«Bene, per prima cosa ho chiesto a Parkinson di fare una piccola inchiesta segreta sulla… hm… reputazione scientifica dei signori che hanno firmato il rapporto. Forse vi interesserà sentire cos’ha da dirci Parkinson.»
I presenti risposero di sì. Parkinson pareva che si stesse scusando di qualcosa.
«Non fu del tutto facile ottenere informazioni veramente attendibili, specialmente al riguardo dei due americani. Tuttavia, dai miei amici della Società Reale ho appreso che un rapporto firmato dall’Astronomo Reale o dall’osservatorio di Monte Wilson deve considerarsi assolutamente valido, dal punto di vista dell’osservazione. Assai meno sicuri peraltro essi sono sulle capacità deduttive dei quattro firmatari. A quel che mi è dato di capire, solo Kingsley, fra i quattro, potrebbe vantare esperienza in tal senso.»
«Cosa intende dire con <potrebbe vantare>?» chiese il ministro delle Finanze.
«Be’… Kingsley ha fama di scienziato geniale, ma non tutti lo stimano perfettamente attendibile.»
«E ciò equivale a dire che la parte deduttiva di questo rapporto è opera di un uomo solo e che quell’uomo è individuo brillante ma in attendibile,» fece il Primo ministro.
«Be’… possiamo anche enunciare in questa maniera quel che ho detto, quantunque sia una maniera un po’… come dire?… estremista,» rispose Parkinson.
«Forse,» continuò il Primo ministro, «ma in ogni modo ci dà qualche ragione per essere scettici. Evidentemente bisogna indagare ancora. Con voi voglio discutere i mezzi per ottenere migliori informazioni. Intanto potremmo chiedere al Consiglio della Società Reale di nominare una commissione che verifichi tutta la questione. C’è solo un’altra linea d’azione che a me pare consigliabile, affrontare direttamente il governo degli Stati Uniti, al quale certamente interessa sapere se il professor Kingsley e gli altri sono persone attendibili.»
Dopo una discussione di diverse ore fu deciso di mettersi in contatto immediato con il governo degli Stati Uniti. A favore di questa decisione aveva parlato soprattutto il ministro degli Esteri, al quale non mancarono gli argomenti per sostenere una alternativa che avrebbe messo tutta la questione nelle sue mani.
«Il punto decisivo,» diss’egli, «è questo: se ci rivolgiamo alla Società Reale — è ciò potrebbe anche essere auspicabile, ma per altri motivi — offriremmo a un numero maggiore di persone la conoscenza di fatti che, allo stadio attuale, debbono restar segreti. Su questo credo che siamo tutti d’accordo.»
Erano d’accordo. Ma il ministro della Difesa voleva sapere qualcosa: «Quali provvedimenti si possono prendere per assicurarci che nè l’Astronomo Reale nè il dottor Kingsley siano in grado di diffondere interpretazioni allarmistiche dei fatti presunti?»
«È un punto delicato e importante,» rispose il Primo ministro. «L’ho già considerato attentamente. È questa appunto la ragione per cui ho chiesto al ministro dell’Interno di intervenire a questa riunione. Era mia intenzione sollevare il problema con lui solo, più tardi.»
Tutti furono d’accordo nel riconoscere che la questione andava lasciata al Primo ministro e al ministro dell’Interno, e la riunione si sciolse. Il ministro delle Finanze era preoccupato, tornando al suo ufficio. Di tutti i presenti era l’unico ad aver motivo di sentirsi nei guai, perchè solo lui poteva valutare quanto fosse debole l’economia nazionale, e quanto poco sarebbe bastato per mandarla in rovina. Il ministro degli Esteri invece era soddisfatto di sè. Sentiva d’esserne uscito bene. Il ministro della Difesa pensava che in fondo tutta quella storia era una tempesta in un bicchier d’acqua, e che comunque non aveva nulla a che fare col suo ministero. Anzi, si chiedeva perchè l’avessero convocato alla riunione.
Il ministro dell’Interno, dal canto suo, era molto soddisfatto che l’avessero invitato a quella riunione; oltre tutto gli toccava il privilegio di restare, dopo che gli altri se n’erano andati, a discutere da solo con il Primo ministro.
«Sono certo,» disse, «che riusciremo a scovare una qualche legge che ci permetta di tappare la bocca a quei due messeri, l’Astronomo Reale e quello di Cambridge.»
