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Non avevano nemmeno un’arma. Cole tastò con le mani fra le tenebre, e le sue dita si strinsero su una sbarra di metallo.

Svoltando di continuo con stridio di gomme, il camioncino correva veloce. Fu un viaggio breve, forse cinque minuti. Il cric risuonava beffardamente.

Il veicolo rallentò, il rumore del cric diminuì, il rombo del motore diventò un ronzio sommesso. Il camioncino infilò un sentiero e si fermò. Il motore si spense. Cole si irrigidì nell’attesa, strinse forte la sbarra di metallo, attento a non muoverla per non urtare accidentalmente qualcosa. Trattenne il fiato. “È una follia” pensò. “Catz è pazza.” Le portiere del veicolo sbatterono, e la testa di Cole, ancora appoggiata sotto la cabina di guida, fu percorsa da vibrazioni dolorose.

“Forse non guarderanno qui dietro” pensò.

Udì il suono di passi che si allontanavano dal camioncino e si rilassò leggermente, si sentì più al sicuro… Finché una figura scura apparve davanti a loro e puntò direttamente sul viso di Cole il raggio accecante di una torcia elettrica.

QUAAAATTRO!

Cole serrò le dita sulla sbarra di metallo e aspettò che l’uomo con la torcia e la pistola, che avanzava verso di loro a testa bassa, gli fosse sopra nei confini tenebrosi del cassone. Il viso dello sconosciuto, illuminato dal basso, ricordava una scultura mostruosa: e allora Cole diede uno strappo alla sbarra, facendo ricorso a tutto il suo peso. E urlò quando la sua mano si rifiutò di seguirlo, e perse l’equilibrio e cadde sulla schiena, dolorante. La sbarra era inchiodata al pavimento; era la maniglia della calotta di protezione dell’albero di trasmissione.

Cole pensò che non c’era proprio niente di buffo; allora, perché diavolo il vigilante si era messo a ridere?

Il braccio destro gli doleva paurosamente; forse gli era andato fuori posto qualche osso della spalla. Se avesse avuto una bocca, il braccio avrebbe urlato quando il vigilante lo piegò per costringere Cole a coricarsi sullo stomaco. Poi gli serrò i polsi con un paio di manette.

Con la coda dell’occhio, Cole vide Catz scattare. Ci fu un bang, un tonfo metallico; le figure avvinghiate sul pavimento bestemmiarono.

A viso in giù, Cole poteva soltanto ascoltare e tentare di strisciare via. Fiutò il puzzo della benzina, della gomma dei pneumatici, del sudore del vigilante. Sentì in bocca il sapore acido del proprio terrore. Il raggio di luce danzò follemente nello spazio ristretto, poi si spense.

Catz uggiolò. Il vigilante grugnì, trionfante.

“Forse, se resto qui e non mi muovo più, si dimenticheranno di me” pensò Cole.

La torcia si riaccese, e poco dopo un secondo raggio di luce si unì al primo. Un altro uomo (o una donna molto grossa? La voce era acuta) era immobile dietro il camioncino, con la torcia in mano, e diceva: — Stupido, dovevi farli uscire uno dopo l’altro, non salire tu. Potevano romperti la testa.

“E gliel’avrei rotta di sicuro, se quella sbarra non mi avesse fregato” pensò Cole.

— Chiudi il becco — mugugnò il vigilante vicino a Cole. Respirava affannosamente, e il suo volto era quello di un feto gigantesco, sotto il nylon: approssimativo, incompleto. L’uomo stava trascinando via qualcosa.

Trascinava via Catz. “Come se fosse un sacco della spazzatura” pensò Cole, e le lacrime gli bruciarono gli occhi.

Senza riflettere, spinto da una furia improvvisa, rotolò sulla schiena e tirò un calcio al vigilante. Lo colpì alla gamba.

— Merda! — urlò l’uomo, vacillando all’indietro.

Poi altre persone salirono sul camioncino. Cole venne sollevato, trasportato fuori, nell’aria della sera, per il colletto e le caviglie. Gli venne la nausea. — Città… — mormorò debolmente, mentre gli sconosciuti lo trasportavano lungo un sentiero, oltre una porta.

— Cos’ha detto? — chiese qualcuno alle sue spalle.

