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Accanto a lui, sul divano, giaceva Catz, il braccio che ciondolava, senza manette. Qualcuno le aveva tolto la maschera di plastica. Respirava regolarmente, e il pugno che serrava il cuore di Cole diminuì la stretta. “È viva.”

Mentre lui la guardava, gli occhi della ragazza si aprirono. Ma Catz restò immobile, si finse ancora svenuta.

Cole alzò lo sguardo sull’uomo davanti a lui…

— Okay — disse la donna.

Certo, i primi pugni fecero molto male. I primi cinque o sei. Ripensandoci in seguito, non riuscì mai a esserne sicuro, ma probabilmente pianse e cercò di fuggire. Qualcuno lo teneva fermo da dietro. Dopo ogni pugno, gli fecero una domanda. Sulla sua tempia destra si abbatté un thump, si trasformò in un ruggito incandescente che echeggiò all’infinito nella sua testa. — Nel portafogli c’è scritto Stu Cole, e uno dei ragazzi conosce il tuo club. E sappiamo che non ti piace quello che stiamo cercando di fare. Allora, com’è che ci hai fregati a quel concerto? — (Cole non rispose.)

Sulla sua guancia sinistra, un crunch che diffuse in tutto il suo corpo una ragnatela di dolore. Gli parve di essere fatto di vetro. — Cosa c’entri tu con quegli ologrammi e con quei fottuti angosciari che ci sono saltati addosso? — (Cole non rispose.)

Sulla sua bocca, un whump osceno e la sensazione del sangue che zampillava dalle labbra squarciate, che gli scendeva sulla camicia. — Perché sei saltato sul camioncino? Volevi scoprire dove ci riuniamo?

— No — farfugliò Cole, sputando sangue. In bocca aveva il sapore di una spiaggia inquinata dal petrolio quando la marea è bassa. — Ho sbagliato camioncino. Cercavo quello di un amico. Il panico. — “Questa non la berranno mai” pensò.

Di nuovo thunk sulla bocca, il rumore di un dente che si spezzava, la testa che gli rimbombava. — E vorresti che credessimo a merdate del genere? Non funziona. Avanti, fesso. Perché sei saltato sul camioncino?

Cole non rispose.

Thud-thud al suo plesso solare, due volte di seguito. I polmoni gli si svuotarono completamente. Si piegò su se stesso di scatto, e la testa gli sbatté contro il ginocchio.

— Ti ho chiesto cosa madonna ci facevi sul nostro camioncino — disse il viso appiattito.

Cole non aveva fiato per una risposta. Cadde in ginocchio. La stanza era piena di fiocchi di neve luminosi, purpurei. Chiuse gli occhi. Li serrò.

Per un momento, forse per diversi momenti, gli parve di volare in un’oscurità scintillante. Poi un suono lo riportò all’autocoscienza. Catz stava urlando. Cole guardò: la stavano picchiando.

La picchiavano con una bottiglia.

Una donna (Cole ne scorgeva vagamente il profilo sotto la tuta da lavoro: una donna robusta, ma probabilmente giovane) stringeva i capelli di Catz nel pugno guantato, li torceva. E un uomo massiccio al suo fianco tirava calci con lo stivale, colpiva Catz al torace.

— Ehi! — urlò Cole. — Cosa… Cosa volete sapere?

— Lo immaginavo che così avremmo attirato la sua attenzione — disse uno degli uomini, girandosi da Catz verso Cole.

Le luci si spensero.

Le tenebre svanirono alla stessa velocità con cui erano scese: dalle prese di corrente uscirono scintille, dagli zoccoli si alzarono fiamme che avvilupparono le pareti.

Figure scure schizzarono via.

Cole, che era in ginocchio, si rizzò in piedi. Si udì un clic, e le manette che gli serravano i polsi si aprirono. — Città… — mormorò Cole, riconoscente, le labbra sporche di sangue.

