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«Benissimo,» disse il signor Crookshank, «ora siamo al completo.»

Ma Kingsley non riuscì a scoprire perchè fossero al completo.

Dopo aver cordialmente chiacchierato col vice-presidente di una società di navigazione aerea e col direttore di una impresa ortofrutticola, e con altre degne persone, alla fine Kingsley si trovò a parlare con una graziosa ragazza bruna. Li interruppe una donna assai bella, che li prese tutti e due per un braccio.

«Avanti, voi due,» disse con una bella voce bassa, asciutta, assai fine. «Andiamo tutti da Jim Halliday.»

Quando vide che la bruna stava per accettare l’idea di Vocedibasso, Kingsley concluse che avrebbe fatto bene ad andare anche lui. Non doveva preoccuparsi per Marlowe, pensò. In qualche modo sarebbe ritornato al suo albergo.

La casa di Jim era alquanto più piccola della residenza del signor S.U. Crookshank, ma tuttavia riuscirono a sgombrare un pezzo di pavimento su cui due o tre coppie si misero a ballare al suono piuttosto rauco di un grammofono. Girarono altri bicchieri, e Kingsley ne fu contento perchè non era una stella di prima grandezza nel cielo delle danze. La ragazza bruna fu invitata da due uamini per i quali Kingsley, nonostante il whisky, provò cordiale antipatia. Decise di meditare sulla condizione del mondo, in attesa del momento di liberare la ragazza da quei due tangheri, ma non doveva essere così. Gli si avvicinò Vocedibasso. «Balliamo, tesoro,» gli disse.

Kingsley fece del suo meglio per accordarsi con quel ritmo insinuante, ma non riuscì ad ottenere l’approvazione della sua ballerina.

«Perchè non ti abbandoni, amore?» sospirò la voce.

Era proprio l’osservazione che ci voleva per impacciare ancor più Kingsley: come poteva abbandonarsi in quel poco spazio pieno di gente? Cosa doveva fare, lasciarsi andare a corpo morto fra le braccia di Vocedibasso?

Decise di rispondere con una sciocchezza di pari peso:

«Io non ho mai troppo freddo, e lei?»

«Dove vuole arrivare?» fece la donna con una voce che sembrò un bisbiglio amplificato.

La disperazione di Kingsley era al colmo: la trascinò via dallo spazio del ballo, afferrò il bicchiere, tirò giù un gran sorso, e balbettando qualcosa andò verso l’atrio dove ricordava di aver visto un telefono. Una voce dietro di lui fece:

«Ehi, cerca qualcosa?»

Era la ragazza bruna.

«Chiamo un tassì. Sono stanco e voglio andare a letto.»

«Le pare bello dir queste cose a una ragazza per bene? Ma è giusto, me ne vado anch’io. Ho una macchina e le do un passaggio. Lasci perdere il tassì.»

La ragazza guidava bene e presto furono nei sobborghi di Pasadena.

«È pericoloso guidare troppo piano,» spiegò. «A quest’ora i poliziotti sono in cerca di ubriachi e di gente che ritorna dalle feste. Non fermano le macchine che vanno veloci, ma si insospettiscono quando ne vedono una andar piano.» Accese le luci sul cruscotto per controllare la velocità. Allora vide il contatore della benzina

«Accidenti, è quasi finita. Dobbiamo fermarci al prossimo distributore.»

Solo quando fu per dare i soldi al ragazzo del distributore si accorse che sulla macchina non c’era la borsetta. La benzina la pagò Kingsley.

«Non so proprio dove l’ho lasciata,» disse. «Credevo che fosse nei sedili di dietro.»

«C’era molto?»

«Non molto. Ma il guaio è che non so proprio come rientrare a casa. Nella borsetta c’era anche la chiave.»

«È proprio una seccatura. Disgrazia vuole che io non sia molto esperto in serrature. È possibile entrare in qualche modo dalla finestra?»

«Be’, credo che sia possibile, se qualcuno mi aiuta. C’è una finestra che lascio sempre aperta, ma è piuttosto alta e non ci arrivo da sola. Forse se lei mi da una mano… Le dispiace? Non è molto lontano da qui.»

«Niente affatto,» disse Kingsley, «e mi piace l’idea di far lo scassinatore.»

