Un’auto della polizia percorreva lentamente la strada. Le mani di Cole si strinsero a pugno.
Restò immobile, fingendosi sicuro di sé. L’auto passò, ma il suo nervosismo non fece che aumentare.
Per distrarsi, si mise a pensare a Catz. In quella zona, giorni prima, erano venuti a sedersi in un caffè, ognuno preoccupato per l’altro. Sorrise leggermente, ricordando la notte che era seguita. Non era poi così vecchio…
Ti sta usando, gli aveva detto lei.
Cole non aveva più voglia di pensare a Catz.
Senza nessun motivo particolare, nessun motivo cosciente, si scoprì a guardare due uomini dall’altra parte della strada, sull’angolo vicino al ristorante italiano. Uno aveva una camiciola rosso-azzurra a fiori e una macchina fotografica appesa al collo. Indossava calzoncini da bagno e sandali. Era un uomo robusto, e giovane, e a Cole parve strano che si vestisse a quel modo, come il classico turista di mezza età. Accanto a lui, un uomo alto con occhiali scuri, calzoni a strisce, e una giacca che, come quella di Cole, era troppo pesante per quel clima. C’era qualcosa di strano nella sua posa. Cole lo scrutò meglio. Sembrava che fosse piegato verso sinistra, col fianco destro rivolto a Cole; e la posizione del corpo era talmente inclinata che avrebbe dovuto cadere. Cole restò a guardarlo, il viso puntato sull’uomo; le lenti azzurre nascondevano la direzione del suo sguardo. L’uomo girò leggermente la testa verso destra, a guardare Cole. I suoi occhi si posarono un attimo su Cole, e Cole ebbe l’impressione che l’altro distogliesse lo sguardo troppo in fretta. In quella prospettiva, Cole scoprì che l’altro si appoggiava a un bastone. Ma era un uomo un po’ troppo giovane per usare il bastone, decise. E un terzo uomo si unì ai due.
Il terzo uomo, che indossava un completo blu e occhiali scuri, raggiunse gli altri due con l’atteggiamento del vecchio amico, ma non disse niente. Nemmeno ciao, a meno che non l’avesse detto senza muovere le labbra. E a Cole parve che tutti e tre, a turno, guardassero dalla sua parte.
Ora respirava pesantemente. Il sudore gli scendeva giù per il pomo d’Adamo e il collo. “Chi sono quei tre?”
Cole aveva l’impressione di aver già visto l’uomo col bastone: non dal viso, ma dalla sua corporatura, dal taglio delle spalle, dall’angolatura del mento. Era come uno di quei ricordi vaghi che restano dopo un sogno. Dove l’aveva già visto?
Il bastone. La gamba sinistra rotta. L’uomo stringeva il bastone con l’impaccio di chi ha poca pratica. Muoveva di continuo la mano che lo serrava, insicuro. La gamba sinistra… Uno di quei vigi della casa di Berkeley dove Catz era prigioniera era stato colpito alla gamba sinistra. L’unico che fosse sopravvissuto. L’unico in grado di riconoscere Cole.
Cole si mise a correre verso un taxi che stava svoltando in Sutter Street.
Una donna che spingeva un bambino grassoccio su una carrozzella sbarrò di colpo il cammino a Cole. Lui le volò quasi addosso, si scusò, si spostò di lato; il taxi era scomparso. Qualcuno gli batté sulla spalla. Cole ruotò su se stesso, cercò di estrarre la pistola, già sicuro che lo avrebbero colpito. Barnes gli sorrise. — Un po’ nervosetto, eh? — disse.
Cole guardò verso il ristorante. I tre vigi si erano spostati; li vide incamminarsi, con falsa giovialità, sul passaggio pedonale.
— Lì c’è un taxi che mi aspetta — disse Barnes. — Pensavo che potremmo… — indicò un taxi giallo fermo in strada.
Cole schizzò via verso il veicolo.
Alle sue spalle, qualcuno urlò: — Ehi! — E non era la voce di Barnes. Cole afferrò la maniglia della portiera posteriore del taxi, la spalancò. L’autista disse: — Guarda che ho già un cliente…
— Tutto a posto. Siamo insieme — disse Barnes, accomodandosi vicino a Cole.
