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— Sì. Questo non m’importa. Sono abituato a pagarmi le protezioni. Però a me hanno chiesto di pagare gli arretrati tutti in un colpo… Insomma, agli altri offrono una possibilità, anni di dilazione. A me chiedono gli arretrati per tutto il tempo che ho usato gli impianti Tif… E lo sai perché?

— Perché? — chiese Topp, anche se lo sapeva già. Cole lo immaginava intento a fumare una sigaretta.

— Perché io lascio entrare le puttane nel mio club e quelle se ne fregano delle tasse e della protezione, e l’Uee vorrebbe metterci le mani sopra. E invece loro non vogliono lasciarsi irreggimentare.

— Stai dicendo cose pericolose. Sembra quasi che siano una banda di delinquenti, Cristo. — Topp lo stava avvertendo che probabilmente il suo telefono era sotto controllo dell’Uee, che lo stavano ascoltando.

— Mettila un po’ come vuoi — disse Cole. — È per questo che ce l’hanno con me, mi avevano già avvertito… E sanno che sono stato io a scrivere la petizione in cui si chiedeva che i negozi più piccoli potessero continuare a usare denaro contante, e sanno che sono stato io a…

— Porco giuda, Cole!

— Non credere che io debba star zitto, Topp! Lo sanno già. Se mi stanno ascoltando, non racconto niente di nuovo.

— Okay. Lo sanno che sei stato tu a scrivere il manifesto contro la rivoluzione monetaria elettronica. — La voce di Topp era stanca.

Cole esitò. Gli era venuta un’idea nuova. — Topp, ti hanno…?

— Solo minacce.

— Allora non accetti di difendermi?

— No, a meno che non voglia farmi espellere dall’ordine.

— Non vorrai dirmi che è una cosa legale, uomo. Non possono…

— Senti, i giudici di qui hanno anche loro un conto in banca, e l’Uee può sempre trovare una scusa per rovinare quelli che non stanno al gioco. Dalle nostre parti, non potresti mai avere una sentenza equa. E, come ti ho detto, la corte federale è impegnata fino al collo per mesi. Potresti rivolgerti al… ehm… — Topp tacque, poi, esitando: — Be’, senti… Ecco…

— Hai deciso che è meglio non darmi consigli? — chiese Cole, amaro.

— Ho un pranzo che mi aspetta. Un pranzo di lavoro importantissimo.

— Già. Ci avrei scommesso. Spero che ti vada tutto di traverso — ruggì Cole, interrompendo la comunicazione.

Soprappensiero, prese un sigaro da un armadietto a fianco del telefono, lo accese, se lo infilò tra i denti e si mise a fumare, infilandosi le mani nelle tasche dei calzoni. Raggiunse il divano e, lo sguardo perso nel nulla, si sedette.

Il divano rosso, coi cuscini logori sistemati di sbieco, tagliava un angolo del soggiorno. Cole aveva di fronte il televisore portatile, spento. La stanza era completamente bianca, coi pannelli per l’illuminazione incassati nel soffitto bianco. Gli unici elementi decorativi erano le fotografie scattate da Cole: foto della città. Di Città. Cole era un fotografo dilettante.

— Non venderò la mia macchina fotografica — mormorò, guardandole. — La mia Nikon, no. Prima venderò il club. — Tirò una boccata di fumo e disse: — Piantala di parlare da solo, idiota. — Poi rise.

Sulle pareti erano disseminate più di trenta fotografie in bianco e nero, disposte in modo da ricordare la suddivisione in quartieri della città. Quasi tutte erano panoramiche aeree estremamente dettagliate, prese dall’elicottero per turisti.

La città come circuito elettronico.

— Non venderò nemmeno il club. Vadano a farsi fottere, quei bastardi — disse a voce piuttosto alta. E si grattò la testa nel punto in cui stava perdendo i capelli, fece una smorfia quando avvertì la presenza di un foruncolo, serrò la bocca grande, forte. Per un attimo, si preoccupò. Pensò che stava invecchiando, che stava mettendo pancia, che aveva l’abitudine di parlare da solo; pensò a Pearl, si chiese se dovesse assumere un detective per trovarla, ma poteva permettersi un detective? E pensò all’avviso dell’Uee. — Quando? — chiese a nessuno.

