Cole annuì debolmente. Seguiva.
— Anzi — continuò il suo doppelgänger — ricordo quello che ti sto dicendo adesso… Lo sento come una specie di pre-eco prima di dirlo. Il che è strano, dato che ti sto parlando dei fenomeni… Insomma… — Ridacchiò, spalancò gli occhi. In quello sguardo c’era una traccia di follia. — Insomma… Lo sapevo che avrei detto quello che sto dicendo, visto che l’avevo già vissuto nei tuoi panni… quando me ne stavo lì a guardare me, dal punto di vista dell’io che tu sei in questo momento, e volevo… Be’, quando sono venuto qui per parlarti, per metterti in guardia, avevo intenzione di cercare deliberatamente di dire qualcosa di diverso da quello che sto dicendo, e invece sono qui a dire “cercare deliberatamente di dire qualcosa di diverso da quello che sto dicendo”, ed è questa la frase che volevo modificare, perché sapevo, dato che l’avevo già ascoltata quando ero te, che l’avrei detta… Insomma, è una specie di circuito strano e pazzesco, no? Deliziosamente pazzesco. Però tu non sei pazzo, Cole; io sono vero. Sono persino, uh, solido… ma non nel tuo mondo. Io esisto solo in parte nel tuo mondo. Sono fisicamente solido qui, nella dimensione dell’essere urbano assoluto, ma dal tuo…
— Hai detto che devi mettermi in guardia?
— Oh, eh… Ricordo che me l’hai chiesto… Insomma, ricordo quando tu… quando io… quando ero te, e mi sono spazientito e ho chiesto a me stesso di…
— Lascia perdere! — esclamò Cole.
— È esattamente questo che hai detto! — sorrise l’apparizione. — “Lascia perdere!” hai detto! Sì, subito dopo che io ho detto “mi sono spazientito e ho chiesto a me stesso di…”
— Senti — disse Cole, disperato, sommerso da ondate continue di déjà-vu — dimmi da cosa devi mettermi in guardia…
Ma in qualche modo, quando lo spettro annuì e gli trasmise il messaggio che era venuto a trasmettere, lui riuscì a prevedere ognuna delle sue parole, a sistemarla in una casella.
— Cole, non entrare in quella casa. Sono qui per dirti questo. Tu ti trovi a un incrocio del tempo e io dovevo venire a consigliarti la direzione giusta da prendere. Il che sembra una cosa idiota, dato che io ho già superato questo momento quando ero te, e so quale direzione sceglierai… D’altra parte, è vero che ho scelto quella diramazione, quella particolare possibilità, perché io sono venuto a metterti in guardia. Io. Tu? Deliziosamente folle, il paradosso. Credo che “paradosso” sia il termine…
— Ma perché non dovrei entrare nella casa dei vigi? — chiese Cole, fissando con orrore crescente l’espressione contorta, infantile, sul suo viso. Il suo viso da morto?
— Perché… ah, heh!… Mmm. Okay, pensaci (ricordo di avertelo già detto). Stamattina eri stanco; se no ti saresti chiesto come mai quel vigilante non ha esitato un secondo a farti sapere dove dovrebbe trovarsi Catz. Ovviamente voleva solo che tu venissi qui. Questa casa ha ricevuto troppa pubblicità, anche se si è trattato solo di vigili del fuoco. Quelli non corrono rischi del genere, stupido. Hanno spostato il loro quartier generale; anzi, lo hanno diviso in tre posti diversi. Lì dentro ci sono tre uomini armati che ti aspettano. Per ucciderti.
Cole non restò sorpreso. “Idiota” pensò. “Hai accettato la loro carta di credito senza controllare il conto corrente.”
— Ma allora dov’è Catz? E cosa ne sarà di noi? E com’è che ho assunto il tuo aspetto? E poi…
— Guarda, ti dico dov’è Catz — lo interruppe lo spettro, con un sorriso idiota. — Però non posso dirti tutto il resto perché non te l’ho detto quando tu eri me. Ricordo di non averlo detto, quindi non posso proprio. Non è deliziosamente…
— Dove madonna è?
