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Il ministro non aveva motivi per raccogliere quella provocazione. Si alzò, prese cappello e bastone, e disse:

«Qualunque rivelazione lei faccia, professor Kingsley, sarà considerata dal governo come grave contravvenzione alla legge sui segreti ufficiali. In questi ultimi anni si son dati numerosi casi di scienziati che hanno voluto porsi al di sopra della legge e dell’interesse pubblico. Immagino che lei sappia quel che è accaduto a costoro. Le auguro buon giorno.»

Per la prima volta la voce di Kingsley si fece dura imperiosa. «E posso farle osservare, signor ministro dell’Interno, che ogni tentativo del governo di interferire Con la mia libertà di movimento, varrà a distruggere ogni vostra possibilità di conservare il segreto? Finchè tale questione rimane ignota al pubblico, siete tutti nelle mie mani.»

Quando il ministro dell’Interno se ne fu andato Kingsley si guardò allo specchio sogghignando:

«Ho recitato la mia parte abbastanza bene, mi sembra; mi dispiace solo che sia successo in casa mia.»

Ora le cose si muovevano in fretta. A sera un gruppo di poliziotti giunsero a Cambridge e saccheggiarono l’appartamento di Kingsley, mentre egli era a cena. Fu scoperta e ricopiata una lunga lista di suoi corrispondenti. All’ufficio postale presero l’elenco delle lettere impostate da Kingsley dopo il suo ritorno dagli Stati Uniti. Non fu difficile perchè le lettere erano tutte raccomandate. Si scoprì che di esse solo una poteva ancora essere in viaggio, la lettera al dottor H.C. Leicester dell’Università di Sydney. Da Londra partirono subito cablogrammi urgenti, ed entro poche ore la lettera fu intercettata a Darwin, Australia. In cifra, il contenuto fu telegrafato a Londra.

Alle dieci in punto della mattina seguente ci fu una riunione al numero 10 di Downing Street: vi partecipavano il ministro dell’Interno, sir Harold Standard, capo della polizia, Francis Parkinson e il Primo ministro

«Ebbene, signori,» cominciò il Primo ministro, «avete tutti avuto larga possibilità di studiare i fatti del caso, e credo che siate d’accordo nel ritenere che occorra far qualcosa, circa questo Kingsley. La lettera inviata in URSS, e il contenuto di quella intercettata, ci impongono di agire prontamente.»

Gli altri annuirono, senza dire nulla.

«La questione che ora dobbiamo decidere,» continuò il Primo ministro, «è la forma che dovrà prendere tale azione.»

Il ministro dell’Interno non aveva dubbi in proposito. Era favorevole all’incarcerazione immediata.

«Non credo che dobbiamo prendere troppo sul serio la minaccia di Kingsley di rivelare tutto al pubblico. Possiamo ben precludere tutte le fessure attraverso le quali possono filtrare le notizie. È probabile che avremo qualche inconveniente, ma nel complesso sarà un inconveniente limitato, minore comunque che se cercheremo qualche forma di compromesso.»

«Ammetto che possiamo farlo,» disse Parkinson. «Ma ritengo che ci siano fessure a noi ignote, attraverso le quali le notizie possano trapelare. Posso parlare francamente, signore?»

«Perchè no?» disse il Primo ministro.

«Be’, mi sento a disagio se ripenso a quello che affermai a proposito di Kingsley, nella nostra ultima riunione. Dissi che molti scienziati lo considerano brillante, ma non del tutto attendibile. Questo è in realtà il parere degli scienziati. Ma dimenticai di aggiungere che non c’è mestiere pieno di gelosie quanto quello dello scienziato; e la gelosia non consente ad alcuno di affermare che un collega è brillante e attendibile. Francamente, signore, non ci sono molte possibilità che il rapporto dell’Astronomo Reale sia, nella sostanza, erroneo.