Si alzò, arrivò al televisore, prese in mano la scheda… IL SERVIZIO A FAVORE DEL CLUB ANESTESIA HA TERMINE DAL 24 APRILE E NON RIPRENDERÀ FINCHÉ IL PAGAMENTO NON VERRÀ EFFETTUATO. — Dal ventiquattro aprile. Lo sanno che non posso trovare tutti quei soldi — mormorò. — E i prestiti bancari li controllano loro. “Smettila di parlare da solo” pensò.

— Hai fatto tutti gli sforzi possibili per non pensare a me, e riconosco che ci stai riuscendo con un successo non indifferente — disse qualcuno, ma non c’era nessuno.

— Cosa? Merda! — esclamò Cole. Si irrigidì, intrecciò le braccia sul petto come a difendersi. Si guardò attorno: nessuno. Finché i suoi occhi non scoprirono il viso sullo schermo del televisore.

Il televisore era spento. Però si vedeva qualcuno. Una linea bianca salì dal basso, cancellò l’immagine. Poi, l’immagine riapparve: la testa e le spalle di un uomo. La testa parlava.

— Città…

— Preferisci scordarti di me? — chiese il viso sullo schermo in bianco e nero.

— Vorrei dimenticare quello che è successo… Non te — rispose Cole. Aveva alzato le ginocchia sotto il mento, le teneva serrate con le braccia. Fissava il viso sicuro che appariva sul televisore: occhiali a specchio, tratti duri. Un busto di pietra incompleto. Il viso freddo dell’uomo che aveva visto travolto da un’automobile. La supermente della città.

— Ti sarebbe stato abbastanza difficile dimenticare, se fossi uscito — disse Città. — Avresti sentito le chiacchiere della gente. Se fossi arrivato fino in fondo alle notizie che leggevi prima, avresti trovato un articolo sulle “indagini” della polizia relative agli omicidi di sabato sera. Agli uomini che ho ucciso.

— Shh! — sibilò, istintivamente, Cole.

— Non ci stanno ascoltando — ribatté Città. — Non possono. — Le sue labbra sembravano muoversi con un secondo di ritardo rispetto alle parole che Cole udiva. — Qui, io sono parte di tutto — disse Città. — Tranne l’Uee. È come un cancro nel mio corpo. — La bocca dura si piegò in una smorfia. — Ma faccio in modo che loro non possano sentirmi…

— Ehi… — Cole si rilassò leggermente, appoggiò il sigaro su un posacenere, si protese. — Se qui dentro entrasse qualcun altro mentre tu mi parli… insomma… ti vedrebbe?

— Certo. Non sono un’allucinazione. Però non correre fuori a chiamare qualcuno. Sparirei, non mi vedresti più nemmeno tu. Io voglio parlare soltanto con te e Catz.

— Okay — disse Cole, e la sua voce risuonò fredda, meccanica, alle sue stesse orecchie. — Devo chiamare Catz?

— No. Avrà mie notizie più tardi… Adesso voglio farti vedere qualcosa. — L’immagine sul televisore cambiò. Adesso lo schermo mostrava (ripresi dall’alto, da un angolo del soffitto) quattro uomini seduti attorno a un tavolo, in un ufficio elegante, con le finestre di cristallo. — Riconosci l’uomo che si trova a capotavola, Cole? — L’immagine di Città era scomparsa, ma la sua voce giungeva chiara, con tutto il calore umano e l’amicizia del disco che scandisce i minuti per il servizio telefonico dell’ora esatta.

Cole guardò l’uomo seduto a capotavola: un tipo robusto, florido, con occhiali dalle lenti spesse e capelli bianchi (probabilmente un parrucchino) e lunghe basette bianche.

— Rufe Roscoe. Il gangster.

— Si. E gli altri?

Il tipo coi capelli pelo di carota e le lentiggini e la smorfia da idiota era…

— Salmon. L’avvocato del Tif.

— Sì. Non conosci gli altri?

— No.

— Allora stai a sentire…

Altre voci uscirono dall’altoparlante della tivù. Salmon stava dicendo: — … Rusk ci ha venduto la sua parte al prezzo a cui l’aveva acquistata per la faccenda delle tasse! Boswell ha guadagnato il quattro per cento, col che arrivavamo al quarantadue per cento, dopo di che abbiamo…