Passeggiava su e giù lungo la parete di vetro, stringendo le mani, fermandosi ogni tanto a dare un’occhiata dal tendaggio… Il sole era proprio tramontato? Sì, sì, era tramontato.
E Cole cominciò a sentirla: un’oscillazione lenta della Presenza, un aumento della frequenza d’onda, qualcosa che gli risaliva nella spina dorsale, che accendeva nella sua testa le immagini delle cianografie: i percorsi neurologici della città sovrapposti ai suoi.
— Cole…
Cole raggiunse il televisore, si accovacciò davanti all’immagine elettronica di Città. — Cole — ripeté Città, come assaporando quel nome. — Stanotte non avventurarti in città; devi riposare. Domani ti aspetta un viaggio. Fuori città.
— No! — Cole si rizzò in piedi, tremante. — No… non valgo più niente… quando mi allontano da te… Credo che andrei in pezzi. Una settimana fa avrei potuto. Ma adesso le cose sono diverse. — Corrugò la fronte, cercando di capire in che senso le cose fossero diverse.
— Adesso siamo più vicini l’uno all’altro, è vero — disse Città, esprimendo ciò che Cole aveva tentato di tradurre in parole. — Ma devi partire, adesso che Barnes è morto. Ti mando a parlare col viceprocuratore distrettuale.
— Io… Senti, non potremmo fare in modo di farlo venire qui? Qui riesco a fare meglio tutto. Sempre. Persino di giorno… L’altro giorno sono riuscito a guidare quell’auto come… come un cascatore professionista. Perché adesso ti sono molto più vicino, e capisco infinitamente meglio quanto le strade e le macchine che corrono per strada siano una parte di te. Invece, fuori città…
Cole si arrese. Città era inflessibile. Inutile discutere.
— Devo… — disse Cole, esitante, allontanando gli occhi dall’espressione di accusa degli occhiali che lo fissavano sullo schermo. — Devo, uh, andare di giorno?
— Temo di sì. Sono le ore migliori per trovarlo. Ho già preso appuntamento a nome tuo. Il viceprocuratore ha l’impressione che tu sia qualcun altro. — Città quasi sorrise. — Un pezzo grosso.
— Ma… — Cole si mise a gesticolare vivacemente: gli era venuta in mente un’obiezione valida a quel viaggio. — Ma io non posso andare all’ufficio del procuratore distrettuale perché ricercato dalla polizia, e con tutto il casino che mi è successo saranno senz’altro state avvertite tutte le autorità di questo stato. Anche se mi mandi sotto falso nome, è probabile che qualcuno mi riconosca. In ogni caso, parlandogli dovrò per forza rivelargli chi sono, per rendere credibile il mio racconto… Bisogna pur poter dimostrare la propria identità, se si vuole che un tribunale accetti una testimonianza.
— Vedo che non segui i notiziari — disse Città.
Cole arricciò il naso. — Non li ho più guardati. Non voglio sentir parlare delle…
— Delle sparatorie? Non devi preoccuparti. Nessuno ne ha parlato. Hanno semplicemente accennato a lotte interne fra bande rivali, una cosa normalissima per tutti. Di te non si è fatta parola. All’interno della polizia, pochi sanno chi sei. Pensaci. Non sono tutti corrotti. C’è gente della stoffa di Barnes sia fra i poliziotti sia fra i giornalisti. Immagina che ti arrestino e che qualcuno del genere ti interroghi e creda alla tua storia, almeno quanto basta per rivolgersi alle autorità federali. Immagina che ci si mette di mezzo l’Fbi… Il Tif non vuole in modo assoluto che tu deponga, che testimoni. I poliziotti che sanno di te hanno ricevuto l’ordine, da domenica scorsa, di spararti a vista, che tu opponga resistenza o meno. Troveranno sempre una scusa.
— Tengono nascosto tutto? Tutti quei morti? — chiese Cole. Ma non era sorpreso.
Città si limitò a fissarlo.
Alla fine, Cole annuì. — Dove e quando?
— Sacramento, palazzo della magistratura di stato, stanza quattro, tre del pomeriggio. Partirai con il treno di mezzogiorno.
— Ma cosa gli racconto?
