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«Che cosa strana, Geoff. Non ci sono nuvole.»

«Forse si tratta di particelle di ghiaccio ad alto livello.»

«Ma non con questo calore.»

«È vero, non mi pare possibile.»

«E poi ha uno strano colore giallo, che non può essere provocato da cristalli di ghiaccio,» aggiunse Jensen.

«Be’, non c’è altro da fare, bisogna guardare con i propri occhi. Andiamo al telescopio.»

Si diressero verso la cupola dov’era allogato lo Schmidt, e Marlowe diresse il sei pollici verso la Luna.

«Dio mio,» esclamò, «bolle!»

Guardarono anche Emerson e Jensen, poi Marlowe disse:

«È meglio andare a chiamare gli altri. È uno spettacolo che bisogna vedere. Voglio fotografarlo con lo Schmidt.»

Insieme al gruppo che correva verso il telescopio, dopo la chiamata urgente di Emerson e di Jensen, c’era anche Ann Halsey. Quando giunse il suo turno di mettere l’occhio al telescopio, Ann non sapeva affatto cosa avrebbe veduto. Aveva un’idea sommaria della superficie grigia, scavata, sterile della Luna, ma non ne conosceva la topografia nei particolari. E non comprendeva cosa significassero le frasi eccitate che si scambiavano gli astronomi. Fu quasi per un obbligo morale che mise l’occhio al telescopio. Ma quando ebbe raggiustato il fuoco, le si rivelò improvvisamente un mondo fantastico. La Luna era di un colore giallo limone. I particolari di solito così netti erano offuscati da una nuvola gigantesca che ne copriva il disco e si estendeva oltre i margini. La Nuvola era formata da particelle lanciate dalle zone più scure. Di tanto in tanto da queste zone emergevano nuove onde di particelle che si increspavano e vibravano in modo stupefacente.

«Avanti, Ann, non ci dormire. Vorremmo dargli un’altra occhiata prima che finisca la notte,» disse qualcuno, ed ella a malincuore si staccò dallo strumento.

«Cosa significa, Chris?» chiese Ann a Kingsley mentre tornavano al rifugio.

«Ricordi quel che dicevano l’altro giorno, che la Nuvola rallenta, man mano che si avvicina al Sole?»

«Ricordo che tutti se ne preoccupavano.»

«Ebbene, la Nuvola rallenta emettendo masse gassose ad altissima velocità. Non sappiamo perchè e come faccia questo, ma le osservazioni di Marlborough e di Leicester dimostrano con certezza che le cose stanno proprio così.»

«Non mi dirai che una di queste masse gassose ha colpito la Luna?»

«La penso esattamente così. Quelle zone oscure sono enormi tempeste di polvere, alte forse due o tre miglia. L’urto del gas ad alta velocità solleva la polvere a centinaia di miglia sopra la superficie della Luna.»

«E non può darsi che una di queste massa colpisca anche noi?»

«Non credevo che ci fosse questa possibilità. La Terra è un bersaglio molto piccolo, ma la Luna è anche più piccola, eppure una di quelle massa ha colpito proprio la Luna.»

«E che succederebbe se…?»

«Se colpisse noi? Non ci voglio pensare. Ci stiamo già preoccupando abbastanza di quel che può accadere se la Nuvola ci investe a una velocità di circa 50 chilometri al secondo. Ma sarebbe terribile se fossimo colpiti alla velocità di una di quelle masse: credo che si tratti di un migliaio di chilometri al secondo. Suppongo che tutta l’atmosfera terrestre sarebbe semplicemente spazzata via nello spazio, come sta succedendo alla polvere della Luna.»

«C’è una cosa che non riesco a comprendere in te, Chris. Come fai a prendertela con la politica e coi politici, sapendo tutte queste cose? Non credi che la politica, al confronto, sia un’inutile sciocchezza?»

«Ma, cara Ann, se io passassi tutto il mio tempo a pensare alla situazione reale, entro un paio di giorni diventerei pazzo. Qualcun altro impazzirebbe con me. Altri ancora si darebbero all’alcool. Il mio modo di evadere è quello di prendermela coi politici. Il vecchio Parkinson sa bene che per noi la polemica è una specie di gioco. Ma, per dirtela chiaramente, d’ora in poi è questione di ore: poi, chissà…»

La ragazza gli si avvicinò.

«Ma forse dovrei dirtelo in una maniera più poetica,» sussurrò.

«Vieni, baciami, mia cara, chè la vita ci abbandona.»

