«Spiegati meglio. Questo sì che mi interessa» disse Dodi.
Sennar gli rivolse uno sguardo serio. «Non dovrebbe, invece. La magia del Tiranno ha come unico scopo lo stravolgimento delle leggi naturali. Prendi i fammin. Sono creature nate dall’unione di più specie diverse, forzate insieme da un incantesimo proibito: esseri sanguinari dediti solo alla morte. Le formule proibite portano sempre con sé morte e distruzione, non si viola impunemente l’ordine delle cose. Inoltre, il mago che le pronuncia, incantesimo dopo incantesimo, corrompe il proprio spirito e porta il male nel mondo.»
Dodi sembrava colpito. «Ma tu come fai a sapere tutte queste cose?» chiese dopo un po’. «Sì, insomma, il Consiglio, il Tiranno... cosa c’entrano con te?»
«Niente, non c’entrano niente. Ho studiato, tutto qui» tagliò corto Sennar.
Il mozzo rimase in silenzio per qualche istante. «Comunque, mi devi cinque dinar, mago.»
«Cinque dinar? E perché?»
Dodi sfoggiò un sorriso smagliante. «Perché a furia di farti parlare, ti è passato il mal di mare!»
Sennar scoppiò a ridere e gli mollò uno scappellotto.
Dodi era un gran chiacchierone e a Sennar piaceva ascoltare; in breve tempo conobbe la storia di ogni pirata dell’equipaggio. Alcuni si erano imbarcati per sfuggire a una condanna a morte, altri per spirito di avventura, altri ancora perché avevano perso tutti i soldi al gioco. Su quella nave c’era un mondo di storie e di aneddoti.
A Sennar interessava soprattutto il capitano. Intorno a lui e al suo passato c’era un alone di mistero. Dodi riportò versioni contraddittorie e tinte di leggenda: c’era chi sosteneva che fosse nato in mare e che solcasse l’oceano da sempre, chi raccontava che si era imbarcato per una delusione d’amore, chi giurava che aveva abbandonato la terraferma perché nauseato dai suoi simili.
L’unica che avrebbe potuto dirgli la verità era Aires, ma quella donna era ancor meno avvicinabile del padre. La mattina si aggirava sul ponte coperta solo da una vestaglia leggera, da cui a ogni passo scivolavano fuori le lunghe gambe. Quando si imbatteva nel mago, gli rivolgeva uno dei suoi sorrisi, maliziosi e ironici al tempo stesso, e lui non capiva più nulla. Non aveva mai conosciuto una donna come lei: era l’incarnazione della sensualità, eppure era forte come un uomo. Per certi versi gli ricordava Nihal. Ma se Nihal era ancora un frutto acerbo, Aires era matura e sicura di sé.
Per molti giorni navigarono in vista della costa. Sennar non ne capiva il motivo, ma evitò di fare domande.
Una mattina, però, mentre usciva dalla stiva, notò una certa agitazione a bordo. Non fece in tempo a chiedersi che cosa significasse quel trambusto, che vide Aires avanzare in una sorta di alta uniforme: giubba di velluto amaranto, stivali calzati su pantaloni attillati e cinturone borchiato da cui pendeva una spada.
Quando gli fu vicina, gli diede un buffetto sul viso. «Pronto per il rifornimento?» chiese con il solito sorriso.
Il mago arrossì, ma tentò di darsi un contegno. «Certo. Anzi, ti dirò, sentivo la mancanza della terraferma.»
Aires scoppiò a ridere. «Terraferma! Questa sì che è buona» disse, poi si allontanò.
Il vascello da assalire era stato individuato all’alba, ma era probabile che la navigazione sottocosta degli ultimi giorni fosse servita proprio a intercettarlo. Dopo l’avvistamento, la nave pirata aveva virato bruscamente verso il mare aperto, in modo da poter prendere la preda alle spalle, confidando nella velocità dell’attacco e nella sorpresa.
A Sennar tutta quella storia non piaceva neanche un po’. Era reduce dai campi di battaglia e di guerre ne aveva fin sopra i capelli, ma soprattutto era preoccupato: che cosa sarebbe successo se qualcuno dell’equipaggio del vascello lo avesse riconosciuto come membro del Consiglio dei Maghi? Scese nella stiva e si immerse nei libri, cercando di non pensare a quel che stava per accadere.
