— Capisco.
— Stasera porta qui la donna, alle sette.
— Catz? Ma forse deve suonare…
— Verrà. Con te riesco a parlare attraverso la tecnologia, ma con lei ho un legame parapsichico più forte. È una sensitiva. Ci sarà utile, almeno per un po’.
— Come sarebbe a dire, per un po’?
Città ignorò la domanda. — Stasera lascia il club al tuo vice. Tu e Catz dovete comperare maschere e pistole. Andate al Pyramid Building. Salite al diciottesimo piano. Ci saranno delle guardie. Le sistemeremo.
La paura si arrampicò nella gola di Cole. Il senso di vertigine era scomparso. Il suo cuore era di piombo; e, sullo schermo della mente, si vide con un bersaglio a cerchi concentrici attaccato al petto. Si schiarì la gola, riuscì a dire: — Senti, non sono pronto a uccidere. Non ancora. Proprio non me la sento.
— Non dovrai uccidere… non ancora — disse Città, e la sua voce era dura. L’immagine sullo schermo tremò, svanì… e riapparve, leggermente più confusa. — Non posso restare in contatto con te ancora per molto, Cole. Quindi stammi a sentire. Stasera io sarò con te. Non potrò manifestarmi fisicamente, a meno che non trovi l’ospite perfetto, la persona giusta da possedere…
Qualcosa di gelido e bruciante come il ghiaccio secco fece rabbrividire la schiena di Cole. L’ospite perfetto…
Città, con voce sempre più fioca, proseguì: — Devo andare. Stasera sarò con te. La donna mi sentirà, e tu saprai. Però non posso ucciderli, non ancora. Fanno parte dell’organizzazione, li sostituirebbero con altri. Dobbiamo scacciare dalla città quella cosa… Anche soltanto l’Uee è…
— Non so — mormorò Cole. — Non so se sia desiderabile, ammesso che sia possibile…
Fino a quel momento, la voce di Città era rimasta calma; adesso esplose in un urlo di rabbia, accompagnata da un fischio acuto, uno stridio doloroso che fece sobbalzare Cole. — È il burattinaio che vuole reggere i fili di tutti, Cole. Il Tif è una malattia mascherata da progresso! Stasera porta qui la donna.
E lo schermo si spense.
Cole restò a fissare lo schermo vuoto. Riusciva solo a pensare a qualcosa che, nella voce di Città, lo turbava. Quando Città aveva detto che il Tif era un burattinaio, che si trattava di un’enorme cospirazione, a Cole era tornata in mente la voce che aveva udito in un’altra occasione. Una voce sentita al telefono quando, per scherzo, lui e Catz avevano composto il numero del partito nazista americano e, sogghignando, erano rimasti ad ascoltare i deliri verbali sul comunismo ebreo, sulla cospirazione dei neri omosessuali. La voce del nazista aveva un tono di irragionevolezza inattaccabile… lo stesso tono di Città.
Però Cole sapeva già che avrebbe fatto quanto Città gli aveva chiesto.
Cole guardò le foto appese alla parete. Non avrebbe mai potuto abbandonare la città.
— Se ci aiuterà lui, a cosa servono le pistole? — chiese Catz.
Sedevano vicini sul sedile anteriore di una macchina presa a noleggio. Fra le tenebre. In mezzo a loro, sul sedile di vinile, c’era un sacchetto di carta, ben chiuso. Conteneva due .38 e due maschere di gomma.
— Hai sentito anche tu — ribatté Cole, guardando l’orologio. Il discorsetto di Città era stato talmente breve che non avevano avuto il tempo di fargli domande. Città si era limitato a snocciolare istruzioni dal televisore.
— Però non l’ha spiegato. Che bisogno c’è delle pistole, voglio dire.
— E perché ci sono guardie armate, e anche gli uomini in sala riunioni potrebbero essere armati. Roscoe lo sarà senz’altro. E Città non può fare niente per noi. Quindi, dovremo usare le pistole per spaventarli…
— Agitargliele sotto il naso? Tutto qui?
— Speriamolo.
Le mani di Cole erano serrate sul volante di fibra di vetro, e quando lui staccò i palmi per asciugarsi il sudore sui pantaloni si udì un risucchio.
— Non mettiamo nemmeno in dubbio la sua realtà — notò lei. Non c’era allarme nell’osservazione.
