Quando le truppe si mossero, Sennar si appoggiò alla sponda del carro, sfinito. Soana scivolò sull’assito.
Nihal si alzò in volo con Oarf e spronò i suoi uomini. I soldati presero a calare le spade sui nemici. Ora i colpi andavano a segno e i fantasmi si dissolvevano come fumo, ma era comunque terribile. Tra le file degli spettri Nihal riconobbe molti commilitoni e colpirli, dopo aver visto i loro occhi e i loro sguardi, era quasi impossibile. Avanzò ancora, piena di rabbia, finché non scorse in lontananza la sagoma vermiglia che montava il drago nero. Sarebbe stato lui quello che avrebbe ucciso per primo.
Prese a inseguirlo senza chiedersi perché si allontanasse tanto, gli occhi fissi su quell’armatura rossa come il fuoco.
Il drago nero rallentò la corsa all’improvviso e virò bruscamente. Oarf si trovò a fronteggiarlo. Nihal era pronta a scagliarsi all’attacco quando vide avanzare un’enorme figura alata, grigia come il soldato che la montava. Nella postura, negli occhi che intravedeva sotto l’elmo, Nihal trovò qualcosa di familiare. Rabbrividì.
«Questo è il tuo nemico» le urlò il guerriero scarlatto. Subito dopo il suo drago cabrò e puntò verso le nuvole.
«Aspetta!» gridò lei, mentre si gettava all’inseguimento, ma il soldato grigio le si parò davanti e le ferì un braccio con la spada.
Nihal si allontanò velocemente e spostò la spada nella mano sinistra. Sopra di lei, il guerriero con l’armatura rossa volteggiava avanti e indietro, osservando la scena.
Il drago grigio spalancò le fauci in un ruggito silenzioso e sbatté lentamente le ali, avvicinandosi ancora. Quando Nihal sollevò la visiera dell’elmo per guardarlo meglio, fu presa da un senso di vertigine.
No. Non è possibile. Gaart è morto. È morto per salvare il suo cavaliere.
«Chi sei?» strillò Nihal al soldato, ma non ebbe risposta. «Chi sei, chi sei?»
La lama nemica la raggiunse a una gamba. Nihal non sentì il dolore. Era intontita, tremava. Non è lui, non può essere lui.
Poi, a un cenno del guerriero scarlatto, il soldato si tolse meccanicamente l’elmo e non ci fu più possibilità di dubbio. I riccioli castani ora erano del colore della cenere, il sorriso spavaldo era sparito dalle labbra per lasciare spazio a una piega inespressiva, ma davanti a lei c’era Fen: il suo maestro, il suo amico, il suo amore.
Nihal rimase paralizzata.
Quante volte aveva desiderato rivederlo? Quante volte le era sembrato di risentire la sua risata? Ora era lì. Negli occhi verdi non aveva più sguardo, eppure era lui.
Fen si scagliò contro Nihal e la spada con cui l’aveva allenata tante volte andò a conficcarsi con precisione nella sua spalla.
Nihal sentì il dolore, il sangue uscire dalla ferita, ma non riuscì a reagire. «Fen» disse con un filo di voce.
Il volto del cavaliere fantasma rimase indifferente, la bocca muta.
«Fen... Sono io, Fen...» mormorò Nihal.
Un nuovo colpo la raggiunse a un fianco e scalfì l’armatura.
«Hai deciso di morire, Cavaliere?» la schernì il guerriero dall’alto.
I fendenti si abbattevano sull’armatura di Nihal e lei li riceveva tutti senza un lamento, senza muoversi.
Poi, d’un tratto, Nihal si rese conto che Oarf la stava portando via.
Un muro di fiamme li bloccò: il drago nero. «Uccidere o essere uccisi, Cavaliere» urlò il guerriero scarlatto.
Colpiscilo, Nihal.
Nihal scosse il capo. «Non posso...»
Tu non vuoi morire.
Una seconda fiammata investì il petto di Oarf e Nihal sentì rimbombare dentro di sé il grido di dolore del suo drago ferito. Perché, perché era costretta ad affrontare quella prova?
«Nihal! Combatti, maledizione!» La voce di Ido la riportò bruscamente alla realtà.
Nihal si riscosse. Vide Ido con la spada sguainata e Vesa che si scagliava sul drago nero.