«Ne sono certo anch’io,» rispose il Primo ministro. «Non per niente abbiamo leggi vecchie di centinaia di anni. Ma è molto meglio che ci comportiamo con tatto. Ho già avuto occasione di discutere con l’Astronomo Reale. Gli ho esposto il caso, e da quel che ha detto mi pare di poter essere certo della sua discrezione. Ma da certi accenni che ha fatto, capisco che la cosa è un po’ diversa per quanto riguarda il dottor Kingsley. In ogni modo è chiaro che dobbiamo metterci in contatto con il dottor Kingsley, senza indugio.»
«Manderò subito qualcuno a Cambridge.»
«Non qualcuno, deve andar lei in persona. Il dottor Kingsley sarà… hm… direi lusingato se va a trovarlo personalmente. Gli telefoni e gli dice che sarà a Cambridge domattina, e che vuole consultarsi con lui per una questione importante. In questo modo credo che sarà più efficace, ed anche più semplice.»
Dopo il ritorno a Cambridge Kingsley ebbe molto da fare. Fece quindi buon uso dei pochi giorni che gli restavano, prima che cominciassero a girare le ruote politiche. Spedì diverse lettere, tutte raccomandate. Un osservatore attento forse avrebbe notato soprattutto quelle indirizzate a Greta Johannsen di Oslo, e a mademoiselle Yvette Hedelfort, dell’Università di Clermont-Ferrand: erano queste le uniche donne a cui Kingsley scrivesse. Nè l’attento osservatore avrebbe mancato di notare una lettera ad Alexis Ivanovic Alexandrov. Kingsley sperava che sarebbe giunta a destinazione, ma non si poteva mai esser certi della roba spedita in Russia. È vero che gli scienziati russi e quelli occidentali, quando si incontravano alle conferenze internazionali, predisponevano modi e mezzi per far passare le proprie lettere. È vero che il segreto di questi mezzi era mantenuto con grande rigore, pur essendone a conoscenza molte persone. È vero che molte lettere riuscivano a passare tra le mani di tutte le censure. Ma non si poteva mai essere completamente tranquilli. Kingsley sperava che tutto andasse bene.
Più che d’ogni altra cosa, peraltro, si preoccupava dei radioastronomi. Pregò John Marlborough e i suoi colleghi di osservare bene l’approssimarsi della Nuvola a sud di Orione. Ci volle gran forza di persuasione per metterli al lavoro. L’attrezzatura di Cambridge (per quanto riguardava i 31 centimetri) funzionava solo da poco tempo, e c’erano molte altre osservazioni che Marlborough voleva portare avanti. Ma Kingsley finalmente riuscì a convincerlo, senza rivelare i suoi veri propositi. E quando i radioastronomi ebbero cominciato a studiare la Nuvola, ne vennero risultati così sorprendenti che non ci fu più bisogno di convincere Marlborough a continuare. La sua squadra si mise a lavorare di continuo, ventiquattro ore al giorno. Kingsley ebbe pane per i suoi denti, perchè doveva ridurre i risultati e distillarne il significato.
Il quarto giorno, pranzando insieme a Kingsley, Marlborough era eccitatissimo. A Kingsley parve che fosse ormai tempo, ed osservò:
«È chiaro che noi dovremmo mirare alla pubblicazione quasi immediate di tutte queste novità. Ma credo che sarebbe meglio aver la conferma da qualcun altro. Mi son chiesto se uno di noi due non farebbe bene a scrivere a Leicester.»
Marlborough ingoiò un boccone.
«Buona idea,» disse. «Scrivo io. Sono in debito con lui di una lettera, e ci sono altre cose di cui gli voglio parlare.»
Kingsley sapeva bene che cosa aveva in mente Marlborough: su un paio di questioni Leicester era arrivato prima di lui, e Marlborough aspettava tanto l’occasione per dimostrargli che non era lui, Leicester, l’unico pesce a nuotare per i mari.
Difatti Marlborough scrisse a Leicester, dell’Università di Sydney in Australia, ma, per maggiore tranquillità, e senza dir nulla a Marlborough, gli scrisse anche Kingsley. Le due lettere contenevano quasi le stesse cose, ma Kingsley fece anche qualche accenno traverso, che poteva significar molto, per chi sapesse della minaccia della Nuvola nera; naturalmente Leicester non ne sapeva niente.