Cole portò da bere a Catz e sedette a guardarla. Nella penombra, la sua pelle bianca sembrava di un azzurro fosforescente; forte e fragile, con la vestaglia che le svolazzava attorno al corpo, era la regina dei vampiri appena risorta. Cole sorrise la sua approvazione…
La canzone terminò, ne iniziò un’altra. Catz si gettò a sedere sul divano accanto a Cole, reggendo con una mano il bicchiere di scotch e coca, con l’altra carezzando il collo e le spalle di Cole. Muovendosi freneticamente, percorreva con le dita il bracciolo del divano.
Cole aveva mandato giù il secondo scotch quando Catz gli strappò il bicchiere di mano e lo scagliò violentemente contro il bar. Mancò per poco l’abat-jour dalla luce rossa, la loro unica illuminazione. Il bicchiere si ruppe, e Catz rise; Cole capì che si era trattato di un gesto di rabbia. Le prese il bicchiere e lo lanciò contro la porta dell’appartamento, ma il bicchiere non si ruppe. Catz rise, si lasciò scivolare in avanti, sulle spalle di lui, schiacciandolo sui cuscini col proprio peso.
Cole, col cervello un po’ annebbiato dal liquore, aprì la vestaglia, e lei aderì al suo corpo. La metà superiore di Cole era morbida, la metà inferiore si concentrava in un nucleo duro, teso, un nucleo che lei chiuse fra le labbra, mentre le mani di Cole seguivano il percorso dei muscoli sulla schiena di Catz, evocavano elettricità dalla sua spina dorsale. Ci fu un’ondulazione reciproca; i loro muscoli oscillarono impercettibilmente sulla stessa lunghezza d’onda, quasi fondendosi. Lei strinse l’asse di Cole con un compasso: le cosce serrate. E per poco lui non venne. Ma Catz balzò a sedere, e il pene eretto andò a sbattere contro la pancia di Cole, e poi lei si mise a cavalcioni su di lui, si mosse lentamente, si lasciò penetrare. La musica era un coltello ritmico, un tuono di contrappunto, un rombo amplificato, e dietro gli accordi delle corde metalliche della chitarra si udiva il cozzare della spada sullo scudo.
Fare l’amore fu una battaglia in tono minore, e la ferocia si trasformò in amore attraverso il sangue versato. E in effetti lei sentì male, e lui sentì male quando lei non volle fermarsi dopo che lui era venuto, quando la repulsione era forte e il suo membro flaccido; ma l’erezione tornò immediatamente, e il trascorrere del tempo portò un entusiasmo rinnovato, e i suoi movimenti fiacchi si trasformarono in una spinta veloce e la spinta veloce in un ritmo sfrenato e, come in una guerra, ci fu una serie progressiva di esplosioni, e urla di angoscia, e poi restarono immobili, sbuffanti, abbracciati dolcemente.
Dopo i minuti del respiro affannoso e delle dolci esalazioni, si staccarono. Catz si alzò per andare a lavarsi.
Ma non sarebbe stata l’unica volta, quella notte. Cole intuì vagamente che nel loro desiderio convulso di accoppiarsi c’era disperazione, c’era il bisogno di fare tutto il possibile nel tempo che restava.
“Domattina” pensò. “Domattina succederà qualcosa.”
Era quasi mezzanotte quando Catz si vestì e uscì per andare a sistemare gli affari della band; mezzanotte era l’ora di maggior lavoro per le persone che doveva vedere. Cole piombò in un sonno esausto.
Alle dodici e trenta fece un sogno. Sognò che le sue braccia discutevano per stabilire quale delle due dovesse considerarsi padrona delle spalle. E le sue gambe battagliavano per il possesso dei fianchi. Ma fianchi e spalle, strillando, ribatterono di essere padroni della propria anatomia; anzi, dovevano essere loro a dominare gambe e braccia, e non viceversa. Mentre le braccia urlavano che dovevano essere loro a decidere della sorte delle spalle e le spalle gridavano i propri diritti sulle braccia, e gambe e fianchi litigavano per lo stesso motivo, si misero a discutere anche lo stomaco e il sesso. Il sesso sosteneva che l’intero corpo spettava a lui, dato che la riproduzione era senz’altro l’imperativo più importante. Lo stomaco ribatté aspramente che tutto quanto il fisico di Cole doveva diventare stomaco, visto che persino l’ultimo degli imbecilli sapeva che nutrirsi era considerato la priorità numero uno in assoluto.
