Nihal era contenta di essere lì, con lui. Addentò un pezzo di carne e le sembrò che fosse squisita, come quella che aveva mangiato con lui anni addietro, quando si trovava nella Foresta per superare la prova di iniziazione alla magia, terrorizzata, e Sennar le aveva portato del cibo e aveva vegliato su di lei tutta la notte.
«Ti ricordi la sera nel bosco, poco dopo esserci conosciuti?» chiese Nihal.
«Certo che me la ricordo. Anche quella volta ho provveduto a sfamarti, se non sbaglio. Ah, se non ci fossi io!» sospirò Sennar.
Nihal scoppiò a ridere. «Già. Chissà come ho fatto a sopravvivere mentre eri via... Mi hai raccontato la tua vita, ricordi?» Nihal prese un altro pezzo di carne. «A volte penso che mi piacerebbe davvero viaggiare, come hai fatto tu. Ho passato tanto di quel tempo a sperare di poter volare via...»
«Non è così bello, sai?» rispose Sennar. «Il più delle volte ti senti sperduto e vorresti non essere mai partito. L’ignoto è molto più affascinante quando ti limiti a immaginarlo. La verità è che io sto meglio qui, con i piedi per terra, a fare il mio lavoro.»
Nihal scrollò le spalle. «Io sento di non stare bene da nessuna parte. Non so neanche più perché combatto... Tu sai cosa vuoi, Sennar?»
«C’è qualcuno al mondo che lo sa? Io credo in quello che faccio e per ora mi basta. Adesso basta filosofeggiare. Domattina ci aspetta ancora un bel tratto di strada, è meglio dormire. Te lo dice un viaggiatore esperto.»
Nihal si allontanò dal fuoco e si sedette in modo da guardare il folto, la spada al fianco. «Tu dormi pure, io faccio il primo turno di guardia. È meglio che almeno uno di noi stia sveglio. Te lo dice un guerriero esperto.»
La mattina del terzo giorno di volo, Nihal e Sennar capirono di essere quasi arrivati. Prima ancora di riuscire a scorgere le cascate, ne sentirono il rombo cupo. Poi videro un’enorme nube d’acqua sovrastata dall’arcobaleno. A mano a mano che si avvicinavano, la sagoma delle cascate di Naël si stagliò nell’aria umida in tutta la sua maestosità. Il salto era di almeno un centinaio di braccia e l’acqua si divideva in tre getti principali che, infrangendosi sulle rocce, si dividevano ancora e ancora, in una rete che sembrava non avere fine. Quando le sorvolarono, Nihal ebbe un istante di vertigine. Si chiese com’era possibile che Reis abitasse lì. E, soprattutto, dove poteva essere la sua casa. Soana aveva parlato di una roccia in mezzo alla cascata, ma il vapore acqueo era talmente fitto che non si vedeva nulla. Per un po’ girarono a vuoto alla ricerca di un segno di vita, ma in quel posto non c’era niente di umano. Era il regno incontrastato della natura.
«Ma certo!» urlò all’improvviso Nihal. Si voltò verso Sennar. «Deve essere dietro!»
«Cosa?» gridò lui di rimando.
«Ho detto che la casa deve essere dietro il getto! Non c’è altra spiegazione!»
Sennar fece appena in tempo a dire: «Non vorrai mica...» che Nihal spronò Oarf a tutta forza verso l’acqua. Il drago pareva divertirsi e anche Nihal strillava contenta. L’urlo di Sennar, invece, fu di puro terrore.
Per un istante sembrò che tutte le acque del mondo si gettassero sulle loro spalle, ma subito dopo si trovarono in una sorta di enorme grotta scavata nel fianco della montagna. Oarf si spinse in profondità, finché non atterrò su una roccia piatta.
Nihal e Sennar, fradici e col cuore che batteva all’impazzata, smontarono e cominciarono a guardarsi intorno, aguzzando la vista nella penombra. Erano nel ventre della montagna e il muro di acqua corrente era così lontano che il tuono della cascata arrivava attutito.
Fu Sennar a vederla per primo. «Come accidenti hanno fatto a costruirla?» mormorò, mentre indicava una catapecchia di legno scuro abbarbicata su uno spuntone roccioso, una decina di braccia sopra di loro. «E come ci andiamo fin lì?»
«Un modo ci sarebbe...» rispose Nihal. «Ma non devi fare tante storie.»
