La porta dell’armadio si aprì. Ne uscì Catz, strizzando gli occhi. Immediatamente, la ragazza si gettò sulla pistola lasciata cadere da uno dei due uomini sotto il tavolo da gioco. La stanza era invasa dal fumo delle pistole. Il vigi dietro la libreria sparò di nuovo, ma mancò Cole: la ferita alla spalla gli rovinava la mira. Cole tentò di riprendere controllo del braccio, perse l’arma in un attacco di confusione e stanchezza. Catz se ne stava in ginocchio… Mirava a lui? No, sparava alle sue spalle, ai due uomini che stavano entrando nella stanza. E uno dei due sparò un colpo che s’infilò per sbaglio nella libreria e uccise il vigilante ferito.
Esplosioni laceranti scossero la stanza. I due vigi appena entrati precipitarono a terra. Uno, colpito alla gamba, lasciò cadere la pistola, bestemmiò, si rizzò in piedi sulla gamba buona, si girò, corse fuori.
Cole guardò Catz. Un’apparizione spettrale: pallida, il viso sporco di sangue, l’occhio destro nero, i capelli arruffati, le mani tremanti che continuavano a stringere la pistola. Era in ginocchio. Il suo viso registrò stupore e orrore e trionfo, tre emozioni in tre secondi. Poi la ragazza lasciò cadere l’arma. Cole si piegò in due, distrutto, annientato dall’allentarsi improvviso della tensione.
Catz lo aiutò a rimettersi in piedi, e assieme uscirono dalla porta posteriore, scesero barcollando le scale, respirarono un’aria più fresca. Corsero all’auto. Le sirene della polizia erano sempre più vicine; dalle porte delle case, la gente li guardava, ammiccava alla luce del sole.
Cole si abbandonò dietro il volante, si lasciò spingere via da Catz. Si affidò alla sua calma. Lei si mise alla guida e lui si appoggiò alla portiera, mezzo addormentato, pensando: “Speriamo di arrivare dall’altra parte del ponte e di scaricare la macchina prima che tutti quelli che ci hanno visto diano il numero di targa alla polizia”.
Apparentemente, nessuno decise di descrivere la loro auto alla polizia. Raggiunsero senza la minima difficoltà l’appartamento del bassista di Catz, a San Francisco. Il bassista era fuori città per qualche giorno.
Lì, si addormentarono l’uno nelle braccia dell’altra.
— Erano ore che mi davo da fare per liberarmi. Sciogliere le corde non è stato difficile. Ma non riuscivo a decidere quale fosse il momento migliore per saltare fuori — disse Catz. — Aspettavo che si addormentassero.
— Me l’ero immaginato — disse Cole. L’argomento lo metteva a disagio.
Se ne stavano seduti in un caffè all’angolo della via. Il sole tremolava sopra l’ultimo piano di un grattacielo; la città era sospesa fra giorno e tramonto. Avevano dormito quasi tutto il giorno su un materasso pieno di protuberanze nell’appartamento di Castro Street; si erano svegliati quasi simultaneamente due ore prima, scoprendo di essere ancora abbracciati. Prima, fra loro non era mai esistita una vicinanza fisica. E mentre Catz, con stupore di Cole, sembrava voler restare in quella posizione, lo stringeva stretto stretto, Cole si sentiva imbarazzato. E gli si era addormentato il braccio. Ma adesso, ripensandoci, ribolliva di felicità.
Si erano lavati, medicati le ferite come potevano, avevano fatto colazione con pane e burro, ed erano venuti lì.
Adesso, sotto la luce azzurrastra che filtrava dal vetro polveroso accanto al tavolo pieno di tazze, il profilo di Catz era irregolare ma sublime. Sedeva col gomito sul tavolo, il mento un po’ spigoloso sul palmo della mano, il naso leggermente adunco perfettamente stagliato contro le ombre alla sua sinistra, gli occhi incavati intenti a scrutare paesaggi interiori. Le contusioni la rendevano ancor più carina, decise Cole: il trucco istrionico di un’artista dell’angoscia rock. Indossava una giacchetta dai risvolti enormi, e i suoi piccoli seni sodi erano nudi.
Gli occhi di Cole indugiavano sulle ferite sul seno di Catz.
