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Lo raggiunse nella sua tenda al tramonto.

Lo gnomo era sdraiato sulla branda, immerso nella lettura di una relazione. Quando Nihal entrò, si alzò a sedere e si stirò sbadigliando rumorosamente. «Guarda chi si vede. Da quando hai le tue truppe fare due chiacchiere con te è impossibile. Questi novellini, appena fanno carriera non ti degnano più di uno sguardo» scherzò.

Nihal si guardò la punta degli stivali con un sorriso forzato.

Ido la squadrò. «Che cosa succede, Nihal?»

«Dola è stato condannato a morte» disse tutto d’un fiato.

Lo gnomo non mosse un muscolo. «Sei venuta per dirmi questo?»

«Non volevo che lo venissi a sapere da qualcun altro.»

«Lo apprezzo.»

«Ido, io...»

«Puoi andare.»

«Mi dispiace.»

«Puoi andare.»

Nihal uscì in silenzio e lasciò Ido da solo. Anche in quel momento era la gioia a prevalere: Dola avrebbe pagato col sangue, avrebbe scontato tutte le morti di cui era responsabile. Mi dispiace solo di non poter essere io a calare la scure. Mentre tornava alla sua tenda si ripeté che il suo atteggiamento era spregevole, ma la gioia non accennò a svanire.

Sennar non la lasciò neppure finire il discorso. «Non sono d’accordo» disse subito.

«Ho bisogno di andarci.»

«E allora vacci, ma non sperare che io ti accompagni.»

«Sennar, ti prego...»

Sennar alzò lo sguardo su Nihal. «Ma perché, perché vuoi farti del male?»

«Non voglio farmi del male» ribatté lei. «Ma devo essere lì, capisci? Lui era presente alla morte di Livon e ora io voglio essere presente alla sua. La tua vicinanza mi aiuterà a capire. Ho bisogno di averti al mio fianco.»

Alla fine Sennar dovette capitolare: avrebbe accompagnato Nihal all’esecuzione di Dola.

Laodamea non era lontana. Sul dorso di Oarf ci misero mezza giornata, ma solo perché la linea del fronte era avanzata.

A Nihal sembravano passati secoli da quando c’era stata la prima volta. La capitale della Terra dell’Acqua era una specie di grande villaggio popolato da ninfe e umani: le case degli uomini si addossavano le une alle altre come in una qualsiasi città, ma tra un quartiere e l’altro gli alberi, ovvero le abitazioni delle ninfe, crescevano liberi e rigogliosi.

L’esecuzione si sarebbe svolta nella piazza centrale.

Quando Nihal e Sennar la raggiunsero, la piazza era già gremita di persone, assiepate ai piedi della pedana rialzata su cui svettava il ceppo per il boia.

Nihal si accontentò di stare in mezzo alla folla invece che in prima fila. Sennar invece si sistemò con le spalle al palco.

«Non sei proprio d’accordo, eh?» chiese la ragazza.

«No, Nihal. Non ho mai assistito a un’esecuzione e non voglio farlo ora. Una decapitazione non è un intrattenimento» rispose lui in tono duro.

In quel momento due guardie nerborute condussero Dola sul palco. Lo gnomo era incatenato, aveva patito giorni e giorni di prigione e interrogatori, ma dal suo viso non traspariva neppure un’ombra di paura. Avanzava dritto, a fronte alta, con dignità. Quando fu di fronte al ceppo, gettò sulla folla uno sguardo carico di disprezzo e Nihal dentro di sé ritrovò intatto l’odio che l’aveva portata a imparare una formula proibita.

Il banditore lesse la condanna: «Il Consiglio dei Maghi, riunito nella Terra dell’Acqua, ha deliberato di giustiziare per decapitazione Dola della Terra del Fuoco, traditore delle Terre libere, per i molti innocenti che ha ucciso, per il dolore che ha causato e per aver attentato alla libertà». Sulla piazza scese un silenzio carico di tensione, di soddisfazione, di odio, di gioia. Nel vedere il boia avvicinarsi al ceppo con la scure in mano, Nihal sentì il cuore accelerare. Contò i passi che separavano la scure dalla testa di Dola come se la sua morte potesse cambiare qualcosa, come se gli uomini, le donne e i bambini che Dola aveva ucciso potessero rinascere dal suo sangue.