— Credo che abbia detto “pietà” — rispose qualcun altro, aggiungendo: — Tsk tsk tsk. — Cole e Catz si trovarono in una casa. Lasciarono cadere Catz su un divano nero.

“Città!” Ma forse lì l’influenza di Città poteva essere meno forte; dopo tutto, erano a Oakland, dall’altra parte della baia, a sud di San Francisco. Erano lontani dal cuore di Città, e forse lontani dalla sua forza. Però il viaggio non era stato lungo, l’Auditorium doveva essere abbastanza vicino. E all’Auditorium, Città li aveva aiutati.

Lasciarono cadere Cole per terra, sulla pancia. L’impatto gli svuotò i polmoni. Boccheggiò. Tossì, respirò furiosamente, riprese fiato, anche se fu costretto a ingoiare una boccata di polvere dal tappeto verde.

Una serie di stivali gli sfilò davanti al naso. Ci furono brevi scoppi di risa, ed esplosioni di rabbia più lunghe. — Sta’ lontano dalla finestra, maledetto idiota! — e: — Ehi, va’ a farti fottere, ai nostri vicini non gliene importa un… — e: — Sì, però c’è una fetente macchina della polizia che fa servizio di pattuglia qui, e quei ragazzi non… — e: — Chiudete il becco tutti quanti!

Catz era stesa sul divano alla destra di Cole. Lentamente, col braccio che urlava, lui si girò sul fianco sinistro finché non riuscì a vedere il divano. Era un vecchio divano di vinile, pieno di bruciature di sigaretta. Dalla sua posizione sul pavimento, Cole riusciva a intravedere solo il braccio destro di Catz, inerte, e la curva dei suoi fianchi. Gli venne in mente, per la prima volta, che poteva anche essere già morta.

“Potrebbe essere già morta.”

— Senti, dobbiamo tenere su queste calze per tutta la notte o cosa? — chiese qualcuno.

Una voce di donna rispose: — Logico, idiota. Dobbiamo tenerle finché non ci saremo liberati di questi due. Forse potremmo bendarli.

— Aspettiamo di sentire cosa vuole Salmon.

— Chi l’ha detto? — domandò la donna.

— Ehi, uh, merda, tanto di qui non usciranno vivi, potrebbero anche vederci in faccia. Inutile che stiamo attenti a quello che diciamo quando…

— Senti, stronzo, qui potrebbe succedere di tutto. A ogni modo, forse vorrà tenerli in ostaggio, il che significa che prima o poi potrebbe doverli liberare. E poi questi due…

— Ma adesso che quest’imbecille ha fatto il nome di Sa…

— Ehi, che razza di storia idiota vorresti farmi bere? Non ci credo a queste fesserie. Dovremmo…

— Ehi, è una di quelle ragazzine punk!

— Ehi, ha una tetta fuori!

Cole era nauseato.

— Ehi, non possiamo portarcela in camera da letto per qualche mi…

Cole stava malissimo.

— State a sentire, sono tre settimane che Salmon non mette nemmeno un centesimo sul mio fottuto conto, e finché non mi paga io…

Cole starnutì, sollevò una nube di polvere.

— Ehi, l’abbiamo trovato al telefono. Ha saputo della merda che è successa all’Auditorium, ma non ha idea di come sia andata la faccenda degli ologrammi… Dice di scoprire tutto quello che possiamo su questi due e poi portarli a dare un’occhiata ad Alcatraz dal punto di vista dei pesci. — Risate. — Dice di tenere le calze, per adesso. — Grugniti. Qualcuno afferrò Cole per le manette, lo tirò in piedi di colpo. Lui dovette mordersi la lingua per impedirsi di urlare quando le manette gli affondarono nei polsi e il braccio ferito ricevette un altro strattone. Stordito, traballante, si guardò attorno. Una casa con pochi mobili, nuova ma squallida. E una trentina di loro, in piedi sulle soglie, seduti a un tavolo di legno nel cucinotto, appoggiati alle pareti prive di decorazioni. Due vigilantes gli stavano davanti, in attesa di un segnale, leggermente protesi verso di lui, i muscoli contratti. Tutti portavano calze di nylon, con macchie scure di vapore attorno alla bocca. E tutti avevano i lineamenti stravolti dalle calze, come se tenessero i visi premuti contro i vetri di finestre invisibili.