Frammenti dei discorsi sconclusionati dei vigi lo raggiunsero mentre avanzava barcollando verso Catz…

— Checcavolo…

— Che accidenti è successo al…

— Merda, forse è…

— Cristo, non vedo niente…

— Potrebbero essere gli amici di…

— Ha preso fuoco, vediamo di…

— Sembra un incendio da corto circuito…

— All’inferno, piantiamoli qui…

— No, portiamoli con…

Cole tentò di sollevare Catz; un dolore mostruoso gli morse il braccio. La vista gli si confuse. La rimise sul divano. Il buio si riempì di fumo. Qualcuno, correndo, lo gettò a terra. Cadde sul fianco destro. Le fiamme erano sempre più alte; il loro calore gli asciugava il sudore delle guance. Bagliori irregolari illuminavano la stanza; le tenebre erano percorse da scintillii rossi e azzurri. Quasi tutti i vigi erano scomparsi. Due stavano correndo verso l’uscita laterale, tossivano. — Catz… ehi… — disse Cole, tirandola per il braccio. Aveva la gola intasata di fumo. La ragazzo non si mosse. — Catz, Città ha dato fuoco alla casa per liberarci… Dobbiamo uscire anche noi, se no bruciamo vivi! — Il sangue che gli saliva in bocca rendeva confuse le sue parole.

Catz gemette, si ritrasse. Cominciò a tossire, spalancò gli occhi. Si mise una mano sulla bocca. Cole l’aiutò ad alzarsi. Gli lacrimavano gli occhi per il fumo, le fiamme gli mordevano i piedi, il sudore che gli scendeva lungo tutto il corpo evaporava immediatamente. Assieme, avanzarono verso la porta. La porta era un rettangolo mostruosamente giallo oscurato dal fumo, tremolante per il gran calore. Catz gli lasciò andare la mano. Cole, convinto che quel gesto significasse che la ragazza poteva seguirlo da sola, balzò avanti. La vicinanza delle fiamme gli fornì energie: la forza del terrore.

Pensava che Catz fosse alle sue spalle.

Superò di corsa il cucinotto in penombra, uscì dalla porta laterale, si gettò dietro i cespugli, boccheggiò all’aria fresca della notte. Sul davanti della casa, due camioncini stavano partendo. Qualcuno passò di corsa, urlando, sul sentiero. Diversi uomini si accalcarono in una berlina. Sul marciapiede, impassibili, un nugolo di neri osservava la scena.

Cole si guardò disperatamente attorno. Catz non c’era. — Catz! — urlò, roco, e come un automa si avviò verso la casa in fiamme.

Due uomini uscirono dall’ingresso principale, reggendo un fagotto. Cole si nascose dietro l’angolo di un garage e restò a guardare. E capì, scrutando il profilo della figura che i due reggevano (legata, ma estremamente battagliera), che si trattava di Catz. Gli uomini trasportarono Catz in garage, e lui indietreggiò.

Tossì. Cercò freneticamente un’arma. Ma proprio in quel momento, dalla porta aperta del garage uscirono i fasci di luce di due fari d’automobile. Si accese un motore. Una berlina azzurra divorò il sentiero, arrivò in strada, svoltò. Portava via Catz, lontano da lui.

— Sei sicuro, eh? — chiese Cole al viso grinzoso del direttore del motel, un nero.

— Sicuro che sono sicuro. La tivù funziona benissimo — rispose l’altro. — Ma perché hai questa fregola di guardare la televisione? Secondo me dovresti farti vedere da un dottore, figliolo. Madonna, hai una faccia che sembra ci sia passato sopra un camion. Vuoi che ti trovi qualche ben…

— No! — urlò Cole. Il nero ebbe un’espressione di stupore e paura; Cole fece uno sforzo. — No, ho fretta. Intervistano un mio amico per l’ultimo notiziario della notte, e gli ho promesso di guardarlo. Poi mi darò una ripulita. Sono andato a sbattere contro un lampione.

— Però io non posso lasciarti salire solo per guardare la tivù. Devo farti pagare la stanza, anche se ti fermi cinque minuti — disse il direttore, scrollando le spalle.

— Sì, sì, okay…

Il vecchio nero prese la carta di credito di Cole e la inserì nel terminale. Guardò le cifre che apparvero sul piccolo schermo, annuì leggermente, gli restituì la carta.

Cole restò lì, impaziente, bilanciando il peso del corpo da un piede all’altro, finché il vecchio, dai movimenti estremamente lenti, gli portò la chiave. Numero sette.

Cole afferrò la chiave e corse fuori. Col fianco che gli doleva (forse gli avevano rotto qualche costola), con le labbra che ricominciavano a sanguinare, Cole controllò i numeri delle porte finché non trovò il sette. Infilò ansiosamente la chiave nella serratura. Si aprì al primo tentativo, e un gemito di sollievo gli uscì dalla bocca. Entrò nella stanza buia, odorosa di muffa; lasciò la porta aperta e la chiave infilata nella serratura. Immediatamente, si avvicinò al televisore, inserì la carta dell’Interfondo nella fessura, e l’apparecchio si accese.