Выбрать главу

«Che cosa intendi dire?» chiese lei, affrettando il passo.

«Io... ho paura di quello che ho visto, Nihal.»

La ragazza si fermò a guardarlo negli occhi e per un istante ebbe un oscuro presentimento. Nihal non aveva mai avuto paura in battaglia, ma nell’espressione di Laio c’era qualcosa che la raggelò.

«Va’ nella tenda e non uscire, la situazione è grave» tagliò corto, poi si allontanò.

Tutti erano al proprio posto. Nihal cercò con gli occhi Sennar e lo vide accanto a Mavern. Con lui c’era anche Soana. Che cosa sta succedendo, maledizione? Scosse la testa, non era il momento di farsi prendere dalla preoccupazione. Doveva essere lucida e concentrata.

Si calò l’elmo sulla fronte e avanzò con Oarf fino alla prima linea. In lontananza, davanti a sé, vide le ninfe intente a erigere la barriera. Erano disposte su più file, l’una accanto all’altra, le mani tese verso l’alto. Con stupore, Nihal riconobbe Astrea. Dritta in tutta la sua altezza, la regina pregava per la sua Terra al fianco delle altre ninfe. Era cambiata rispetto alla prima volta che Nihal l’aveva vista. La sua bellezza diafana era quasi opaca, appesantita da un dolore che doveva averla lacerata a lungo.

Tutto taceva. Di solito i fammin avanzavano levando grida belluine che gelavano il sangue nelle vene. Ma ora niente, solo silenzio. Nihal aveva paura e non sapeva di cosa. Non della morte, quella non l’aveva mai temuta. Una paura più profonda, sottile e terribile.

Poi dalla Terra del Vento comparve il nemico. I combattenti del Tiranno non erano fammin. Sembravano uomini e avanzavano muti, ordinati, quasi con calma. Al posto delle solite armature nere indossavano corazze cineree. Quando videro la barriera non batterono ciglio. Le preghiere delle ninfe aumentarono di volume, il loro canto si fece più melodioso.

Nihal sentì il cuore batterle con forza. Due guerrieri in groppa ad altrettanti draghi apparvero nel cielo plumbeo. Uno aveva una corazza scarlatta e cavalcava un drago nero, simile a quello di Dola. L’altro era grigio e il suo drago mandava bagliori lattescenti.

Un mormorio percorse le truppe.

«Pronti all’attacco!» urlò il generale.

Nihal si chinò su Oarf e gli parlò con dolcezza: «Sta’ buono, andrà tutto bene». Anche il drago aveva iniziato ad agitarsi. Le sue ali fremevano, ma non era desiderio di battaglia.

Le truppe si avvicinarono sempre di più, marciavano senza timore verso la barriera. Molti dei fanti sembravano feriti. Sulle loro armature ferrigne spiccavano larghe macchie di sangue rappreso, eppure avanzavano imperterriti. Quando la prima linea fu a un passo dalla barriera, si fermarono.

Il guerriero sul drago nero si fece avanti, volando a mezz’aria.

«Oggi è un grande giorno!» urlò rivolto all’esercito delle Terre libere. «Un grande giorno davvero! Oggi è il giorno in cui i fratelli si leveranno gli uni contro gli altri, in cui il padre ucciderà il figlio. La mano destra lotterà con la sinistra ed entrambe infieriranno sul corpo a cui appartengono. Oggi sarete voi stessi a uccidervi!»

Il guerriero sguainò una sorta di lancia a tridente: era blu e splendeva di riflessi bui e profondi. L’uomo la brandì verso il cielo e la lancia fu avvolta da una ragnatela di sottili lampi azzurri. «Mio Signore, il tuo servo ti chiede la forza!» gridò, quindi scagliò la lancia sulla barriera.

Gli occhi di tutto l’esercito la guardarono penetrare la barriera senza difficoltà e infiggersi nel terreno, a poche braccia dalle spalle delle ninfe. Appena toccò il suolo, la lancia fu avvolta da un globo di luce scura che iniziò a pulsare, a espandersi con un tuono sordo.

La barriera s’infranse in un’esplosione di lampi verdi. Le ninfe e la loro regina furono spazzate via, poi il globo nero le avvolse e parvero dissolversi in una nube di vapore.

Un silenzio di orrore calò tra i soldati. Nulla separava più le truppe nemiche dall’esercito delle Terre libere.

«Che la strage si compia!» urlò il guerriero e le sue truppe si lanciarono all’attacco senza emettere un suono.