Lei aveva un’espressione di sdegno regale, e le unghie dipinte di nero e il rossetto nero conferivano alla sua posa una certa autorità.
Se ne stavano lì immobili da troppo tempo. Cole intuiva fra loro un disagio crescente. Tanto per fare qualcosa, sorseggiò il cappuccino e cercò di sembrare sicuro e disinvolto, come Catz. Non voleva parlare di ciò che era successo quel mattino. Però non gli veniva in mente nient’altro, e doveva dire qualcosa. Qualsiasi cosa per smorzare il senso di oppressione, di attesa, che si gonfiava tra loro.
“Succederà qualcosa” pensò Cole.
— Uhh… Ehi, sai, non riesco… — cominciò, incespicando sulle parole — non riesco a… a ricordare le facce degli uomini che abbiamo visto… quelli di stamattina… e invece dovrei ricordarmele… insomma, sono i primi che vediamo senza quelle stupide calze. Però… È buffo, è come se avessi continuato ad accumulare velocità per tutto il mattino, ad accelerare mentre cercavo di trovarti, e… è successo tutto così in fretta. Non li ricordo. Sarebbe stato lo stesso se avessero indossato le calze, perché per me i loro visi erano soltanto macchie rosa… Il che, non so come dire, è una cosa schifosa. Perché, insomma, se stai per… — abbassò la voce — uccidere qualcuno, dovresti almeno vederlo in faccia. Moralmente, io…
— Io la vedo in maniera opposta — disse lei, allontanando i suoi dubbi con un lieve cenno del capo. Continuò a parlare senza distogliere gli occhi dalla strada. — Sono rimasti col viso coperto finché non mi hanno portata lì e lasciata in quell’armadio tutta notte. Per cui non li ho mai visti, e non li ho guardati troppo bene quando abbiamo… Stamattina. Però non voglio sapere che faccia avessero. Non voglio ricordarlo.
— Io non voglio toccare mai più una pistola — disse Cole.
Catz scrollò le spalle. — Dimmi come hai fatto a trovarmi.
— Te l’ho raccontato a colazione.
— Ero ancora sconvolta. Non credo di aver capito bene.
— Okay… — E così, guardando la gente che dava spettacolo fuori, percorrendo con gli occhi il viale sempre più affollato, Cole le raccontò degli uomini che si erano presentati al suo appartamento, del suo colloquio con il doppelgänger.
Quando ebbe terminato, lei annuì, seria.
Cole rise. — Non vuoi dire: “Sei pazzo! Quello spettro era un’allucinazione!”?
Catz lo fissò, un po’ sorpresa. — No. E perché dovrei dirlo? Mi hai trovata, no? Se non fosse vero, come avresti fatto? Dev’essere vero. Comunque, io sono abituata a cose del genere. Per me… — è agitò la mano in direzione della finestra — …questo mondo è trasparente. A volte riesco a vedere oltre le cose… Oggi non riesco a ricevere molto, ma ieri notte sentivo che saresti venuto a liberarmi. Non sapevo quando, ma ero sicura che prima o poi saresti arrivato.
In quel momento, Cole si chiese se lei non stesse intercettando i suoi pensieri. Arrossì, cercò di leggere l’espressione della ragazza. Aveva visualizzato l’immagine di loro due che facevano l’amore. Catz guardò fuori dalla finestra, battendo con una mano sull’orlo della tazzina da caffè. No, aveva detto che non riusciva a ricevere molto, decise Cole, sollevato. Il suo dono era incostante.
Un fracasso dietro il banco, alle spalle di Cole… Un cameriere disse: — Porcogiuda! — e si chinò a raccogliere i vetri rotti. Il locale cominciava a essere affollato; i clienti della sera erano apparsi come per magia. Macchinette a vapore, complesse riproduzioni in cromo e legno lucido di apparecchiature più arcaiche, sputavano una schiuma bianca nei caffè; una donna coi capelli corti, striati d’arancione e d’azzurro, accettava le carte di credito dell’Interfondo che poi, con efficienza automatica, inseriva nei terminali. — Grazie — diceva, scrutando lo schermo elettronico. — Grazie — senza nessuna vivacità. — Grazie — restituendo una carta di credito. — Grazie — inserendo una carta nel terminale, premendo pulsanti, guardando lo schermo, restituendola. — Grazie… Grazie… Grazie…