— Per favore, parti subito! — disse Cole. A occhi spalancati, guardò il poliziotto che arrivava di corsa da dietro. Pregò che l’autista non vedesse l’agente che agitava le mani per ordinare di fermarsi. Il taxi puntò il muso verso la strada, s’infilò nel traffico incessante di veicoli, passò a un semaforo col giallo, proseguì per Broadway. — Andiamo a… ehm… Coit Tower — disse Cole, scegliendo una destinazione a caso. L’autista annuì.
— Presumo che non fossimo soli — disse Barnes.
Cole annuì. — Forse non lo siamo nemmeno adesso. Ci inseguiranno.
Barnes si lasciò sfuggire un sospiro. — Ragazzo, spero che non siate pazzo.
— Sono pazzo — ribatté, indifferente, Cole. — Ma vi racconterò lo stesso la verità.
— Ma… quelli come hanno fatto a sapere dove trovarci?
Cole ebbe una smorfia. — Questo volevo chiederlo a voi.
Barnes inarcò le sopracciglia. — Forza.
— Be’, il Tif è dappertutto, letteralmente. È qui con noi anche su questo taxi… — Indicò il terminale elettronico del Tif sul cruscotto. — E, uh, secondo voi com’è possibile andare in giro a fare domande, domande pericolose sul loro conto senza attirare l’attenzione?
— Ma come facevano a sapere in che posto ci…? — Barnes fissò Cole, spalancò la bocca. — Il mio videotelefono. Probabilmente è sotto controllo.
Cole annuì. — Probabilmente da molto tempo.
Adesso stavano risalendo colline, aggiravano palazzi, alberi con le foglie annerite dallo smog, diretti al parco della Coit Tower.
Sulla strada battuta dal sole, un taxi li seguiva. Cole si girò a guardarlo per un po’. Dietro l’autista si intravedevano tre figure. — Forse — disse, tornando a guardare in avanti — è meglio che vi dica tutto subito… Per prima cosa, Rufe Roscoe ha registrato su videonastro tutte le riunioni più importanti fatte con i suoi uomini.
Barnes si grattò la fronte rugosa. — Non è una mossa troppo intelligente.
— Lo so. Così pare. Anche se potrebbe avere uno scopo preciso. A ogni modo, tiene i nastri in una camera di sicurezza, e se qualcuno riuscisse a ottenere un’ingiunzione per entrarci, un’ingiunzione firmata dal procuratore distrettuale, si potrebbe smascherare tutta quanta l’organizzazione…
Cole s’interruppe. L’autista li stava osservando nello specchio retrovisore. Il viso rotondo del nero, i suoi occhi duri, infossati, riflettevano un sospetto totale. — Che diavolo state combinando, voi due? — disse in fretta l’uomo. I suoi occhi guizzarono dallo specchietto alla strada, e di nuovo allo specchietto.
— Fatti gli affari tuoi — abbaiò Cole.
Il taxista scosse la testa. — Ehi, voi due avete i soldi per pagare o no? Da come parlate, sembrate matti. L’altra mattina, due tizi che parlavano proprio come voi mi hanno fatto andare alla Coit Tower e mi hanno pestato a sangue e mi hanno costretto a dargli un fottuto orologio che avevo da dodici anni…
— Senti, amico, è improbabile che ti succeda due volte la stessa cosa — ribatté Cole, stanco.
Il taxista fermò. Cole si girò a guardare: anche l’altro taxi si era fermato.
— Pagatemi quello che mi dovete fino adesso, poi io vi porto alla Coit e mi pagate la differenza. Ho una sensazione… Lo capisco sempre quando la carta di credito di qualcuno è scaduta. Me lo sento nella pelle — disse testardamente l’autista.
Barnes grugnì, estrasse la carta di credito dal taschino della camicia da golf mal stirata. Premette il pollice sull’apposito spazio riservato al proprietario della carta, lasciò un’impronta momentanea, e passò la carta all’autista grassoccio. Il nero la infilò nel terminale e aspettò. Il minuscolo schermo disse: CONTO CORRENTE ESTINTO. Cole e Barnes fissarono la scritta, stupefatti.
— Ma ho duemila crediti sul mio conto! — urlò Barnes. — Appena stamattina ho pagato la colazione…