La rabbia montò come un’onda. Rabbia e disperazione. Nihal strinse la mano intorno all’elsa e si lanciò urlando contro Fen.
Lottava con la forza della disperazione, colpiva a caso, cercava di sfuggire lo sguardo gelido dell’uomo che aveva amato.
«Sono io, Fen» continuava a ripetere, ma Fen attaccava e parava, attaccava e parava, impassibile.
Non lo fece volontariamente: fu come se la sua mano si fosse mossa da sola, o forse le piacque pensare così. La spada di cristallo nero si frappose tra lei e Fen e la punta si conficcò nel ventre del cavaliere, passandolo da parte a parte. Per un istante gli occhi di Nihal incrociarono quelli del fantasma. Non vi videro nulla. Fen svanì a poco a poco e diventò fumo, come la sera in cui il fuoco della pira funebre aveva consumato il suo corpo.
Le truppe delle Terre libere furono costrette a ritirarsi. Grazie alla magia di Sennar e Soana erano riuscite a contenere le perdite, ma non ad avere la meglio. Alla fine della giornata, l’entità della disfatta fu chiara: gran parte della steppa meridionale, che congiungeva la Terra del Vento con quella dell’Acqua, era in mano al Tiranno.
I superstiti della battaglia si rifugiarono a Laodamea. Nella piazza principale fu allestito un ospedale da campo per i feriti e nelle vie contigue venne improvvisato un accampamento. I cittadini della capitale si strinsero intorno ai soldati e collaborarono come potevano: i locandieri usarono i loro locali per organizzare piccole mense, le donne si prodigarono per non far mancare ai militari acqua, legna per scaldarsi e abiti puliti e furono in molti a offrir loro ospitalità. Galla, il re della Terra dell’Acqua, mise il suo palazzo a disposizione di generali e Cavalieri.
Il morale dell’esercito era a pezzi, la situazione disperata. La Terra dell’Acqua era assediata dalle truppe nemiche, accampate ad alcune leghe di distanza.
Se fosse caduta, le Terre libere si sarebbero ridotte a due: quella del Mare e quella del Sole.
Nihal venne portata al palazzo reale. La ferita alla spalla appariva piuttosto grave, ma soprattutto la ragazza sembrava caduta in stato confusionale. Anche quando fu nella sua stanza, lontana dai lamenti dei feriti e dallo scoramento dei sopravvissuti, continuò a guardarsi intorno con aria assente.
Laio le teneva la mano e le parlava a bassa voce, cercando di rassicurarla, ma non otteneva da lei alcuna reazione.
Sennar si avvicinò e lo scostò con dolcezza. «Per prima cosa bisogna occuparsi della ferita» disse. «Nihal?» chiamò Sennar. «Rispondi, Nihal.»
Ma Nihal non rispose. Sennar le pulì il viso sporco di fuliggine con una pezzuola bagnata. Poi, con l’aiuto di Laio, le tolse la corazza. Quindi esaminò la ferita alla spalla e iniziò a praticarle un incantesimo di guarigione.
Laio rimase al fianco del suo Cavaliere e ne vegliò il sonno agitato, mentre Sennar passò il resto della nottata a curare i feriti, aiutato da Ganna e da Soana.
All’alba, mentre rientravano al palazzo reale, incontrarono Ido.
«È stata la rovina, Sennar...» disse lo gnomo.
«Lo so. Ma al momento sembra che l’esercito del Tiranno si sia fermato. Per ora siamo al sicuro.»
«Non lo saremo per molto» rispose Ido.
Il giorno seguente l’esercito nemico non avanzò né arretrò di un passo.
I vertici militari cercarono di riorganizzare le forze a disposizione, ma la consapevolezza che il Tiranno poteva evocare gli spiriti dei defunti non lasciava alcun margine di speranza nella vittoria.
Erano in trappola. Certo, i maghi del Consiglio avrebbero potuto unirsi e continuare a imporre incantesimi su tutte le spade. Ma a ogni nuova battaglia il numero dei soldati sarebbe diminuito, andando a ingrossare le forze nemiche. Quanto avrebbero potuto resistere?
Una seduta speciale del Consiglio, alla presenza di re Galla, venne fissata per quella sera stessa. Tutti i Cavalieri di Drago furono invitati a partecipare.