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Punk dai capelli foltissimi, i visi rozzamente tatuati con inchiostro di china a rappresentare il simbolo del dollaro, teschi e simboli anarchici, si avviarono verso l’uscita sud; gli angosciari, torvi e depressi, le mani infilate in tasca, gli occhi tristi sotto le fronti uniformemente fasciate di nero e la capigliatura corta, non si mossero. Le ragazze punk, tutte a seno nudo, con gli anelli infilati nei capezzoli che riflettevano la luce, risero e indicarono Cole con la testa. — È un po’ vecchio per stare qui, no? — si chiesero, storpiando a bella posta le vocali. Cole sentì come un dolore al petto.

Con un sorriso arrogante, Catz prese Cole per il braccio e lo guidò sulla destra verso l’ingresso dell’Auditorium più vicino al palco. Alle loro spalle, i punk urlavano agli amici che stazionavano all’esterno, offrivano l’ingresso gratuito attraverso l’uscita sud.

Catz era piuttosto nota; probabilmente l’avrebbero riconosciuta se non fosse stato per la maschera domino di plastica e il trucco diabolico che le nascondevano quasi tutto il viso. Indossava una calzamaglia con un foro da cui sporgeva il seno destro, una giacca marrone da pilota e calzoni aderenti di pelle nera. I capelli erano diritti sulla testa, cosicché lei sembrava, nell’insieme, un ritratto dipinto da un paranoico. Aveva il tipico aspetto da punk, il che la rendeva un po’ fuori moda. In genere, i punk erano relitti al di sopra della trentina.

Superarono un corridoio spettrale, con luci azzurre; tirarono calci a flaconi vuoti di plastica, a pacchetti di sigarette, a siringhe del tipo distribuito dal governo; svoltarono a sinistra ed emersero nel teatro. Si fermarono al limitare della folla fittissima, a una dozzina di metri da cinque dei monumentali altoparlanti sulla destra del palco. Gli altoparlanti erano talmente grandi da poter contenere due uomini ciascuno. Il tuono heavy-metal li avviluppò, li trascinò nelle sue correnti di suono totale, li costrinse a nuotare…

Catz si muoveva in quell’elemento (il ruggito folle di un concerto di angoscia rock è un elemento a sé, un oceano in miniatura di suono palpabile; musica che si può sentire a livello fisico, una seduzione sonora che scuote le membra, scompiglia i capelli con la forza della sua pressione, fa battere spasmodicamente i denti) con la sicurezza di un falco che voli tra l’infuriare dei venti.

Cole era raggiante di ammirazione per lei.

Come un gigantesco drago arenato sulla spiaggia, la folla si muoveva all’unisono, formava un unico corpo agitato da sinuosità da rettile: un’enorme massa multicellulare che fremeva al massaggio imperioso del rock ’n ’roll, una pelle multicolore (cinquantamila facce fuse l’una nell’altra) che vibrava di vita, che si nutriva della prodigiosa amplificazione ritmicamente elargita dalla band.

I musicisti, vestiti rispettivamente da santi gnostici, maghi iniziati e alchimisti, indossavano arcani costumi in rosso-nero-argento. Il cantante solista portava solo una fascia di tela grezza che gli cingeva i fianchi e, sul petto esile grondante di sudore, era tracciato a fuoco il Simbolo, il simbolo cabalistico del caos, la croce la cui base si trasforma in falce. I suoi occhi da gatto (lenti a contatto verdi gli allargavano le pupille) emanavano un’intelligenza aliena. Si agitava masochisticamente sotto le sferzate del ritmo singhiozzante di basso e batteria; eseguiva una coreografia bizzarra, spontanea quanto lo schioccare d’una frusta e al tempo stesso attentamente studiata, e ogni passo faceva parte di un rito d’invocazione del voodoo urbano… Nelle interviste, il cantante dei Prima Lingua aveva sempre ripetuto che i loro strumenti parlavano la “Prima Lingua”, il linguaggio dei tempi precedenti Babele, il linguaggio degli angeli. Era l’unica band di rock occulto che avesse ancora un certo successo, anche se il genere era stato iniziato più di dieci anni prima dalla Blue Öyster Cult.

