Città era a una dozzina di metri dai quattro voguer. Cole lo vide scomparire per un attimo tra la folla. Quando si era infilato nella calca umana, indossava ancora il cappello e l’impermeabile logoro; dieci secondi dopo, riapparve con una scintillante camicia di rete metallica, una fusciacca di seta rossa, ghette di raso giallo, niente cappello, stivaletti a punta di colore scuro, e gli stessi occhiali con la montatura in metallo nero e lenti a specchio.
Catz aveva ragione. Una città camminava fra gli uomini.
Catz restò alle spalle di Città, lo ascoltò parlare con il gruppo al tavolo. Cole non vedeva il viso di Città, ma capiva, dalle espressioni di fascino orripilato dei quattro snob, che Città stava parlando con loro. Catz rideva. Cole si avviò verso il tavolo; e più si avvicinava, più forte diventava la disco music, per quanto lui si allontanasse dagli altoparlanti…
Normalmente, mentre lavorava al banco non sentiva la musica diffusa dagli altoparlanti alti due metri che circondavano la pista da ballo. Aveva imparato a escludere la musica. Chiunque avesse prestato attenzione, per ore e ore, ai soliti brani disco incisi sui nastri da novanta minuti, era destinato a una crisi isterica, oppure al coma. La perfezione meccanica del ritmo incessante, l’evocazione di emozioni senza la minima emozione, l’inesorabilità ipnotica di mille variazioni sugli stessi giri armonici: la sostanza labirintica della paranoia.
Invece, in quel momento Cole ascoltava. La musica lo avvicinava maggiormente a Città.
E più si avvicinava al tavolo, più la musica gli esplodeva nelle orecchie. I quattro voguer si erano alzati, stavano urlando. La voce del nastro ripeteva: GIRATE IN TONDO NON VI DOVETE MAI FERMARE/ATTENTI ALL’UOMO CHE IL RASOIO STA PER AFFILARE/GIRATE IN TONDO NON VI DOVETE MAI FERMARE/ATTENTI AL SUONO DEL RASOIO DA AFFILARE/GIRATE IN TONDO…
Le parole, composte dal computer come la musica, erano tutte lì, si ripetevano sino allo sfumare del brano.
Arrivò al tavolo. Città aveva smesso di parlare coi quattro, li stava osservando. Sotto il suo sguardo, uno dei voguer tolse dallo stivale alto fino al ginocchio un agopugnale e lo infilò nel petto sgargiante di un altro voguer. Il destinatario di quel dono freddo e sottilissimo tremò e urlò e cadde all’indietro, precipitò su un altro voguer che stava tentando di violentare la moglie dell’uomo che aveva estratto l’agopugnale. La donna martellava la testa e le spalle dello stupratore con una bottiglia di gomma. Catz e i clienti guardavano, sogghignando. Con espressione leggermente seccata, Rich il buttafuori mise fine alla scena scaraventando all’esterno tutti e quattro.
Città si girò verso Cole. Non indossava più quegli abiti scintillanti: adesso portava un completo nero con camicia bianca e cravatta blu, come Cole. Città s’avviò alla porta. Cole lo seguì senza fare domande, senza esitare un solo istante. Catz fece segno alla band di chiudere lo spettacolo con qualche brano strumentale e uscì con loro.
Quando Città arrivò sul marciapiede, si verificò un incidente fra cinque auto, come se il traffico si prostrasse davanti a lui nella genuflessione del metallo lacerato. Un frammento di paraurti cromato sfiorò la testa di Cole, andò a seppellirsi nella parete di mattoni. Nella notte esplodeva l’elettricità della tensione urbana. Città guardò il groviglio di automobili, annuì, s’incamminò. Passando sui corpi dei quattro voguer che continuavano a lottare e a sanguinare sul marciapiedi, Catz e Cole seguirono Città. Si tennero dietro di lui, sulla sua sinistra, guardandolo dall’angolo degli occhi.
Alle loro spalle, un furgoncino Ford Stomper azzurro, una Volkswagen gialla thug, una Ford Falcon color oro del ’69, una Lincoln Continental bianca a elettricità e un maggiolino Vw rosso erano aggrovigliate inestricabilmente, giunte a quel matrimonio mortale da cinque direzioni diverse: un pentagramma di metallo contorto, gomme ridotte a brandelli, benzina che s’incendiava, frammenti di vetro e carne tinta di rosso.
