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Catz annuì in direzione dell’hotel. — Possiamo entrare tutt’e due?

— Sì… — Cole si schiarì la gola. Aveva la voce roca. — Sì. A quest’ora non c’è personale di servizio. La porta si apre con una chiave e un’impronta vocale. È un alloggio che mi ha procurato Città. Ma mi servirà solo per un altro mese, perché poi torna il vero inquilino. — Restava lì a fissarla. Il fresco del mattino gli procurava fitte reumatiche alle nocche. Non riusciva a decidersi a spezzare l’incanto incamminandosi verso l’hotel.

Ci pensò lei. Prima disse, con una certa petulanza: — Gesù, e muoviti — poi si chinò a raccogliere la borsa, se l’infilò a tracolla, si rialzò. — Sono distrutta. Ho fatto il viaggio su un fottuto Greyhound. Sono peggiorati da che ero piccola, fratello. Più affollati. Roba da non crederci.

Un brivido di stanchezza riafferrò Cole. Si frugò in tasca per un minuto intero prima di riuscire a trovare la chiave. Assieme, si avvicinarono alla porta a vetri con serratura di cromo. Cole inserì la chiave e disse: — Inquilino. — Un clic. Tolse la chiave, e la porta si spalancò…

Mentre salivano in ascensore, le raccontò come meglio poteva, disfatto dalla stanchezza, l’incontro con Sacramento. Catz restò affascinata dalla descrizione della donna che era l’incarnazione di Sacramento. — Mi piacerebbe conoscerla — disse, quasi con venerazione. — L’apoteosi delle prostitute.

— Da quello che mi ha raccontato, dovresti essere in buoni rapporti con Chicago. Per cui è probabile che riusciresti a entrare in sintonia con Sacramento. Credo che a te si manifesterebbe. — L’ascensore divorava piano dopo piano. Strano trovarsi in una scatola che correva verso l’alto alle quattro e trenta del mattino. — Come hai fatto a sapere dove sto?

— Chicago ha avuto contatti sporadici con Città. A quanto sembra, San Francisco è un lupo solitario… Hai detto che probabilmente riuscirei a entrare in sintonia con Sacramento? Come a dire che è fuori discussione che tu venga con me. Perché dovresti andartene da qui, come se questo buco fosse chissà quale Eden…

— Ehi, piantala con le prediche! — scattò Cole. — Sono giorni che non dormo… A parte quando sono svenuto per un colpo in testa, e non è che sia stata una cosa molto riposante. Ci vedo triplo, e per il momento non sono pronto per le solite discussioni, a nessuna discussione.

Catz si mise a fissare la porta grigia dell’ascensore. Come intimidita dal suo sguardo, la porta si aprì sull’ultimo piano. Cole guidò la ragazza lungo il corridoio, fino all’ingresso del suo appartamento. Eseguirono un altro rituale di apertura elettronica ed entrarono. Catz trattenne il fiato. — Ugh… Rifiuti!

— Scusa. Lo so che puzza. L’ho fatto apposta. Rifletteva il mio stato d’animo. Credo di… — Respirò a fondo. — Sono stato da cani, senza te.

Lei gli sfiorò dolcemente la guancia con un dito, scosse la testa, affettuosa, triste.

Poi lanciò a terra la borsa e si avvicinò alla finestra, per aprire le tende. — No! — urlò Cole. — C’è già il sole!

Catz lasciò cadere la mano dalla tendina, si girò a fissarlo con uno sguardo di repulsione.

— Vedi, è perché… — balbettò lui. — Sono giorni che non dormo; mi fanno male gli occhi. Non voglio che vengano colpiti dalla luce viva… finché non mi sarò riposato.

Lei decise di non discutere quella spiegazione.

— Forza, allora — disse, avviandosi in camera da letto tra i rifiuti sparsi a terra. — Andiamo a dormire. Sono a pezzi.

— Sì — disse Cole, e la seguì, sollevato di aver schivato una discussione. — Sono distrutto anch’io.