Lo scontro ebbe inizio.

I fanti di prima linea presero a menare fendenti su quei misteriosi soldati grigi, ma quando le spade li trapassavano da parte a parte era come se attraversassero l’aria.

All’improvviso ogni soldato, ogni fante, ogni guerriero dell’esercito delle Terre libere riconobbe qualcuno tra le file nemiche. Chi vedeva un vecchio compagno d’armi, chi il proprio comandante deceduto in battaglia, chi il fratello ferito a morte. Lo stupore cedette il passo al dubbio, il dubbio divenne certezza e la certezza sfociò nell’orrore: era un esercito di morti.

I morti delle proprie file, gli amici di un tempo. Il Tiranno aveva trovato il modo per riportare in vita i caduti di quella guerra infinita.

Il campo di battaglia echeggiò di grida di terrore e l’esercito delle Terre libere si sparpagliò in una ritirata senza quartiere.

Nihal si sforzava di dominare il terrore e faceva il possibile per tenere insieme le truppe. Andava avanti e indietro per il campo cavalcando un Oarf recalcitrante, incitava gli uomini, cercava di evitare che si disperdessero. Ma non serviva a nulla. Quello era il momento della rovina: se anche i soldati fossero riusciti a superare l’orrore di dover combattere contro i propri compagni morti, non c’erano armi che potessero uccidere quei nemici.

Nihal si sentì disperata, impotente.

«Maledetto!» urlò. Poi spronò Oarf a raggiungere il guerriero dall’armatura rossa, ma tra lei e il suo obiettivo si frapponevano schiere e schiere di fantasmi. Un soldato che era stato sotto il suo comando le si parò davanti e la guardò con occhi spenti.

Nel frattempo, Sennar e Soana avevano lasciato le retrovie e raggiunto il generale.

«Fate radunare tutti quelli che non hanno ancora iniziato a combattere, generale!» disse il mago sbrigativo. «Forse so come sconfiggerli.»

Il militare scosse la testa. «No, consigliere. Ho intenzione di ordinare la ritirata. Non voglio altre perdite.»

Le frecce gli fischiavano intorno, ma Sennar quasi non se ne accorgeva. «Se ci ritiriamo in queste condizioni sarà un massacro. E inoltre non possiamo cedere così la Terra dell’Acqua.»

«Cosa avete in mente?» chiese il generale.

«Esiste una formula» disse Soana «ma occorre recitarla sulle armi. Ascoltate il consigliere Sennar, generale. Del resto ci occuperemo noi.»

L’idea l’aveva avuta Sennar. Gli spiriti partecipano dell’essenza del fuoco, per questo solo una magia che avesse a che fare con le fiamme poteva disperderli e ridar pace a quelle anime. Non restava che imporre l’incantesimo alle armi.

I soldati che non si erano ancora gettati nella mischia furono chiamati a raccolta sull’altopiano da dove avevano aspettato l’attacco. Ido e Nihal atterrarono poco distante, sollevando nuvole di polvere. Smontarono dai draghi e si avvicinarono a grandi passi, per poi mescolarsi alla folla.

Sennar guardò lo schieramento: fanti, soldati semplici e guerrieri stavano immobili, i visi stravolti, ad ascoltare le urla dei loro compagni. Erano meno della metà dell’intero esercito, ma bisognava tentare. Si arrampicò su uno dei carri che trasportavano le armi, in modo che tutti potessero vederlo, e tese una mano a Soana perché salisse anche lei.

«Ascoltatemi!» urlò, mentre il rumore della battaglia copriva la sua voce. «Ascoltatemi! Dobbiamo resistere!»

«Ci stanno massacrando!» gridò qualcuno e molti altri gli fecero eco.

«Abbiate fiducia in me! Faremo un incantesimo sulle vostre armi!» insistette Sennar. «Dovete soltanto levare in alto le spade!»

Solo una lama di cristallo nero e una lunga spada sottile svettarono su quella selva di elmi e armature. Nessun altro si mosse.

Sennar riconobbe la voce di Ido: «I vostri compagni stanno morendo, dannazione! Non c’è tempo! Alzate quelle maledette armi!». Qualcuno obbedì e a poco a poco l’altopiano fu irto di lame e lance, frecce e scuri.

Sennar e Soana rivolsero le palme delle mani verso il cielo e iniziarono a recitare una formula. Dai loro polsi uscì un raggio purpureo che si innalzò, per poi ridiscendere in centinaia di rivoli di luce che inondarono ciascuno un’arma.