Dal petto di Città, come costante sottofondo, usciva la musica del nastro disco, idiota, interminabile, ripetitiva, una cianografia audio della topografia urbana.
La musica composta dal computer echeggiava fra i muri e faceva tremare le vetrine dei negozi e strappò un sospiro a Cole. Catz fischiettava al ritmo della disco, saltellava, tirava calci ai bidoni della spazzatura.
Cole sussurrò a Catz, che adesso canticchiava e stava chiudendo la cerniera lampo della giacca di pelle nera: — Cos’ha detto ai voguer da renderli così furibondi?
Lei rise. — All’uomo col coltello ha detto che il suo migliore amico, quello che è stato pugnalato, fa l’amore con sua moglie. L’uomo col coltello ha colpito il suo migliore amico perché sono amanti, e quindi avrebbe dovuto andare a letto soltanto con lui, e invece lo ha tradito con sua moglie.
— Ho afferrato l’idea. E il violentatore?
— Il violentatore era fratello della vittima. È tutta una vita che desidera la sorella. Città gli ha spiegato che la sorella ha avuto rapporti col fratello maggiore ma che lui la disgusta, e che continua a prenderlo per il naso e si diverte un mondo a vedere quanto lui la desideri, ma non gli permetterebbe mai di toccarla.
— E loro hanno capito che era la verità. Non hanno mai messo in dubbio la sua parola.
— No, non l’hanno messa in dubbio. Città è indiscutibile come una nube di temporale. Tu dubiti di lui?
— No. Sono qui, non vedi? Ma dove stiamo andando? Perché lui è qui stasera? Perché si è incarnato tra di noi? E come ha fatto?
— Vuole conoscersi dall’esterno. Un motivo abbastanza naturale. Si sta studiando, prova i riflessi, indaga, assapora, e si difende. Come? L’inconscio collettivo ha posseduto e trasmutato un uomo. Lui rende tutto vero, risolve tensioni, dà un senso ai drammi della vita portando i destini al loro epilogo.
— Parli per enigmi solo per tormentarmi. Ti piace vedermi confuso, Catz.
— Lieto di conoscerti, sai come mi chiamo?/Confonderti è la natura del gioco che amo.
Era il momento più intenso della sera di sabato. Tutti camminavano verso una loro destinazione, e con gli occhi della mente vedevano solo quella destinazione, e ben poco d’altro. Le destinazioni sono come carote che danzano davanti agli occhi dei somari. Così, nessuno si accorse che Città emetteva disco music senza avere una radio o un registratore.
In lontananza, i lineamenti severi delle strade convergevano in una patina di veli ammalianti, rifrazioni di luci al neon, di insegne, di lampioni, di metallo; scintillii diffusi in una nube di fumo di sigarette, vapori che uscivano da tombini, e ossido di carbonio.
Il vento tiepido recava odori di cibo e di rifiuti. Cole si sentiva male.
Ed era nervoso. La città gli sembrava vivida in modo innaturale: i suoi suoni; i ragazzi che fischiavano, gli stantuffi che gemevano, le macchine che ansavano. Tutto troppo forte.
Mal di testa e nausea contribuivano a farlo sentire uno straccio. Soprattutto, avrebbe voluto che l’orribile disco music s’interrompesse. Ma l’idea di lasciare Città non lo sfiorò nemmeno.
Stavano attraversando Chinatown, e metà delle insegne si erano trasformate in ideogrammi enigmatici. La salita si fece più ripida, il mal di testa di Cole più insistente. Giunti in cima alla collina, si fermarono ad ammirare l’orizzonte. Le luci che delimitavano l’orizzonte sembravano esili raggi che uscissero dai fori di una scheda per computer. Città scrutò l’orizzonte. Il diagramma angolare delle luci si rifletté nelle lenti dei suoi occhiali, e la sua bocca si aprì leggermente a sussurrare un nome incomprensibile.
Risate infantili echeggiarono sulla sinistra. Città si diresse da quella parte, verso una stradina buia. La spazzatura si ammucchiava sui marciapiedi, davanti alle porte sul retro di drogherie cinesi, tra un gran fetore di pesce e verdure marce.
Proseguirono in fretta, in silenzio, per quindici isolati, uscirono da Chinatown, scesero lungo una collina ripida. Adesso si trovavano in un quartiere residenziale di case vittoriane alte e arroganti, vicinissime l’una all’altra.