«Ebbene, signore, ho studiato con molta attenzione quel rapporto e mi sembra di essermi fatto un’idea della personalità e della capacità degli uomini che lo hanno firmato. Non credo che un uomo dell’intelligenza di Kingsley avrebbe difficoltà a render nota la situazione, se davvero lo volesse. Se potessimo tendergli intorno, lentamente, una rete, per alcune settimane, tanto lentamente che egli non se ne accorgesse, forse in tal modo potremmo riuscire nel nostro intento. Ma è certo che egli può aver previsto la nostra idea di metterlo al fresco. Vorrei chiedere a sir Harold: se noi arrestiamo subito Kingsley, c’è la possibilità che egli faccia trapelare qualcosa?»

«Temo che sia giusto ciò che dice il signor Parkinson,» cominciò sir Harold. «Non siamo in grado di tappare le fessure usuali: la stampa, la radio, anzi la nostra radio. Ma cosa faremmo se qualcosa trapelasse da Radio Lussemburghese, per fare un esempio? E ci sono decine di possibilità del genere. Ci potremmo anche riuscire, avendo tempo a disposizione, ma non così, dalla mattina alla sera, temo. Un’altra cosa,» continuò, «tutta questa storia divamperebbe come un incendio, una volta che fosse nota, anche senza i giornali o la radio. Sarebbe come una di quelle reazioni a catena di cui si sente tanto parlare ai giorni nostri. È molto difficile impedire che le notizie si diffondano attraverso queste fessure, perchè queste si aprirebbero da ogni parte. Può darsi che Kingsley abbia depositato qualche documento chissà dove, con la disposizione che venga letto a una certa scadenza, a meno che egli non dia istruzioni in contrario. È la solita maniera, lo sapete benissimo. E può anche darsi che Kingsley abbia fatto qualche altra cosa, non altrettanto usuale.»

«E questo sembra accordarsi con l’opinione di Parkinson,» intervenne il Primo ministro. «Bene, Francis, mi par di capire che lei ha qualche asso nella manica. Vediamolo.»

Parkinson espose la sua idea che, a suo avviso, avrebbe funzionato. Dopo aver discusso decisero di metterla alla prove: se funzionava, avrebbe funzionato subito. E se non funzionava, potevano sempre riprendere il piano del ministro dell’Interno. Poi la riunione si sciolse. Ci fu subito una telefonata a Cambridge. Poteva il professor Kingsley ricevere il signor Francis Parkinson, segretario del Primo ministro, alle tre di quel pomeriggio? Il professor Kingsley poteva. Perciò Parkinson partì per Cambridge. Era anche lui puntuale, ed entrò nell’appartamento di Kingsley mentre l’orologio di Trinity Hall batteva le tre.

«Ah,» sbottò Kingsley stringendogli la mano, «tardi per il pranzo, presto per il tè.»

«Spero che non mi mandi via con tanta fretta, professor Kingsley,» rispose Parkinson sorridendo.

Kingsley era molto più giovane di quel che Parkinson aveva pensato: poteva avere trentasette, trentotto anni. Parkinson se lo era immaginato piuttosto alto e sottile. In questo non si sbagliava, ma non aveva previsto quella singolare combinazione dei capelli neri e folti con gli occhi stupendamente azzurri. Insomma Kingsley non era il tipo d’uomo che si dimentica facilmente.

Parkinson si sedette vicino al fuoco e disse:

«Ho sentito parlare della conversazione di ieri tra lei e il ministro dell’Interno: posso dirle che vi disapprovo tutti e due?»

«Non poteva finire in altro modo,» rispose Kingsley.

«Forse, ma tuttavia debbo deplorarvi. Io disapprovo le discussioni in cui le due parti non sanno giungere a un compromesso.»

«Non è difficile indovinare qual è il suo mestiere, signor Parkinson.»

«Può darsi benissimo, ma per essere franco mi meraviglio che un individuo della sua posizione possa aver assunto un atteggiamento così intransigente.»

«Mi piacerebbe sapere quale compromesso mi restava aperto.»

«Son venuto da lei proprio per dirle questo. Mi permetta di essere il primo a compromettermi, giusto per farle vedere come si fa. A proposito, lei ha parlato di tè. Vogliamo mettere la teiera al fuoco? Mi vengono in mente i vecchi tempi di Oxford e ne provo nostalgia. Voi dell’Università non sapete davvero quanto siete fortunati.»

«Allude agli aiuti finanziari che il governo concede alle Università?» borbottò Kingsley.