«Raccontami di te, adesso» disse Sennar.
Nihal guardò le gocce di pioggia che cadevano poco distanti, oltre la tettoia di rami e foglie sotto la quale erano seduti. Erano accadute troppe cose di cui si vergognava, aveva sofferto troppo. Ora che lui era lì, desiderava solo godersi la sua presenza.
«Forza, voglio sapere della tua vittoria» insistette Sennar.
Nihal non incominciò da una vittoria, bensì da una sconfitta. Gli raccontò di quando Ido l’aveva allontanata dall’esercito, dei suoi tentativi di vivere una vita come quella di tutte le altre ragazze, della disillusione e della consapevolezza che la spada la chiamava inesorabilmente. Gli parlò del suo addestramento, del giorno in cui era diventata Cavaliere e di quanto Ido fosse importante per lei. Alla fine gli disse anche di Dola. Però non citò il nome di Megisto, né la formula proibita. Quando Nihal ebbe finito di parlare, iniziava a calare la notte.
«Ti ho pensata molto mentre ero via» disse Sennar, guardandola.
«Non sarò stata un bel ricordo.»
«Non dire idiozie. Sei stata il mio unico legame con il mondo che mi attendeva qui sopra. Mi sono chiesto mille volte dov’eri, come stavi, se eri cambiata. E poi...» Sennar si interruppe.
«E poi?» chiese Nihal.
«E poi sono arrivato e ti ho vista venirmi incontro correndo. Quant’è che ci conosciamo? Quattro anni? Be’, in quattro anni non l’avevi mai fatto.»
Nihal lo guardò interrogativa.
«Insomma, quello che voglio dirti è che... sono fiero di te e di ciò che stai costruendo.» Sennar sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma poi scosse la testa e sorrise.
Sennar partì qualche giorno dopo, con la solenne promessa che sarebbe tornato presto. Il dovere lo chiamava, la sua presenza era richiesta al Consiglio, per continuare le trattative con Zalenia.
Nihal tornò alla vita di sempre. Mentre l’autunno colorava gli alberi e stingeva il cielo, la guerra diventò una triste abitudine, le battaglie un susseguirsi sempre uguale di stragi e sudore. Nihal sentiva che le mancava uno scopo e iniziava a sospettare che la chiave della sua vita non fosse sui campi di battaglia.
25
La morte del traditore.
Sennar si era buttato a capofitto nelle trattative per gli aiuti militari da Zalenia. C’era bisogno di qualcuno che mediasse tra Pelamas e i consiglieri. Dopo le avventure che aveva vissuto durante il suo viaggio, la cauta diplomazia del Consiglio lo annoiava, ma sapeva che la via della pace passava anche per quel sentiero. Quando vide che i negoziati erano arrivati a un punto morto, decise di portare l’ambasciatore del Mondo Sommerso con sé nella Terra del Vento. Voleva che toccasse con mano cos’era la guerra, che vedesse quanto bisogno avevano del loro aiuto.
Sennar scelse l’accampamento dove si trovava Nihal, così ebbe anche una scusa per andare da lei. Pelamas fu molto colpito: non aveva mai conosciuto altro che la pace dorata del suo mondo e sembrava un bambino messo di fronte a qualcosa che non è in grado di capire.
La mossa di Sennar si rivelò efficace e in poche settimane gli accordi furono finalmente raggiunti: metà dell’esercito di Zalenia sarebbe salita in soccorso del Mondo Emerso prima della fine dell’inverno. La missione di Sennar si era conclusa con successo e il Consiglio lo lasciò tornare al suo incarico nella Terra del Vento.
Di tanto in tanto Sennar ripensava a Ondine e si chiedeva se aveva fatto davvero bene a lasciarla. Ogni volta che rivedeva Nihal, però, i dubbi venivano fugati. Gli piaceva guardarla muoversi per il campo, dare ordini con piglio deciso. Era bello vederla così sicura, così forte. Sennar aveva sempre saputo che lo era, ma ora lo sapeva anche lei. Se pensava agli occhi di Ondine, capiva la distanza tra il suo amore marino e Nihaclass="underline" Ondine aveva occhi limpidi in cui ogni pensiero si rifletteva come su una lastra d’argento puro. Gli occhi di Nihal erano profondi, imperscrutabili, erano gli occhi di chi non conosce ancora la propria strada. E Sennar ormai sapeva di amare quello sguardo pieno di incognite.
