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La guardia non si vedeva. Cole, cauto, seguì Catz fuori dall’ascensore. Sulla loro sinistra, sei metri più in giù lungo il corridoio, la guardia che aveva visto entrando era riversa a faccia in giù. Accanto a sé aveva un estintore. Il becco si alzava dalla moquette verso il suo viso, e il boccaglio…

— Gli ha perforato l’occhio! — gemette Cole, disgustato.

Impulsivamente, corse in corridoio, provò le porte degli uffici finché non ne trovò una aperta, tre uffici più in giù. Dentro, sulla scrivania, un telefono. Cole premette il pulsante di chiamata del centralino, ricordandosi di spegnere lo schermo perché nessuno potesse vedere chi stava parlando. — Ma cosa fai? — chiese Catz. — Dobbiamo andarcene subito di qui!

— Sto chiamando un’ambulanza… — disse Cole.

Il centralino non rispose. Al suo posto, la voce di Città: — Taglia la corda immediatamente, Cole. Posso bloccare le loro chiamate solo per poco tempo…

— Qui c’è della gente ferita — disse Cole, in tono acuto, stridulo — gente che ha bisogno di…

— Ha bisogno di morire — disse la voce di Città, una voce fredda ed echeggiante come una strada del centro in una mezzanotte d’inverno. — Meno testimoni ci sono, meglio è. L’Uee dovrà sistemare le cose, per non correre il rischio che durante le indagini saltino fuori i suoi rapporti con Gullardo. Lo porteranno via, fingeranno che sia stato ucciso altrove…

Cole, ribollente di rabbia, sbatté la mano sul pulsante che interrompeva la comunicazione.

Catz lo aspettava, agitata, in corridoio.

A passi rigidi, Cole seguì Catz sull’auto…

Qualche isolato più a sud si tolsero maschere e tute militari, e Cole si asciugò il sudore dal viso. — Penso che quella maledetta gomma mi farà vomitare anche l’anima — mormorò.

Catz guidava in silenzio.

Cole le chiese, perché aveva bisogno di sentirla parlare: — Credi che arriverà la polizia?

— No. Città bloccherebbe le telefonate alla polizia. A ogni modo, non credo che quelli dell’Uee vogliano sbirri tra i piedi finché non si saranno liberati di Gullardo. Se è morto.

— È quello… — Lo stomaco di Cole si contorceva. Inghiottì bile. — È quello che ha detto Città… al telefono… Non mi ha lasciato chiamare un’ambulanza…

Fra loro, nell’aria, c’era qualcosa che spaventava tutti e due: una verità non detta: Città aveva mentito.

— Le cose non sono andate… esattamente come ci aveva detto… — mormorò Cole alla fine.

Sulla difensiva, anche se non stava difendendo se stessa, Catz ribatté: — Stu, concedigli qualche debolezza. Non può controllare tutto. Non è mica Gesù Cristo in persona. Deve improvvisare anche lui, seguire gli sviluppi della situazione. — Chissà perché, ma parve quasi che lei difendesse Città per risparmiare la sensibilità di Cole, per impedirgli di lasciarsi prendere dal panico.

— Non sono stato io a premere il grilletto — disse Cole, con voce funebre. — Città non doveva…

— Cosa? — Catz si girò a guardarlo, dimenticandosi di guidare. Cole, istintivamente, schiacciò col piede un pedale del freno che non esisteva quando passarono col rosso a un semaforo.

Quasi a metà dell’incrocio, lei frenò e fece marcia indietro. La strada era praticamente deserta, a eccezione di poche figure in ombra che s’intravedevano dietro le finestre dai vetri affumicati di un bar semibuio, sulla via in discesa alla loro destra.

— Non gli ho sparato io. Non ho premuto il grilletto. È stato Città a far partire il colpo.

— Be’, forse… — Catz tagliò corto con le ipotesi. Il semaforo era passato al verde. Lei premette l’acceleratore. La macchina ripartì all’indietro. — Ehi!

Catz frenò, l’auto si arrestò.

— Eri ancora in retromarcia — disse Cole, accennando un sorriso. — Per non restare in mezzo all’incrocio hai dovuto fare marcia indietro e ti sei…

— Oh! — Lei sorrise timidamente, inserì la prima, si rilassò quando la macchina scattò avanti. — Oh, già. — Esitò. — Comunque, forse Città non sapeva che c’era anche Gullardo, e ucciderlo era l’unico modo di risolvere la situazione. Però… uomo, non capisco proprio perché fosse necessario…

Cole si accorse di sedere rigidamente, di avere la schiena che gli tremava. Fece uno sforzo cosciente per rilassarsi, e tutto il suo corpo ebbe un sussulto. Si appoggiò alla portiera, premette il pulsante che faceva abbassare il finestrino, respirò l’aria fresca. — Ho bisogno di un goccio.