La mano di Sennar le strinse un braccio. «Guardalo, Nihal. Guardalo bene. Davvero toglie qualcosa al tuo dolore questo spettacolo meschino?» le sussurrò in un orecchio.

Poi la scure calò, a suggellare l’ultimo sorriso beffardo di Dola in quel mondo.

Nel pomeriggio, Sennar ricevette un messaggio da parte di Dagon: era una chiamata per il Consiglio. L’assemblea era stata fissata per il giorno successivo e il fatto che fosse stata anticipata non lo stupì. Da quando era tornato, le riunioni si erano susseguite a ritmo serrato. Con l’imminente arrivo delle truppe da Zalenia, le questioni da pianificare sembravano non finire mai.

Ciò che invece lo stupì fu che Dagon chiedesse espressamente che anche Nihal fosse presente.

«Io? E che cosa ci vengo a fare io? Non so un accidente né di politica né di strategia» commentò Nihal.

«A dire il vero, non ne ho idea» rispose Sennar pensoso.

Al calar del sole si recarono al palazzo reale, dove aveva sede la sala del Consiglio. Nihal c’era già stata una volta, quando Sennar aveva sostenuto la prova per diventare mago, ma aveva visto la sala solo di sfuggita. Il palazzo sorgeva sul ciglio di una cascata e il rumore dell’acqua che si gettava nel lago sottostante riportò alla memoria di Nihal immagini dolci e dolorose. Ricordava con spietata nitidezza ogni momento passato con Fen, ogni sua espressione, ogni mossa dei loro duelli d’allenamento.

Fu Dagon in persona ad accoglierli. «Benarrivato, Sennar. E salute anche a te, Cavaliere. Le tue gesta ti hanno preceduta.»

Nihal era confusa. Non era abituata a tutti quei convenevoli e si limitò ad arrossire e ad abbassare il capo.

«Sua maestà Astrea vi prega di perdonarla se non è qui a darvi il benvenuto, ma la difesa della sua Terra la impegna ogni notte» disse Dagon, mentre li precedeva lungo il salone vetrato dell’ingresso.

Nihal sgranò gli occhi. «Anche la regina mantiene la barriera magica?» sussurrò a Sennar. Il mago annuì.

Il palazzo sembrava disabitato. Camminarono a lungo, percorsero corridoi dalle volte altissime e saloni silenziosi. Infine imboccarono una scala e scesero un’infinità di gradini.

Quando Dagon si fermò di fronte a un grosso portone di bronzo, Sennar gli rivolse un’occhiata interrogativa. «Questa non è la sala del Consiglio.»

Dagon socchiuse la porta e fece loro cenno di seguirlo.

Sennar e Nihal entrarono, esitanti.

La stanza era grande e spoglia. Al centro c’era un tavolo di pietra.

La donna che vi era seduta si alzò lentamente. Era alta e armoniosa e indossava una semplice tunica di lana nera che sfiorava il pavimento. I capelli corvini erano raccolti in una treccia che le lasciava scoperto il viso e metteva in risalto gli occhi scuri. Sorrise. «Ne è passato di tempo, vero?» disse Soana.

Soana era stata la maestra di Sennar, e per un po’ aveva addestrato alla magia anche Nihal, di cui era zia. Erano trascorsi più di due anni da quando aveva lasciato il Consiglio. Da allora, Sennar e Nihal non avevano avuto sue notizie. Durante la sua assenza erano accadute un’infinità di cose. Ma ora era lì e non sembrava cambiata di molto. Aveva il viso tirato e qualche capello bianco, ma la maestosità dei tratti, la soggezione che ispirava a Nihal erano le stesse di prima.

Mentre Sennar le correva incontro, Nihal rimase ferma sulla soglia, incredula.

Soana tese una mano verso di lei. «Non vieni a salutarmi?»

Solo allora Nihal si avvicinò e la abbracciò.

Esaurita la commozione, Nihal e Sennar ebbero un momento di imbarazzo.

«Non temete» disse Soana con un sorriso triste. «So che cosa è accaduto a Fen. L’ho saputo prima dal mio cuore e in seguito da chi ho incontrato...»

Soana tacque per un istante, poi scosse la testa e riprese la sua espressione serena, ma Nihal percepì che soffriva ancora e che forse non avrebbe mai smesso.

«Dove sei stata in tutto questo tempo?» chiese Sennar.

«Ho viaggiato. Ho cercato persone, luoghi, certezze...» La maga guardò Nihal. «E risposte.»