Sul fronte della Terra del Vento le cose erano migliorate. La cattura di Dola aveva gettato nel panico le file nemiche e l’esercito delle Terre libere poté approfittarne e riconquistare parte del territorio perduto. L’impresa di Nihal aveva provato che neppure i migliori guerrieri del Tiranno erano invincibili. Un’ondata di speranza aveva investito le truppe e benché l’inverno fosse alle porte, negli accampamenti sembrava che fosse arrivata la primavera.
Era una giornata di battaglia. Il reparto di Nihal si era spostato in una zona contigua all’accampamento per dare man forte all’esercito che attaccava un contingente nemico isolato. Mentre combatteva a terra, all’improvviso Nihal notò Laio, in piedi sul limitare del campo di battaglia: aveva lo sguardo perso verso un punto nel mezzo della mischia. Che diavolo sta facendo? Vuole lasciarci le penne? La ragazza sferrò un ultimo fendente mortale al fammin con cui stava lottando e corse verso il suo scudiero.
«Laio! Laio, vai via!» gli urlò mentre gli andava incontro.
Il ragazzo si riscosse e cominciò ad arretrare lentamente, senza smettere di fissare il vuoto con occhi allucinati. Nihal seguì il suo sguardo. Per un istante, in mezzo agli altri soldati, intravide un’ombra fugace e una sensazione di paura gelida le strinse le viscere.
La sera, nella sua tenda, Nihal volle tornare su quello strano episodio. Laio era seduto per terra e stava lucidando l’armatura, mentre Nihal puliva la sua spada.
«Che ti ha preso oggi?» chiese diretta.
«Mi sono solo un po’ spaventato, tutto qui» rispose lui con noncuranza.
«Per che cosa?»
Laio tacque.
«Laio, sto parlando con te. Cosa guardavi?»
Laio alzò gli occhi dai gambali e fissò Nihal. Era pallido. «Tu cosa hai visto?»
«Io...» Nihal scrollò le spalle. «Niente, Laio, non ho visto niente.» Non ho visto niente. È stata un’illusione.
«C’era qualcosa» disse Laio. Gli tremava la voce. «C’era qualcosa in mezzo alla mischia, qualcosa che... Oh, forse sto diventando matto! Lasciamo perdere.»
«Che cosa hai visto?» insistette Nihal, ma non era sicura di voler sentire la risposta.
Laio deglutì. «C’era un uomo in mezzo alla mischia. Era un soldato, ma sembrava... non so come spiegarti, diverso. E io mi sono sentito come catturato, ecco. Non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso. Allora ho continuato a guardarlo e... lo so che può sembrare assurdo, probabilmente mi sono sbagliato, ma in quel momento ero sicuro... insomma, ti ricordi Mathon?»
Nihal cercò di fare mente locale. Quel nome le diceva qualcosa. «Il soldato che ci ha accompagnato da tuo padre?»
«Proprio lui, ero sicuro che te lo ricordassi» continuò Laio.
Nihal sentì il sangue fermarsi nelle vene. Sì, se lo ricordava bene, e ancor meglio rammentava la sua fine per mano dei briganti. Uno spirito. Un morto. Come nei suoi incubi.
«Era lui, Nihal. Quando mi ha visto ha sorriso, ed era proprio lui, giuro. Ma poi quel sorriso è diventato un ghigno e io...» Laio si interruppe.
Non è possibile. Stai calma, non è possibile. Nihal chiuse gli occhi e fece un profondo respiro. Poi guardò il ragazzo. «Si chiama suggestione, Laio. Per quel che ne so, i morti stanno sotto terra.»
Laio sembrò sollevato. «Sì, lo credo anch’io» rispose con un sorriso.
Dopo quella sera non tornarono più sull’argomento.
Dola venne interrogato a lungo, ma a ogni domanda, a ogni intimidazione, opponeva sempre lo stesso sorriso: un sorriso da vincitore. «Siete già morti» ripeteva. «Siete tutti morti.»
Quando il Consiglio dei Maghi decise che fosse giustiziato, Sennar fu l’unico a votare contro, ma inviò comunque un messaggio a Nihaclass="underline" Dola sarebbe stato decapitato pubblicamente a Laodamea, la capitale della Terra dell’Acqua, sede del Consiglio per quell’anno. Al campo Nihal fu la prima a saperlo e non poté impedire al suo cuore di esultare. Poi pensò a Ido. Non poteva fare finta di niente con il suo maestro. Doveva essere lei a dirglielo.