— O forse… — proseguì lei, tormentando il labbro inferiore con gli incisivi — forse sei stato tu a premere il grilletto. I nervi. Non puoi essere sicuro che non si sia trattato di un incidente, del dito che è scattato da solo…

Cole corrugò la fronte. Forse era stato lui, forse non era stato Città.

Non era stato a fare cosa? pensò furiosamente. — A uccidere — mormorò ad alta voce, per abituarsi all’idea, al suono della parola.

— Sarà meglio che ti ci abitui — disse Catz.

— Non mi piace che tu mi legga la mente quando non te lo chiedo — disse lui, dolcemente.

— Scusa. Mi è arrivata un’emanazione così, per caso.

— Sì. Giusto. Sicuro. Merda.

— Senti, non prendertela con me, Stu. Non è con me che ce l’hai.

— E come cazzo fai a sapere con chi ce l’ho? — La voce di Cole tremava; il suo sguardo era perso nel vuoto. — A meno che tu non mi stia leggendo la mente.

— No. Non posso nemmeno farlo tutte le volte che vorrei, tra l’altro. So con chi ce l’hai perché ti conosco. E lo vedo dal modo in cui ti stringi le mani, come se dovessi tenerle ferme per impedirti di prenderti a pugni, pirla. Ammettilo, hai un debito personale da pagare. Però non gettarlo sulle mie spalle, perché io non ho nessuna intenzione di dividere i tuoi sensi di colpa. Piantala con le menate.

— E tu piantala di usare certi termini. Non è da te. Tu sei una persona educata.

— Vedi? Adesso mi fai la censura. Ti sfoghi su di me perché ti fa comodo. Non venire a dire a me quello che sono e quello che non sono, Stu.

Cole stava tremando. Cercò di frenarsi, non ci riuscì. Aveva l’impressione che avrebbe continuato a tremare fino a mandare in pezzi l’automobile. Si sentiva teso, soffocato. — Lasciami giù qui — disse all’improvviso. — Arrivo a piedi al club. Ho bisogno di muovermi, di pensare. Ci vediamo al club.

Lei fermò la macchina di colpo. — Magari ci vediamo al club.

Cole scese, si portò sul marciapiedi.

Catz ripartì prima che lui riuscisse a chiudere la portiera. L’automobile schizzò via, la portiera sbatté secca, come se anche la macchina fosse arrabbiata.

Cole si guardò attorno. Non aveva la più pallida idea di dove si trovasse.

Era a Polk Street. Respirò a pieni polmoni e rabbrividì. La notte gli pareva più fredda del normale.

Una donna alta, dai capelli chiarissimi, vestita da normalissima segretaria, stava arringando un gruppetto composto da quattro prostitute sotto i vent’anni. — Non m’importa se non ci credete. Ve ne accorgerete da sole. Datemi retta. Il sindacato è l’unica cosa che alla lunga possa proteggervi dai vigi, e dai poliziotti e da tutti quelli che cercano di fottervi. Non potete starvene qui a darla via al primo che passa senza pensare di rischiare… — La donna era una rappresentante del sindacato prostitute.

Cole si allontanò. Oltrepassando un’osteria, fu investito dal soffio di aria tiepida che usciva dall’apertura per la ventilazione: esalava odori di birra e vino e fumo d’erba e tabacco, mischiati alle voci di ubriachi litigiosi che urlavano per farsi sentire nel fracasso generale.

Superò un negozio di dischi/nastri/videocassette aperto tutta notte, vagò nella sua pozzanghera di luci multicolori, nel frastuono della sua musica. Stava attraversando un quartiere quasi completamente omosessuale. Era un quartiere accogliente, pieno di risate e d’affetto. I gay, in genere, accettavano tutti, e a volte lui entrava in un bar gay per vedere uomini che flirtavano con uomini, donne che flirtavano con donne, per guardare uomini che carezzavano uomini e… Gli piaceva il senso di comunione totale delle loro carezze, la loro spontaneità, la loro gioiosa ribellione. Ai gay non importava che ancora nel 1991 molta gente li disapprovasse, specialmente il movimento neopuritano. Infrangevano barriere, creavano legami proibiti per il semplice gusto di celebrare il minimo comun denominatore del piacere, il sesso. Cole aveva rimpianto più di una volta la propria eterosessualità. Talora immaginava che, se fosse riuscito a raggiungere il livello di amore comunitario dei gay, avrebbe riscoperto il fuoco della propria sessualità.