sentì gli occhi riempirsi di lacrime di rabbia. «Io ti ho raccontato tutto di me! Il mio passato, i miei incubi, cose che non ha mai saputo nessuno! E l’ho fatto perché mi fidavo, perché mi stavi insegnando la vita. Mi fidavo, Ido, e tu invece mi tenevi nascosta una cosa simile!»
Lo gnomo si alzò in piedi e iniziò a camminare avanti e indietro per la tenda. Poi anche lui alzò la voce. «Ma cosa volevi che facessi? Quando sei arrivata alla base, con quelle orecchie e quei capelli, ho visto il passato precipitarmi addosso. Sapevo che era stato Raven a mandarti da me, sapevo che era l’ennesimo sgambetto che mi faceva. Per me eri solo una rogna, Nihal. Ma poi ho pensato che addestrarti, mostrarti cosa vuol dire combattere, insegnarti a vivere, fosse un modo per ripagare il tuo popolo di quel che avevo fatto.»
«Tu per me sei stato come un padre, Ido, e per te invece non sono stata niente. Tutto quello che mi hai insegnato è una menzogna! Tu sei una menzogna!» Nihal si alzò di scatto dal letto e cercò di raggiungere le stampelle, ma era ancora debole. Si aggrappò al telone della tenda e cadde in ginocchio.