In seguito, uno spettatore descrisse l’incidente come “spettacolare”.
La seconda limousine, che a sua volta correva fortissimo e di testa propria, conteneva quattro uomini estremamente importanti di Boston, venuti lì per incontrare gli individui con cui si scontrarono. L’incontro fu consumato nel senso più profondo della parola.
…A Houston c’era una torre. Era più alta dell’Ago Spaziale di Seattle, ma in effetti era stata costruita a imitazione dell’Ago Spaziale. Non era molto diversa: semplicemente più alta, più snella, con più vetro, più moderna, cioè edificata in modo nettamente peggiore. Come l’Ago Spaziale, la cupola sporgeva per offrire una panoramica dell’incredibile profilo di Houston e del Golfo del Messico, compiendo tutto il giro in quarantacinque minuti. Quella sera il ristorante non ruotava. Era chiuso. Ed era deserto, fatta eccezione per i sette uomini e le due donne che sedevano a un tavolo, che bevevano e litigavano, che indicavano di continuo il terminale spento vicino al distributore dello zucchero. Il gruppetto dei nove non sapeva di essere solo: nessuno si era ancora accorto che tutte le guardie e il barista se n’erano andati (così come Roscoe e Paglione non avevano scoperto che i loro uomini erano stati fatti allontanare; erano rimasti solo quelli indiscutibilmente colpevoli). Era stata la città a convincerli ad andarsene.
Uno dei nove di Houston alzò una mano per chiedere silenzio e disse al barista, in tono petulante: — Jude, Cristo santissimo, ma perché mai hai messo in moto il ristorante? Mi viene il mal di mare quando questo maledetto aggeggio gira!
Gli altri, sorpresi, alzarono gli occhi verso le luci della città e scoprirono che, ah sì, il ristorante girava sul serio.
Non ci fu risposta da Jude.
— Ehi! — urlò una donna, aggrottando le sopracciglia. — Ehi… — questa volta piano. — Ehi, che merda succede? — E questo perché aveva cercato di alzarsi ed era caduta: il ristorante aveva accelerato di colpo, facendole perdere l’equilibrio. La donna non riuscì mai a rimettersi in piedi. In pochi secondi, le luci della città diventarono scie di meteoriti, poi una striscia compatta di luce. Ormai all’accelerazione di gravità uno, la cupola della torre ruotava più in fretta di quanto non potessero farla ruotare i suoi motori. Andava sempre più in fretta.
Cominciarono tutti a urlare, ma la torre (vorrei poter dire che era di un bel colore avorio, ma non lo era; peccato, avrebbe dovuto esserlo) era troppo alta sulla città perché le urla (e poi gli strilli di panico e poi i gemiti e poi i rantoli e poi niente) si potessero udire in basso, giungessero alle orecchie della popolazione che dormiva.
È sorprendente quello che una buona forza centrifuga può fare alla carne umana. Un’altra prova del fatto che l’insieme di ossa e muscoli non è poi solido come sembra…
…E a Miami… A Biloxi, Atlanta, Los Angeles, San Diego, Detroit…
— Metà della nazione è spaventata — disse Cole a se stesso — e l’altra metà è stupefatta.
— Già. C’è stato il boom delle conversioni religiose — rispose Cole. Perché Cole non stava parlando con se stesso metaforicamente. Aveva di nuovo incontrato se stesso, il se stesso disincarnato che giungeva da un’altra convergenza temporale; si erano fermati a chiacchierare a un nesso probabilistico.
Ognuno dei due sapeva cosa avrebbe detto l’altro, prima che l’altro parlasse, naturalmente. Eppure, era necessario dirlo, e ascoltare. Era una specie di liturgia.
Un Cole stava andando a vedere la propria nascita. L’altro stava andando a guardare il suo primo incontro con Catz Wailen; stava giusto tornando dall’aver visto la propria nascita (e, mentre andava a vederla, aveva incontrato se stesso che tornava dall’averla vista; è secondo questa logica che vengono concepiti i disegni dei tappeti orientali). Erano fermi sul marciapiedi davanti al club Anestesia, che era stato chiuso. Attorno a loro, la città entrava e usciva dallo stato di trasparenza, correnti temporali si incrociavano e dividevano; le persone che camminavano sui marciapiedi sembravano scie luminose proiettate da uno stroboscopio. I due Cole erano solidi, almeno l’uno agli occhi dell’altro.