Solo la testa se ne restò in silenzio.
Cole si svegliò, conscio di essere solo (a parte la presenza della città che ruotava attorno all’albergo, attorno a Cole, l’asse umano), alle due di notte. Era sdraiato sulla schiena. Strizzò gli occhi. Era bagnato di sudore, eppure aveva freddo. Perfettamente sveglio, tutti i suoi sensi erano all’erta. Cosa l’aveva destato? La sensazione di qualcosa che gli strisciava sul braccio destro. Deglutì, respirò tre volte di seguito. Odiava in modo totale i roditori. Forse, a corrergli sul braccio era un topo. O, ancora peggio, un ratto di fogna. E se l’avesse morsicato? Cercando di muovere solo il braccio sinistro, protese la mano, accese la lampada che stava sul pavimento, accanto al materasso. Trattenne il fiato e si girò a guardare, sollevando la sinistra per gettare via la cosa che aveva sul braccio.
Non c’era niente. Soltanto il filo di una lampada, con la spina disinserita dalla presa. Il filo di una delle due lampade. Strano che si trovasse lì sul letto. Sul lenzuolo spiegazzato, spiccava come una vena. A terra, spenta, la lampada da cui il filo usciva. “Ma perché sto qui a fissarlo?” si chiese Cole.
Doveva essere stata Catz a buttarlo sul letto, quando era uscita; forse se l’era trovato fra i piedi.
Ma allora, cosa aveva sentito strisciare sul braccio? Un sogno.
Allontanò il filo dal letto e tornò a sdraiarsi. Si sentiva pesante. Stare coricato era un sollievo. Trascorsero altri quarantacinque minuti prima che riuscisse a riaddormentarsi.
Perse coscienza. Gli parve di sciogliersi nel materasso, di fondersi col liquido che scorreva allegramente nelle tubature sotto le strade di Città. Sopra di lui, diagrammi luminosi, case e uffici si denudarono, furono investiti dal bagliore dei neon, lampeggiarono in una coreografia meccanica…
Qualcosa lo svegliò alle quattro. Il suo braccio destro era imprigionato: il filo della lampada gli serrava il bicipite, e la spina affondava i due poli di rame nella sua spalla. Sembravano i denti smussati di un serpente.
Urlò qualcosa e agitò violentemente il braccio, lanciando via il filo. La pelle era cianotica nel punto in cui il filo lo aveva stretto.
Sulla spalla, dove i poli della spina avevano morso, aveva due contusioni, e lì la pelle era diventata assurdamente, malignamente insensibile. Cercò di sollevare il braccio per vedere meglio i segni lasciati dalla spina, ma l’insensibilità si diffuse per tutto il braccio, gli invase la carne; sicché dovette lasciar ricadere il braccio sul letto. Si è addormentato, tutto qui, si disse.
Tentò con tutte le sue forze di muovere il braccio, ma non si spostava di un millimetro.
Si udì gemere, si costrinse subito a smettere. Si alzò, barcollò, sentì in bocca il sapore della bile. Gli sembrava di cercare di camminare su un jet che si fosse lanciato in picchiata; la forza di gravità lo schiacciava verso il pavimento. Riuscì ad arrivare in bagno anche se il suo corpo era paralizzato. I muscoli gli obbedivano a stento, quasi desiderassero correre da un’altra parte e si sottomettessero con reticenza petulante. Barcollò fino al lavandino, frugò tra le cose di Catz con la sinistra (la destra gli pendeva inerte lungo il fianco, un ammasso di carne morta), aprì un flacone di sonniferi. Ne ingoiò sei, senz’acqua. Poi tornò a letto e spense la luce.
“Mi sono mosso nel sonno e mi sono impigliato nel filo della lampada. Avrò avuto un incubo” si disse. “E adesso sto male. Domattina, quando mi sveglierò, sarà passato tutto.”
Piombò nel sonno come un macigno che rotoli da un precipizio.
Ma, nonostante i sonniferi, si svegliò alle sei. I raggi rossastri del sole entravano di sbieco dallo spazio vuoto fra le tendine.
Cole cercò di mettersi a sedere. Non riusciva a muoversi. Allora si guardò.