Si spogliarono nella camera da letto in penombra, si sdraiarono sulle lenzuola, crogiolandosi nella reciproca compagnia. A Cole sembrava di affondare nel materasso. Insonnolito, restò ad ascoltare Catz, se la tirò vicino. Non vedeva assolutamente niente nel buio dietro le palpebre.

— …Insomma, mi è sembrato strano — stava dicendo la ragazza — che Città mi abbia fatto sapere, attraverso Chicago, dove trovarti. E che non abbia cercato di fermarmi quando sono tornata. Credevo che mi volesse fuori dei piedi, prima… Sembrerebbe quasi che si sia un po’ lasciato andare. Ma forse è una cosa temporanea. Forse ci concede qualcosa perché sta per chiederci molto di più… Oppure sa che non posso fermarmi a lungo. Devo tornare a cercare di concludere il contratto per il disco…

— Tutte ipotesi — mormorò Cole nel cuscino, umido per la vicinanza delle sue labbra spalancate.

— Insomma, per quanto tempo ancora, Stu? — riprese Catz, con uno sbadiglio. — Per quanto tempo puoi andare avanti così? La gente non è fatta per vivere come hai vissuto tu ultimamente, uomo. È una situazione che non può durare, credimi. Tu farai la fine di tutti quegli idioti che si vedono per strada, i poveretti che s’incontrano tanto spesso, gli schizofrenici completamente partiti che urlano a persone che non esistono e discutono coi lampioni e sbattono le braccia come pipistrelli… Insomma, prima o poi dovrà finire. Non puoi restartene qui per sempre. E… continuo a pensare a quello spettro di te stesso che hai visto. Insomma, dove finirà, Stu?

Lui non le rispose. Preferì lasciarle credere che si era addormentato. E un minuto più tardi dormiva sul serio.

Dormirono per tutto il giorno. Quando il tramonto oscurò le finestre, si alzarono, fecero il bagno, indossarono vestaglie da camera pulite. Vestaglie da camera di seta azzurra con le iniziali di uno sconosciuto sul taschino.

Per muto accordo ripulirono l’appartamento. Gettarono bracciate enormi di spazzatura nei tritarifiuti. Cole notò che Catz aveva staccato telefono e televisione. Non disse niente: sentiva Città in attesa dietro le finestre con le tende ancora tirate.

Adesso che era sera, era Catz a non volerle aprire.

La ragazza frugò nella borsa, tirò fuori un mangiacassette e qualche cassetta, ne mise su una, e alzò il volume al massimo.

La cassetta era un’antologia di canzoni di diversi artisti, popolari e sconosciuti, vecchi e nuovi. La musica era una presenza senziente che dava alle pareti una risonanza inedita, viva. Il beat, l’eterno intramontabile beat. In quel momento stavano ascoltando un brano della fine degli anni Ottanta: Puttana dell’altro sesso, degli Odds.

Cosa importa se l’idea ti fa stare male, Per lei e i suoi trucchetti è tutto uguale. Io l’ho incontrata in un bar pieno d’attrici Mi ha portato a casa, mi ha mostrato le cicatrici…

Catz ballava, e intanto Cole versava da bere. Cole era troppo inibito per ballare da sobrio. Un crepuscolo caldo stava scendendo negli angoli del soggiorno, i mobili sembravano avvolti da coperte d’ombra. Cole avvertiva la città pulsare tutt’attorno all’hoteclass="underline" si sentiva l’asse attorno a cui Città ruotava. Versò di nuovo da bere e guardò Catz. La ragazza aveva la vestaglia aperta, ballava con furore maniacale, era bagnata di sudore. Cole ebbe l’impressione che stesse cercando di assaporare gli ultimi sprazzi di gioventù.

Gli Odds continuavano con la loro musica voloce, dura, affascinante; il cantante stava imitando il tono di voce suadente di un venditore di macchine usate:

È meglio di una ragazza vera Il doppio calda, il doppio leggera Fa l’amore persino in un parcheggio Per un po’ di soldi rischia il peggio È solo una puttana dell’altro sesso Mi farà ricco, se non sono fesso Sarà un po’ strano, ma che grande effetto Se non fai caso ai peli sul petto. È solo una puttana dell’altro sesso Merda, solo una puttana dell’altro sesso…