Cole annuì. — È curioso. Però, probabilmente è per questo che ci ha scelti… Noi due, uh… siamo come… — cercava disperatamente le parole.
— Mutazioni urbane? Aborigeni metropolitani? I selvaggi non si spaventano quando odono la voce degli spiriti della natura.
— Forse è così — concesse Cole. Si rendeva conto che stavano discutendo di concetti astratti solo per distogliere l’attenzione dai rischi che stavano per correre. Guardò l’orologio. Il suo cuore tremò. — È ora — disse.
Catz si protese sul sedile posteriore, spostò su quello anteriore una grossa borsa in finta pelle che conteneva, nascosto in uno scomparto, un registratore a cassette. — Spero sia vero che le impronte vocali sono diverse per ogni persona. Altrimenti, tutto questo… — sistemò le maschere nella borsa, infilò il braccio nella tracolla — …potrebbe essere inutile.
Con gesti fatalistici, Cole infilò la pistola carica nella tasca interna della giacca. L’arma venne a trovarsi contro il suo muscolo pettorale sinistro, a calcio all’insù. Per nascondere il rigonfiamento, Cole si gettò sulla spalla sinistra l’impermeabile. Catz infilò la sua pistola nella borsa. E scesero dall’auto. Tutt’e due indossavano, sopra vestiti normali, tute militari.
Il rumore che le portiere fecero sbattendo parve troppo forte. Cole sobbalzò. Ricomponendosi, s’incamminò nella tiepida sera di maggio verso l’ingresso del Pyramid Building. — Diciottesimo piano — mormorò fra sé.
La strada era deserta. Si trovavano in un quartiere d’affari, praticamente morto dopo l’orario di chiusura degli uffici. Le voci della strada giungevano, deboli, da Market Street, qualche isolato più avanti. Una macchina si avvicinò, parve rallentare mentre raggiungeva Cole, e lui dovette fare uno sforzo per non mettersi a correre. Ma la macchina proseguì, girò l’angolo, scomparve.
E poi giunsero davanti all’ingresso dell’edificio. Cole si fermò, guardò in alto.
L’edificio a forma di piramide, alto e stretto, era privo di vita. Solo tre finestre al diciottesimo piano erano illuminate.
Cole guardò Catz, deglutì. Catz gli diede uno strattone al braccio. Assieme superarono le porte a vetri.
Una guardia in uniforme, armata, si trovava accanto all’ascensore. Ma aveva la schiena girata. Cole seguì la direzione dello sguardo della guardia. L’uomo fissava, a bocca spalancata, i due estintori appesi alla parete del corridoio che partiva sulla destra dell’ascensore. Gli estintori gettavano schiuma a pieno ritmo. I becchi sussultavano per la pressione, i cilindri di metallo vibravano contro la parete con un clangore monocorde. La guardia (che continuava a guardare gli estintori impazziti e che non si era accorta di Cole e Catz) s’incamminò lungo il corridoio scuotendo la testa, perplessa. Badando a schivare lo spruzzo di schiuma, protese le mani sui boccagli, cercò un interruttore per spegnere i due arnesi…
Cole e Catz, le mani sui calci delle pistole, corsero all’ascensore. La porta si spalancò immediatamente. Lanciarono un’occhiata alla guardia, ma era ancora girata di schiena. Salirono in ascensore, e a Cole parve di sentire il cuore di Catz che batteva all’unisono col suo. Quando la porta si chiuse, tutt’e due, contemporaneamente, lasciarono andare il fiato. Non dovettero nemmeno premere la tastiera. Il pulsante del diciottesimo piano si accese da solo, e l’ascensore cominciò a salire.
— Grazie, Città — sussurrò Cole, senza aspettarsi risposta.
Ma dall’altoparlante a fianco della tastiera uscì la voce di Città: — Mettetevi le maschere. Di sopra ce ne sono altri. Due guardie regolari e due gorilla, rispettivamente in corridoio e nell’ufficio interno. Le guardie sanno che è entrato qualcuno non autorizzato. Tengono d’occhio il quadrante dell’ascensore, e la guardia a pianterreno dovrebbe avvertirli quando arriva qualcuno. Quindi, è probabile che abbiano estratto le pistole. Io li terrò impegnati, ma state pronti a usare le pistole. Cercate di disarmarli senza far rumore.