— Parlando da Cole a Cole — disse uno dei due, protendendosi in avanti — la neutralità della nostra posizione non ti… non ci infastidisce?
— A volte. È vero che a livello somatico avverto pochissimo di questo piano. Se mi pizzico, sento male; ma se batto la mano sul terreno, per me è solo fanghiglia, anche se per loro è cemento. Per cui, uh, questo implica l’esistenza di un livello che io… che noi possiamo raggiungere e probabilmente raggiungeremo, un livello da cui possiamo interagire con l’ambiente in senso fisico, più pieno.
— Andremo a finire lì — convenne l’altro Cole, grattandosi il ventre nudo. Poi fece una smorfia. — Nessuno di noi due porta vestiti… Però ricordo di aver incontrato me stesso quella volta che dovevo liberare Catz dai vigilantes di Oakland, e queir… uh… io era vestito…
— Oh, in un’altra sequenza temporale relativa tu, io, decidemmo di vestirci. Capisci, i vestiti che indossavi di solito erano talmente vicini al tuo corpo che sono rimasti metapsichicamente impregnati dalle, hum, vibrazioni caratteristiche di ciò che tu e io siamo… È così che i sensitivi riescono, per esempio, a capire dove sono le persone scomparse, a ritrovarle toccando un loro indumento… C’è di mezzo l’assorbimento di elettroni con uno spin caratteristico dei campi elettrici dell’individuo… In ogni modo, possiamo indossare i vestiti che portavamo in vita, nell’altra vita, e saranno trasferiti anche loro sul nostro piano.
— Lo sapevo già — disse l’altro Cole. — Non so perché te l’ho chiesto.
Risero.
Si trovavano in un corridoio temporale la cui prospettiva mostrava il mondo attorno a loro a una velocità di frequenza superiore al normale; per questo, a indicare il passaggio dei pedoni sulle strade, c’erano quegli strani tubi a forma di uomo. Se si fossero trasferiti in un corridoio temporale con una ciclicità di eventi più lenta, avrebbero visto il mondo come lo vedevano altri uomini, un passo umano alla volta, per quanto confuso, refrattario, pluristratificato.
Attorno a loro, diversi tubi stroboscopici a forma d’uomo si erano intersecati, si agitavano dando la sensazione di un’infinità di fili che si unissero a formare un nodo color carne… — Formano gruppi del genere a ogni angolo di strada, in ogni bar, per tutta la città. Stanno discutendo la meccanica della strage dei capimafia — disse Cole a Cole. — Probabilmente finiranno col pensare a un’organizzazione umana potentissima, dotata di una tecnologia sconosciuta, che ha ucciso tutti quanti alla maniera dei vigilantes. Penseranno alla vendetta di un milionario…
— Si è trattato di un’entità umana. Ma non di quella che la gente… crederà… E ora il déjà-vu: sì, è proprio questa la spiegazione che daranno.
— Qui, i déjà-vu non sono sensazioni vaghe. Sono enormi e massicci come un cartellone pubblicitario che ti piombi sulla testa. Onde furiose di acqua gelida.
— Sapevo che l’avresti detto.
— Sapevo che l’avresti detto.
All’unisono risero. Simultaneamente presero strade diverse.
Cole camminava, ridacchiando fra sé, a fianco del proprio corpo posseduto dalla città. La Città che gli stava accanto, reale contemporaneamente su vari piani, usava il corpo abbandonato da Cole come veicolo; ma Cole trovava difficile considerare quella manifestazione di Città come una versione di se stesso, come qualcosa che possedesse ciò che era stato Stu Cole. In parte era per gli occhiali da sole che affondavano in quello che era stato il suo cranio; in parte era per i tratti del viso, duri, spietati come il muso di una locomotiva lanciata in corsa. Città indossava un’uniforme di stoffa ruvida, color cachi, e un cappello floscio. I pantaloni erano stracciati per i muri che aveva abbattuto, per i proiettili che aveva fermato. Cole indossava un comodo abito da passeggio, ed era a piedi nudi. Camminavano assieme per una strada scarsamente illuminata di San Rafael; nel buio, a Cole le cose sembravano quasi solide.