— E cosa sei? Una pianta che non si può sradicare? — Catz non stava esprimendo rabbia; era mossa dalla disperazione. Sospirò. — Stu, tesoro, credi che i vigilantes non ti ammazzeranno dopo ieri? Uno è riuscito a scappare. Hai ucciso diversi di quei bastardi, ricordi? Sono morti. E sei stato tu a mandare all’aria…
— Okay — disse Cole, trasalendo.
— Ti ammazzeranno. È semplicissimo.
— Non mi troveranno. Città mi proteggerà.
— Forse. Finché gli sarai utile. Ma stammi a sentire. Sai già che lui non può controllare il Tif e il Tif è sotto il controllo dei suoi nemici, che adesso sono anche tuoi nemici. Ti toglieranno quel poco di soldi che ti resta. E chiuderanno il tuo club. E non puoi nemmeno tornare al tuo appartamento. Ti staranno aspettando.
Cole la fissò. Su di lui scese il terrore, come scende su qualcuno che si accorga che un colpo di pistola gli ha spappolato la mano…
— Gesù — disse piano. Un uomo senza una carta di credito era uno zero. Senza la carta, senza un conto in banca… L’evirazione sociale.
— Comunque… — ribatté all’improvviso, la gola stretta. — Non cambierebbe niente in… in un’altra città. Non avrei soldi nemmeno lì.
— All’inizio no. Però potresti rifarti un conto. Potresti stare con me a… uh, io ho un conto a Chicago. Sono anni che accumulo risparmi. E lì potresti aprire un conto nuovo. So di sicuro che il Tif di Chicago è pulito. È una città che ha troppa esperienza col crimine organizzato. Hanno preso le loro precauzioni fin dall’inizio.
Cole cominciò a passeggiare nella stanza. Le sue mani si muovevano sotto le labbra, quasi cercando di dire ciò che le labbra non riuscivano a trasformare in parole. — Lui… Non è… Merda… Credo che dovrei… — Si passò le dita tremanti nei capelli. Cercava di trovare una scusa razionale, qualcosa che Catz potesse accettare. Perché era così difficile farle capire? Non poteva abbandonare la città. Non adesso. Forse aveva davvero le radici; forse era una pianta che sarebbe morta, lontano dai particolari elementi chimici che formavano il terreno in cui era nata. Il cemento e le prospettive di San Francisco; l’asfalto col sudore sangue vomito lacrime seme di tutte le persone che avevano donato qualcosa per gettare fondamenta mistiche; i fili della corrente elettrica, l’asfalto, le squame d’alluminio; la struttura particolare di torri in vetro e acciaio; le immense signore di legno grigio che ai turisti sembravano solo case vittoriane; il suolo di San Francisco. — Mi chiedi di sradicare la mia identità e trapiantarla da un’altra parte. Ne resterei ucciso.
Catz giocò l’ultima carta. — Preferisci perdere me che Città?
Cole bluffò. — Non è giusto che…
— Col cazzo che non è giusto! Merda! Io ti amo e quelli ti vogliono morto. Ti uccideranno. E lui ti userà e poi ti butterà via come uno stuzzicadenti usato!
— Città non…
— Città ti sta usando!
— Questo non lo sai! — urlò lui, selvaggiamente. Si girò a fissarla. — Non puoi esserne sicura!
Catz scosse la testa. — Perché non ti ha dato una mano quando gli hai chiesto di aiutarti a salvare me? E perché ti ha mentito sul fatto che non bisognava uccidere nessuno?
Cole si sentì invadere da una decisione gelida. Alzò il palmo di una mano verso di lei, in un gesto enfatico. Catz tacque, aspettò. Lui disse: — Lo so. Lo so. Peccato. Un vero peccato. Ti amo. Ti amo, Catz. Probabilmente… probabilmente so che mi sta usando. E so che ti amo. Ma non ho scelta. Ho preso la mia decisione tanto tempo fa. Devo andare sino in fondo. Io non sono stato scelto.
