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Poi udì delle urla spaventate alle sue spalle.

La disco music s’interruppe di colpo.

Cole girò su se stesso, corse verso Città e Catz.

Tre berline gialle avevano formato una U, circondando i gradini del palazzo dove il protettore, le prostitute e Catz si stavano ancora riempiendo le tasche di soldi. Città, a gambe divaricate, fissava i fanali delle auto.

Un taxi, imperscrutabile come quello che aveva portato lì Cole, corse via con i Jones, gli Schmidt, e i loro figli. Svoltò a sinistra, girò un angolo, scomparve.

Catz si stava mettendo in piedi, sbatteva gli occhi alla luce dei fari. Cole raggiunse gli altri.

Dalla berlina più vicina stava scendendo un uomo. Stringeva in mano una pistola.

— Catz, buttati giù! — urlò Cole. — Sono vigilantes, stupida!

Sei uomini, il viso coperto da calze di nylon che li rendevano simili a cariatidi rosee, stavano spingendo contro il muro le prostitute e il loro uomo. Il protettore cercò di salvarsi mostrando manciate di denaro; uno dei vigilantes gli tirò un calcio nello stomaco. Quando il negro si piegò in due, un altro vigilante lo colpì al cranio col calcio della pistola. Vellutoverde si accasciò a faccia in giù.

Una delle donne stava urlando: — Ehi, non fate paura a nessuno, stronzi!

Una pistola sparò, fumo rosso ed echi rabbiosi; il ginocchio destro della prostituta esplose. La donna cadde. Le altre si chinarono su di lei, bestemmiando, piangendo.

Cole, lontano una decina di metri, rallentò, si tenne nascosto nell’ombra. I vigilantes non si erano ancora accorti di lui perché facevano troppo rumore da soli: toccavano le passeggiatrici che urlavano, ridendo. Quattro uomini erano entrati nel palazzo per tirare fuori le altre prostitute. Avevano intenzione di ucciderle tutte, subito. Una macchina della polizia stava per entrare nella strada, ma appena vide la berlina gialla, senza targa, dei vigilantes, si tolse di mezzo. I poliziotti potevano sempre dire di aver ricevuto una chiamata e non aver visto niente.

Due degli uomini col le calze di nylon stavano urlando a Città. Uno gli diede un pugno d’avvertimento, o meglio, tentò; poi restò a massaggiarsi la mano ferita, mentre il suo amico tirava un colpo sul viso di Città con la canna della pistola. Città era immobile, fermo come un albero. Indossava di nuovo l’impermeabile e il cappello di feltro. E gli occhiali a specchio.

Il più piccolo dei due, di colpo, sparò al plesso solare di Città. Tre volte. Città sobbalzò leggermente, ma gli effetti dei colpi su di lui si fermarono lì. Se ne stava immobile con le mani sui fianchi, e poi aprì la bocca…

Da quella bocca spalancata uscì il suono d’una sirena. Cole si coprì le orecchie con le mani. Le finestre accanto a lui tremarono violentemente; la sporcizia depositata sui vetri si disperse in nuvole scure. Era una sirena d’allarme, che dalla gola di Città risuonava cinquanta volte più forte del solito. La polizia doveva arrivare. Non potevano fingere di non aver sentito una sirena del genere.

I vigilantes, le mani sulle orecchie, corsero alle loro macchine.

La berlina di fronte a Città fece marcia indietro fino al marciapiede del lato opposto, si fermò di colpo, ripartì, caricò in avanti. Ci fu uno scontro frontale con Città. L’auto sobbalzò, rimbalzò all’indietro. Il motore urlava. Città era ancora in piedi. Però scrollò la testa, come per schiarirsi le idee. Da sotto il risvolto dei pantaloni cominciò a uscirgli del sangue che si raccoglieva nelle scarpe, e sanguinava anche dalla bocca. L’ululato della sirena si fece leggermente gorgogliante, ma non diminuì d’intensità. Le prostitute approfittarono della perplessità dei vigilantes. Si misero a correre, superarono Cole, sparirono dietro l’angolo. Tenendosi vicina al muro, trasalendo al suono della sirena, Catz raggiunse Cole, gli occhi puntati sulle auto dei vigilantes. Cole la fece entrare in un portone buio.