Il cantante, che sfoggiava il nome d’arte di Blue Drinker, intonò con quella sua aria sfottente:

Le sei gambe del cadavere vivente Che invade con lame di ghiaccio la pace della morte E le sue sei lingue che annunciano imminente Di un Cristo elettrico il ritorno a nuova sorte…

E in quel momento ebbe inizio lo show luminoso. Nel turbinio di fumo sospeso sul pubblico, i raggi laser si accesero, rossi e acuminati come l’inevitabilità della morte, intrecciandosi e cozzando in una ragnatela di colori, pulsando secondo un codice diabolico; colori fondamentali, rivoli eterei d’acciaio incandescente e filamenti di luce, tutto al ritmo della musica. Sempre sincronizzati con la musica, con la prima e l’ultima eco di un rimbombo della batteria, con ogni gemito di uno spunto della chitarra solista; accendendosi in perfetta sintonia col coro arcano del sintetizzatore, col lamento funebre del basso. Le luci erano in funzione della musica, attivate dal computer con lo scarto di un millesimo di secondo rispetto al suono. Il computer sapeva, nell’attimo in cui la musica cresceva, che era giunto il momento di far partire l’olografia; i raggi laser si spezzarono, si rifransero, si soffusero, e presero forma come la creta sul tornio, seguendo le configurazioni del grande campo elettromagnetico proiettato da fonti nascoste nel soffitto.

E la folla eccitata, acclamante, ipnotizzata, coi visi rivolti verso l’alto come onde di un mare agitato dalla tempesta, vide una bestia grande quanto un cacciatorpediniere. Era una cosa mostruosa, subumana: un uomo a sei gambe che strisciava come un aracnide sul ventre striato, e nella sua enorme testa deforme splendevano sei occhi dai colori mistici, e la bopca priva di labbra si apriva a svelare le sbarre di una prigione da cui i carcerati guardavano con occhi spenti…

Gigantesca, tridimensionale, apparentemente solida, la cosa nuotò nel fumo emesso dalla folla, si mosse al ritmo frenetico ma esatto dei Prima Lingua, mentre tutt’attorno gli edifici olografici esplodevano in geyser di polvere, seppellivano gli abitanti della città che scappavano urlando…

L’immagine olografica mosse i suoi arti squamosi, lanciò strilli orribili al ritmo della musica (e il tuono che giungeva dal palco sembrò immobilizzare quegli strilli, ricrearli di nuovo e di nuovo, secondo per secondo), devastò la città che la circondava. E Blue Drinker, mentre il suo viso cadaverico esprimeva l’apoteosi del dolore, recitò prodigiosamente un brano biblico: — …e ho visto un’altra bestia uscire dalla Terra, e aveva due corna come un capro e parlava la lingua dei draghi…

Al mostro olografico spuntarono due corna, e dalla sua bocca uscirono fiamme.

— …e causa grandi meraviglie, sicché fa scendere dai cieli il fuoco sulla Terra alla presenza degli uomini…

L’immagine olografica mostrò il fuoco che pioveva sulla bestia e sulle sue vittime.

— …e fa sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, ricevano un marchio sulla fronte…

E le persone che si muovevano nell’ologramma, cadute in ginocchio ad adorare la bestia che sputava fuoco, ricevettero sulla fronte un marchio di numeri; e sul palco si accese, sopra la testa di Blue Drinker, una luce a fluorescenza, e sulla sua fronte apparve qualcosa che sino ad allora era invisibile: 666.

Catz batté i piedi, estasiata; Cole rise.

Cole si avvicinò di più alla ragazza e le urlò all’orecchio: — Dove sono i vigilantes che dovremmo fermare? E cosa cavolo facciamo se li vediamo?