La ragazza aveva ragione di dire che la finestra era alta. Per arrivarci

bisognava far salire una persona sull’altra, e la manovra non sarebbe stata per

nulla facile.

«È meglio che salga io,» disse la ragazza. «Sono più leggera.»

«E allora invece dell’agile scassinatore mi toccherà fare da tappeto.»

«Giusto,» disse la ragazza sfilandosi le scarpe. «E ora si abbassi, in modo che

io le possa salire sulle spalle. Ma non così, altrimenti non si risolleva più.»

La ragazza per un momento parve cader giù, ma riacquistò l’equilibrio

aggrappandosi ai capelli di Kingsley.

«Mi stacca la testa,» borbottò lui.

«Mi dispiace. Sapevo che non dovevo bere tanto.»

Finalmente ce la fece. La finestra era spalancata, e la ragazza sparì là dentro,

prima la testa e le spalle, i piedi per ultimo. Kingsley raccolse le sue scarpe

e Si avvio alla porta. La ragazza aprì. «Entri,» gli disse. «Mi si sono

smagliate le calze. Mica si vergogna di entrare, vero?»

«Non mi vergogno affatto. Ma se ha finito, mi renda i miei capelli.»

Era quasi ora di pranzo quando Kingsley giunse all’osservatorio, il giorno dopo.

Andò subito all’ufficio del direttore e vi trovò Herrick, Marlowe e l’Astronomo

Reale.

«Dio mio, che aria dissoluta,» pensò l’Astronomo Reale.

«Dio mio, il trattamento a base di whisky pare che l’abbia conciato per le

feste,» pensò Marlowe.

«Sembra più volubile che mai,» pensò Herrick.

«Bene, bene, sono finiti tutti quei rapporti?» chiese Kingsley.

«Tutto pronto, manca solo la sua firma,» rispose l’Astronomo Reale. «Ci chiedevamo dove fosse finito perchè abbiamo già fissato l’aereo di ritorno per stanotte.»

«Aereo di ritorno? No, no, prima giriamo mezzo mondo per tutti quei maledetti aeroporti, ed ora che siamo qui a goderci il sole vuole tornare subito a casa? Non dica sciocchezze, A. R. Perchè non si concede un po’ di respiro?»

«Mi sembra che lei dimentichi che noi ci dobbiamo occupare di una cosa molto importante.»

«La cosa è importante, d’accordo, A. R. Ma in tutta serietà le dico che è una cosa di cui non possiamo occuparci nè noi nè alcun altro. La Nuvola nera viaggia e nessuno la può fermare, nemmeno tutti gli uomini del re, anzi nemmeno il re. Vi consiglio di lasciar perdere questa stupida storia del rapporto. Godiamoci il sole, finchè ce n’è.»

«Ci eravamo resi conto delle sue idee, dottor Kingsley, ma poi l’Astronomo Reale ed io abbiamo deciso di prendere l’aereo dell’est,» interruppe Herrick che cercava di conservare la calma.

«Volete dire che intendete recarvi a Washington, dottor Herrick?»

«Ho già fissato un appuntamento col segretario del Presidente.»

«In questo caso credo che anche l’Astronomo Reale ed io dovremmo partire, subito, per l’Inghilterra.»

«Kingsley, è proprio quello che cercavo di dirle,» fece l’Astronomo Reale, pensando che sotto certi aspetti Kingsley era l’uomo più ottuso che avesse mai conosciuto.

«Forse a lei è parso così, A. R., ma non mi ha detto esattamente in questo modo. E ora sotto con le penne. Tre copie, vero?»

«No, sono soltanto due, una per me e una per l’Astronomo Reale,» rispose Herrick. «Vuol firmare qui?»

Kingsley tirò fuori la penna, scarabocchiò due volte il suo nome, poi disse:

«È proprio certo, A. R., che i posti sull’aereo per Londra sono prenotati?»

«Ma certo.»

«Allora tutto va bene. Signori, sarò a vostra disposizione al mio albergo dalle cinque in poi. Ma fino alle cinque ci sono varie cose importanti di cui mi debbo occupare.»

Detto questo Kingsley uscì dall’osservatorio.

Nella stanza di Herrick gli astronomi si guardarono in faccia sorpresi.