La macchina che aveva colpito Città fece di nuovo retromarcia. Il motore tossì, si spense. Un’altra auto si lanciò a marcia indietro, superò Cole sulla sinistra. Lui cercò qualcosa da tirare, qualcosa per fermarla. Ma la berlina riuscì ad accelerare per un intero isolato prima di scagliarsi contro Città. Questa volta, Città si scansò all’improvviso, e l’auto lo sfiorò e andò a fracassarsi nell’angolo dove la scala in cemento si univa alla facciata del palazzo, tutta di mattoni… La macchina girò su se stessa, sbatté il parafango contro il muro. Ci fu una caduta di cemento, un sibilo di vapore dal radiatore. Poi, a parte un ticchettio del motore, scese la calma più completa.

La calma più completa, per cinque secondi. Finché non cominciò a ululare una sirena della polizia, sempre più vicina.

L’auto in panne riuscì a ripartire, si lanciò dietro la terza macchina che era già lontana mezzo isolato e fuggiva a tutta velocità.

Cole guardò Città. Città, riverso sul marciapiede a qualche metro da lui, era un ammasso sanguinante di carne e vestiti. Il suo corpo martoriato non aveva quasi più nulla d’umano. Cole alzò gli occhi sul profilo di San Francisco, aspettandosi di vederlo deformarsi e crollare, ma la città era solida come sempre. Quindi, era idiota mettersi a piangere.

Cole guardò la pozza di sangue rosso scarlatto che si protendeva verso la strada.

Le due berline stavano girando l’angolo.

In quel momento, vedendo il sangue di Città che scorreva veloce, sicuro, sull’asfalto, Cole capì che i vigilantes non ce l’avrebbero fatta.

Lo capì anche Catz, che scoppiò a ridere.

I lampioni che sbarrarono la strada alle auto gialle non si piegarono come gomma. Schizzarono in basso come mossi da una mano rabbiosa, e i vetri si fracassarono sull’asfalto con uno stridio furibondo. Bloccarono ogni via d’uscita alle due berline. Sei degli otto vigilantes superstiti balzarono fuori dalle auto e si misero a correre, presi dal panico. Bestemmiando, si tolsero le calze di nylon. I due che, fianco a fianco, scapparono verso sud vennero fermati quasi simultaneamente dagli artigli di metallo che sbucarono dall’asfalto. Dapprima Cole pensò che fossero immense dita di metallo nero. Guardando meglio, scoprì che si trattava di quattro grosse tubature: esplosero con uno scatto secco sui due uomini, come una gigantesca trappola per topi. Li maciullarono all’istante. Quando Cole si girò a guardare gli altri quattro, erano morti anche loro. Grosse scintille blu uscivano ancora dai cavi che coprivano i cadaveri sussultanti.

Il terreno fu scosso da un brivido. Sotto l’unica berlina ancora in movimento, due tubature esplosero dall’asfalto, spruzzando attorno detriti neri e polvere bluastra. Con uno stridio raccapricciante, le tubature s’infilarono nella coppa dell’olio, aggredirono il motore, lacerarono i parafanghi, spinsero il motore fuori a metà dal cofano squarciato. Volarono via frammenti di metallo contorto, seguiti dal vapore e dal fumo che zampillarono dal muso accortocciato. L’auto s’inclinò sul metallo che l’aveva impalata, le ruote anteriori girarono, impotenti, sospese a un metro dal suolo; il serbatoio esplose, uccidendo il veicolo in una vampata rossa striata di nero.

Uno degli uomini era stato fatto a pezzi; l’altro era volato fuori dal parabrezza all’impatto delle tubature e adesso, assurdamente, abbracciava i meccanismi divorati dalle fiamme, nel punto in cui prima si trovava il cofano.

Punte contorte di acciaio gli uscivano dalla schiena.

Un fumo nero, oleoso, saliva ondeggiando verso l’alto, distorceva i visi che guardavano dalle finestre, li rendeva simili a maschere demoniache.

Le sirene erano sempre più vicine. A loro si unì il clangore delle autopompe.

Cole scoppiò a ridere con Catz.

Corsero fuori bambini, ad ammirare il disastro. Cole s’immerse nel silenzio. Pensava che fosse ora di tornare a casa.