— Nella stessa cassetta di sicurezza dove hai trovato la bomba ci saranno un biglietto e una valigetta. Dentro c’è la trascrizione di uno degli incontri più importanti registrati da Roscoe, più uno spezzone di videonastro per riscontro. Dovrebbe bastare a metterli in moto, anche se di per sé è tutto materiale inutilizzabile come prova, dato che è stato ottenuto illegalmente.
— Ottenuto come? — chiese Cole, speranzoso. — Voglio conoscere l’uomo che mette la roba nella cassetta di sicurezza, che te la procura. Potremmo aiutarci a vicenda… e parlare.
— No — rispose Città, mentre la sua immagine s’indeboliva. — Non è un uomo. È un autoguardiano. Solo una macchina fredda. Avreste poco in comune.
— Non ne sono certo — mormorò Cole mentre l’immagine di Città svaniva dallo schermo. Solo una macchina fredda.
Cole fu lieto di avere un biglietto di prima classe, con cuccetta. Perché, dal momento in cui si era allontanato dalla portata della coscienza di Città, avvertita solo a livello subliminale ma onnipresente, si era sentito male. Persino lì, nell’ombra oscillante, confortante, della cuccetta, era tormentato. Si girava da un fianco all’altro; un attimo era preda della claustrofobia, l’attimo dopo si sentiva completamente esposto. Soprattutto, si sentiva profondamente solo. Il suo stomaco era un pozzo di dolore; bestemmiò fra sé per tacitare i discorsi inconsulti che gli nascevano dentro, il bisogno a stento domato di urlare: “Fermatevi! Voglio andare a casa! A casa!”.
— Merda — disse ad alta voce, masticandosi un’unghia e fissando gli angoli in penombra del piccolo compartimento — sembro un bambino. — Cercò di trarre conforto dal chirr-click-chirr-click regolare delle ruote del treno a elettricità. Aveva bisogno di bere qualcosa. Doveva restare lucido per il colloquio. Ma gli sarebbe stato utile stordirsi un poco. Soltanto un poco. Il vuoto che avvertiva dentro sembrava risuonare a ogni vibrazione del treno, ricordandogli dolorosamente: Sei in un luogo estraneo, Cole, un luogo estraneo, Cole, un luogo estraneo, Cole…
Si scosse rabbiosamente, gettò i piedi giù dalla cuccetta, aprì la tenda che la chiudeva, avanzò traballando nello stretto passaggio in mezzo alla fila di cuccette. Si avviò verso il vagone bar, pensando: “Solo un bicchierino o due. Qualcuno mi offrirà da bere”.
Nella piattaforma rumorosa, percorsa dall’aria, che univa le due carrozze, incontrò un uomo con la barbetta a punta, pallido in viso, basso e magro. Gli occhi nascosti dagli occhiali attrassero l’attenzione di Cole: le lenti da sole gli ricordavano Città. I capelli dell’uomo erano corti, e ai lati della testa erano stati tagliati in modo da formare con la pelle nuda croci di Malta. Quando Cole entrò nella piattaforma, l’uomo nascose qualcosa nella giacca militare. Cole si fermò a scrutarlo. Fra i due si svolse un dialogo silenzioso, e l’uomo si rilassò. Tolse la mano dal davanti della giacca, permettendo a Cole di vedere il flacone di pastiglie che stringeva con dita pallide. Non si erano mai incontrati, ma si conoscevano già: Cole era l’acquirente, l’altro il venditore. L’istinto della strada aveva permesso a entrambi di identificare l’altro all’istante, anche se erano anni che Cole non prendeva droghe. — Qualcosa da vendere? — chiese Cole, dimenticando per un attimo che non possedeva più un conto corrente.
— Trilithum — rispose l’uomo. — Tranquillanti a effetto ritardato. Quattro creditodollari l’uno.
Cole rifletté. Non aveva conto corrente né soldi, niente.
Però aveva un orologio d’oro che aveva trovato in un cassetto dell’appartamento. Un modello costoso, digitale, con calcolatrice e trasmittente incorporate. — Ho soltanto questo — disse Cole, togliendosi l’orologio e passandolo all’altro.
Il viso dell’uomo non ebbe la minima reazione, ma la sua voce era troppo indifferente quando disse: — Be’, okay. Direi che vale tre pillole. — Anche se sapeva benissimo che ne valeva più di trecento.