— Mi fai stare male. Scelto. È sempre stata la scusa di terroristi e dittatori e fanatici religiosi, una scusa per vivere l’odio nascosto in fondo. Alla radice, c’è sempre una spinta egoistica. Lo so, adesso stai per dirmi: “Catz, tu non capisci”. Invece capisco, e non accetto. Rifiuto di lasciarmi usare da lui. Sono pronta a collaborare con le menti delle città, quando mi sembra che sia giusto. Ho già avuto rapporti con qualcuna di queste menti. Ho comunicato con New York e con Chicago. Sono vive quanto Città, la tua città. Non sono altrettanto attive, ma hanno piani. Credo che stiano progettando qualcosa… in comune. Esiste un piano comune a tutte le città che… Be’, comunque, se tu…
— Catz…
— Se tu pensi che lui ti stia…
— Catz!
— Cosa?
— Ti ho detto che lo so che mi sta usando. È una cosa interna, qualcosa di connaturato a me. Devo. Okay?
Lei lo fisso, cupa. — No. Non è okay. Non è proprio per niente okay. Tu entrerai a far parte della disco.
— Come? Perché dici una cosa del genere?
— È la differenza basilare fra noi due, fratello. Da certi punti di vista tu sei un eccentrico, un nonconformista, mettila un po’ come preferisci. Però non vuoi esserlo. Tu vuoi appartenere a qualcosa. Tu vuoi fare parte di una comunità ed essere una brava ape dell’alveare…
— Balle, stronza!
— In fondo, uomo, è questo che vuoi essere. Dammi retta. È per questo che hai accettato Città così facilmente. Tu vuoi identificarti. Be’, io non m’identifico con lui… non m’identifico con nessuna massa umana. Ho paura di perdere me stessa nelle masse. Io sono quasi niente, tutti sono quasi niente, ma quel poco che sono mi è molto caro, e non voglio regalarlo a Città. E non sopporto di vedere che una cosa del genere succeda a te. Forse sono gelosa. Ma non posso restarmene calma a vederlo succedere. In ogni caso, penso che mi ucciderebbe. Perché non farei altro che cercare di allontanarti da lui. Senti, è vero che qui si sta frammentando tutto, che abbiamo divisioni ideologiche pazzesche, ma tutto quanto, i neopuritani, i neopunk, è tutto la stessa cosa. Sono soltanto balle, merda. Persino l’angoscia rock. Io non sono una cantante di angoscia rock. È solo un’etichetta che a loro faceva comodo e che mi hanno appiccicato addosso. Io non m’identifico in nessuna di queste cose. Fa tutto parte di questa bella tappezzeria. Il governo ci concede queste cose come valvola di sfugo. Forse li aiuta a reprimerci, come il metadone, come la droga legalizzata. La verità è che tutta quanta questa nazione è talmente uniforme che mi dà il voltastomaco. Non è soltanto per la compudisco o il muzak che vanno da per tutto, mediocrità in scatola, musica sempre uguale, sempre familiare… Sono i palazzi tutti uguali, i condomini, le case fatte con lo stampino. E poi, Dio, i viali! Quei viali pieni di negozi da per tutto! E le vetrine sono tutte uguali, con differenze minime, come se uno dovesse scegliere tra un colore e l’altro di carta igienica. “Signora, abbiamo un bianco pastello, oppure oro del deserto, oppure…” Capisci cosa voglio dire? L’uniformità di massa è un prodotto collaterale del condizionamento al consumismo. È la propaganda sottile delle grandi corporazioni, degli interessi enormi che guidano tutto con la loro efficienza condiscendente, benigna, dolce, liberale, sorridente…
— Ma fare parte di Città non significa questo. Sicuro, c’è una comunità culturale, ma è un fatto volontario, naturale…
— No. È solo che lui te lo fa credere.
Fra loro ci fu un silenzio teso. Lei lo guardava.
— Stai sprecando il tuo tempo — disse Cole.
— Già. Lo vedo. Ormai è troppo tardi, per te… Senti, io me ne vado. A Chicago c’è un tizio che dice che mi produrrà un album, se gli diamo un buon nastro da portare alle compagnie discografiche. Dovremo chiuderci in studio…
— Vuoi fare dischi? Allora chi vuole entrare nella Grande Uniformità? Dovrai venderti ai…