— A Berkeley, al tremilaquattrocentoventidue della Quarta, dalle parti dell’università. Ci sono quattro vigi che stanno giocando a carte. Catz è chiusa in un armadio. Non si aspettano di vederti arrivare, ma sono armati. Ti direi di cercare aiuto, ma non lo cercherai, perché sei frenetico, se non ricordo male… Oh, ma non posso dirtelo perché…
Cole girò le spalle a se stesso e corse via lungo il passaggio pedonale, mentre lo spettro gli gridava: — Lo sapevo che saresti scappato quando ho detto “Non posso dirtelo perché…”. Cole!
Tornò in macchina.
Guidò alla velocità massima consentita per la sopravvivenza. Gli si mise alle calcagna una macchina della stradale, ma la seminò all’uscita per Berkeley. Guidava furiosamente, teneva il clacson premuto per far scansare i pedoni. Infilò tutte le scorciatoie della zona verde, residenziale, di Berkeley.
Si lanciò in un sentiero col fondo a ghiaia, scansò miracolosamente un bambino in bicicletta che cadde e andò a sbattere contro un cancello. Fra lo stridio delle ruote, si avventurò nella zona universitaria. Passò col semaforo rosso alla Terza, svoltò nella Quarta senza mettere la freccia, lacerò il silenzio della strada a settanta chilometri l’ora, scrutando febbrilmente i numeri civici. Si affidava alla velocità per lasciare indietro il terrore. Il terrore delle implicazioni di ciò che era accaduto, il terrore della sua furia.
Presto.
Ed ecco la casa: facciata bianca con decorazioni rosse, stile pseudospagnolo, un giardino moribondo delimitato da eucalipti. Una Buick azzurra sul retro. Accostò a destra ma non si prese il disturbo di parcheggiare la macchina, la lasciò quasi in mezzo alla strada. Impaurito all’idea di fermarsi a pensare, schizzò fuori dall’automobile, si lanciò verso la casa. Il sole era alto sopra la baia, a sud, e un raggio di fotoni gli sfiorò il punto in cui il suo cranio era nudo. Odore di foglie di eucalipto, di hamburger che cuocevano.
“Spicciati.”
Corse sul retro della casa, sperò che nessuno stesse guardando da una finestra. Un cortile squallido, un garage di legno in rovina, una vecchia Volkswagen arrugginita. “Non importa, sbrigati. Sbrigati.”
Corse su per la scala sul retro. Gli scalini di cemento non facevano rumore, ma ci fu un suono enorme come un colpo di pistola quando lui spalancò con un calcio la porta. Estraendo la pistola di tasca (“a quest’ora dovevi già averla in mano, stupido”) si guardò attorno. Qualcuno stava alzando la testa dalla stufa (e sembrava che si muovesse con una lentezza assurda, innaturale, come il replay di un goal in televisione; era come se Cole fosse entrato nella dimensione totale della frenesia, tanto da agire su coordinate di pensiero e di tempo più veloci di quelle degli altri), e Cole gli balzò addosso, gli puntò la pistola in viso, premette il grilletto. Immediatamente dopo il colpo (e Cole intuì vagamente che l’uomo precipitava a terra, gli occhi incrociati a fissare il foro che si era scavato sulla sua fronte) entrò a passo di carica nella stanza attigua, sparò ai tre uomini che si erano alzati stupefatti, lenti, formando parole che non ebbero il tempo di uscire dalle loro labbra prima che lui li abbattesse. Era talmente vicino che gli sarebbe stato difficile sbagliare il bersaglio. Eppure, l’uomo alla sua sinistra restò semplicemente colpito alla spalla, cadde a terra, rotolò su se stesso, si nascose dietro uno scaffale da libreria piuttosto profondo. Infilò la destra nella giacca, in cerca della pistola. E la velocità innaturale abbandonò Cole. Gli parve di rallentare, mentre i vigilantes acceleravano: due si agitavano nell’agonia, secondo i tempi normali, e il terzo puntava la pistola. Cole si gettò sulla sinistra, ma adesso gli era difficile muoversi. Si sentiva come avviluppato da una membrana gelatinosa. Piombò sul pavimento mentre il proiettile del vigi fracassava la finestra alle sue spalle. Era atterrato sul braccio ferito, e il dolore gli rendeva difficile usare la pistola. La destra era inutilizzabile. Qualcuno stava correndo verso la casa. La porta si spalancò. Entrarono due uomini: un nero e un bianco con i capelli scuri e gli occhiali da sole. Le loro pistole erano puntate.