La sua pace non durò molto. La nave invertì rotta all’improvviso e Sennar fu sbalzato giù dal sacco sul quale si era sistemato. L’attacco era iniziato. Sentì i passi dei pirati tempestare il ponte, poi grida d’eccitazione e clangore d’armi. Si tappò le orecchie. Non mi riguarda , si ripeté, non devo entrarci, ma non riuscì a resistere a lungo. Non poteva permettere che i pirati assaltassero una nave sotto i suoi occhi. Era un consigliere, dopotutto.
La nave pirata scivolava sui flutti, le vele rosse spiegate, e divorava un miglio marino dopo l’altro. Rool dominava la scena dalla prua.
Quando vide Sennar precipitarsi sul ponte, lo accolse con una violenta pacca sulla spalla. «Bene, sono arrivati i rinforzi» sghignazzò.
«Devo parlarvi, capitano» disse Sennar con decisione.
«Magari in un altro momento, eh?»
Sennar mantenne la calma. «Vi chiedo di invertire la rotta. Immediatamente.»
«È fuori discussione» disse Rool senza scomporsi.
Il mago insistette. «Non voglio spargimenti di sangue finché sono a bordo.»
«Avete sentito? Non vuole spargimenti di sangue!» urlò Rool alla ciurma. Poi fissò Sennar con occhi gelidi. «Se sei debole di stomaco, tornatene in cabina.»
«Capitano, ve lo chiedo per l’ultima...»
Non fece in tempo a finire la frase. Aires lo agguantò per la tunica e lo costrinse a sporgersi oltre la murata. Sennar vide il mare scorrere rapido sotto la chiglia, mentre il legno si librava sulle onde come un gabbiano.
«Ascoltami bene, ragazzino. Abbiamo bisogno di provviste. Con la cambusa vuota non si va da nessuna parte. Ti è più chiara la situazione, adesso?»
Cielo e acqua si confusero nella corsa. All’improvviso il vascello fu vicinissimo.
«Ognuno ai propri posti!» ordinò Rool. «Pronti all’arrembaggio!»
Quando i rostri trafissero la preda, Sennar cadde in avanti. Il contraccolpo lo spinse indietro e lo fece crollare di schiena sul ponte. Si rialzò in tempo per vedere Aires che avanzava rapida con la spada sguainata e incitava gli altri ad andarle dietro.
Il mago seguì la sua corsa con lo sguardo e rimase abbagliato dal luccicare delle spade levate al sole. Poi gli apparve la ciurma dell’altro vascello: tutti uomini, tutti armati.
Per un istante fu come se il tempo si fosse fermato. Ghigni truci da un lato e dall’altro, spade strette in pugno, muscoli pronti allo scatto. Infine, all’improvviso, un fracasso assordante; urla, clangore di armi e lo scintillio di decine di lame che si incrociavano.
Sennar restò inchiodato al suo posto. Quello non era un semplice arrembaggio, era un regolamento di conti tra pirati. Avevano attaccato un’altra nave di bucanieri.
Nel giro di pochi minuti, il ponte fu viscido per il sangue, molti corpi caddero a terra e altri furono scaraventati fuori dalla murata.
Sennar ebbe un moto di disgusto e decise che aveva visto fin troppo. Riprese con rabbia la via della stiva e si andò a rincantucciare in un angolo, al riparo dalla battaglia. Sono tagliagole che regolano i loro conti, non ti riguarda , si ripeteva. Ma dall’alto continuavano ad arrivare urla, gemiti e i lugubri tonfi dei corpi che cadevano a terra. Sennar si premette le mani sulle orecchie.
Lo scontro non durò più di mezz’ora.
Quando i passi sul ponte si fecero meno frenetici e le grida si spensero del tutto, Sennar, ancora adirato, si azzardò a risalire.
Solo un paio di uomini della ciurma erano feriti gravemente e, se non fosse stato per le macchie di sangue sull’impiantito, non si sarebbe detto che si era appena concluso un duro combattimento. Evidentemente i corpi dei caduti giacevano già tutti sul fondo dell’oceano.
Sotto gli occhi soddisfatti di Aires, alcuni pirati portavano a spalla pesanti bauli, orci e barili, che scaricavano sul ponte.
Quando anche l’ultima cassa fu caricata e furono pronti a partire, la donna si avvicinò a Sennar. «Impressionato?»