Nihal si avvicinò a Oarf, gli bisbigliò qualcosa e il drago si rizzò sulle zampe posteriori, levandosi in tutta la sua altezza. Nihal gli si arrampicò sul dorso, poi sul collo. Quindi raggiunse la testa dell’animale da dove, sotto gli occhi esterrefatti di Sennar, spiccò un balzo e atterrò sulla roccia.
«Visto?» disse la ragazza con un sorriso soddisfatto.
«Complimenti. Ma se tu credi che io faccia la stessa cosa...»
«Non ce n’è bisogno» rispose Nihal. «Tu chiudi gli occhi e fidati.»
Sennar obbedì con un sospiro. Solo allora Oarf prese tra i denti con delicatezza parte della tunica di Sennar e lo sollevò nel vuoto.
«Ehi!»
«Non aprire gli occhi» gridò Nihal, divertita. «È meglio così, credimi.»
Quando il drago lo depose a terra, Sennar le lanciò un’occhiataccia, ma Nihal si era già voltata a guardare la casupola.
L’interno era buio e l’olfatto reagì prima della vista. La capanna traboccava di odori: erbe, fumo, muffa, carta consumata dagli anni. L’insieme di aromi investì Nihal e le diede un’indefinita sensazione di sgradevolezza. Poi, a poco a poco, gli occhi si abituarono all’oscurità. Nihal e Sennar si trovavano in un ambiente unico traboccante di oggetti. Alle pareti c’erano scaffali ingombri di libri, tutti dello stesso colore ammuffito. C’erano piccoli libri con rilegature leggere ma anche tomi enormi, con i bordi rinforzati da placche metalliche divorate dalla ruggine. Alcuni scaffali erano rotti e il loro contenuto era piombato a terra, dove mucchi di libri giacevano nelle posizioni in cui erano caduti, con la rilegatura verso l’alto o con le pagine spalancate. Il pavimento era sommerso da decine di pergamene impolverate, ricoperte da disegni inquietanti. Qua e là, sugli scaffali, i libri erano intercalati da vasi con i contenuti più disparati: erbe disidratate, polveri, fumi di ogni colore, piccoli animali deformi o parti di essi. Dal soffitto pendevano mazzi di fiori marci o essiccati, che appestavano l’aria del tugurio.
Sennar si chinò a guardare le pergamene, mentre Nihal procedeva decisa nella speranza di trovare la proprietaria di quel luogo.
«Sheireen... finalmente sei arrivata, Sheireen...»
Sul fondo della capanna, da dietro un lacero tendaggio amaranto, era echeggiata una voce simile a un gemito.
Nonostante le facesse accapponare la pelle, Nihal scostò la tenda. Seduta a un tavolo ingombro di scartoffie e amuleti, sprofondata in un seggio di cuoio c’era una donna gnomo.
Qualcosa, in quella figura, fece fremere Nihal di ribrezzo. Anche per essere una gnoma, Reis era piccolissima, rinsecchita come un fiore avvizzito, e aveva il volto segnato da rughe profonde. Sotto le palpebre pesanti gli occhi sembravano non avere sguardo: al posto dell’iride c’era un cerchio biancastro, privo di espressione. Il viso era incorniciato da capelli di un grigio ingiallito, che scendevano dritti fino al suolo, serpeggiando per un tratto del pavimento. Eppure si intuiva che doveva essere stata molto bella in passato: nei tratti traspariva ancora una delicatezza dolente, ma il tempo era stato impietoso.
Quanti anni poteva avere? Sembravano centinaia, ma a detta di Soana non doveva averne più di una settantina.
«Fatti toccare, Sheireen» gemette Reis. Allungò verso Nihal una mano raggrinzita.
La ragazza rimase ferma a guardarla, impietrita, finché non si sentì afferrare il polso e tirare verso il basso.
Gli occhi velati di Reis le scrutarono il viso, mentre le sue dita le sfioravano gli zigomi e le guance. «Sei proprio tu, giovane Sheireen.»
«Non mi chiamo Sheireen» disse Nihal. «Io sono Nihal della Torre di Salazar.»
La vecchia annuì e sorrise. «Certo, certo, Nihal... Ma il tuo vero nome è Sheireen, la Consacrata, ultima dei mezzelfi, unica speranza di questo mondo.»
Nihal d’istinto si voltò e cercò Sennar. Il mago si fece avanti, silenzioso.
Reis spostò di scatto la testa. «Chi è il giovane con te?» Sembrava preoccupata.
«Mi chiamo Sennar, sono...»
«Oh, Sennar... il consigliere della Terra del Vento, l’allievo della mia amata Soana» cantilenò la vecchia, poi tornò a rivolgere lo sguardo su Nihal.