7

L’arrivo

Dopo la fine di luglio al rifugio di Nortonstowe si stabilì un servizio di guardia notturno. C’era anche Joe Stoddard perchè ormai, naturalmente, era venuto meno il suo lavoro di giardiniere. Il giardinaggio non era un tipo di attività possibile, con quel clima tropicale.

Il caso volle che il turno di Joe capitasse la notte del 27 agosto. Non accadde nulla di drammatico. La mattina dopo alle 7,30 Joe bussò, esitante, alla porta della camera di Kingsley. La sera prima Kingsley insieme a un bel gruppetto di degni compari aveva fatto baldoria. Perciò in un primo momento non capì neppure che Joe cercava di dirgli qualcosa. Poi, a poco a poco, si rese conto che il bonario giardiniere aveva un aspetto insolitamente solenne.

«Non c’è, signore, non c’è.»

«Cosa non c’è? Per amor del cielo, vai a prendermi una tazza di tè. Ho una bocca che mi sembra il fondo della gabbia di un pappagallo.»

«Tazza di tè, signore,» Joe esitava, ma restava incollato lì, come un allocco. «Sì, signore. Matlei mi ha detto che io devo riferire, se succede qualcosa di insolito. E le assicuro che non c’è.»

«Guarda Joe, io ho tanta stima di te, ma ti dico con tutta serietà, che son pronto a sbudellarti se non mi dici cos’è che non c’è.»

Kingsley parlava lentamente, ad alta voce: «Cosa non c’è?»

«Il giorno, signore! Non c’è il sole!»

Kingsley afferrò l’orologio. Erano le 7,42 del mattino: in agosto l’alba è spuntata da un pezzo a quell’ora. Di corsa uscì dal rifugio e si guardò intorno. Era buio pesto, senza nemmeno la luce delle stelle, che non poteva trapassare la spessa coltre delle nuvole. La luce del mondo era scomparsa e si avvertiva tutto intorno un terrore primitivo e irragionevole.

In Inghilterra e in tutti i paesi occidentali quei colpo fu attutito dall’oscurità notturna: infatti per questi paesi la luce del Sole si estinse durante le ore notturne. È cosa normale che a sera la luce scompaia lentamente. Solo che otto ore dopo non ci fu alba. La muraglia della Nuvola aveva raggiunto il Sole durante le ore della notte.

Ma gli abitatori dell’emisfero orientale provarono in pieno l’orrore della luce scomparsa. Per loro quell’oscurità completa, assoluta, cadde durante quello che avrebbe dovuto essere il giorno. In Australia, per esempio, il cielo cominciò a oscurarsi a mezzogiorno, e alle tre non si vedeva il più fioco lumicino, tranne che là dove qualcuno aveva provveduto ad accendere la luce artificiale. In parecchie grandi città del mondo ci furono scene selvagge e tremende.

Per tre giorni la Terra fu un mondo nero, fatta eccezione per quelle piccole isole umane in possesso di una autonomia tecnologica bastevole a provvedere alla illuminazione. Los Angeles e le altre città americane vissero sotto la luce artificiale di milioni di lampade elettriche. Ma ciò non bastò a difendere gli americani dal terrore che prese alla gola il resto dell’umanità. Si sarebbe detto che gli americani non avessero tempo e voglia di apprezzare la propria situazione, perchè erano fissi ai televisori, aspettando una parola delle autorità, che non potevano intendere e controllare il progresso degli eventi.

Dopo tre giorni accaddero due cose. Ricomparve la luce nel cielo diurno e cominciò a cadere la pioggia. La luce dapprima fu molto tenue, ma crebbe giorno per giorno fino a raggiungere un’intensità a mezza strada fra la luminosità della Luna e quella del Sole. Non sappiamo se la luce abbia alleviato il disagio psicologico che ovunque prese l’uomo: quella luce infatti era di un color rosso cupo, e non c’era dubbio, non era luce naturale.

Da principio la pioggia fu calda, poi la temperatura cominciò a calare, lentamente ma continuamente. Enormi le precipitazioni. L’aria era stata così calda e umida da accumulare una grandissima quantità di vapore acqueo. Cessando le radiazioni solari e calando la temperatura, questo vapore acqueo si riversò sulla Terra sotto forma di pioggia. I fiumi crebbero rapidamente rompendo gli argini, distruggendo le comunicazioni, privando della casa intere moltitudini. Difficile immaginare, dopo tante settimane di caldo, il destino di quei milioni di persone, in tutto il mondo, che furon sorprese dalla furia delle acque. E sempre su di loro quella mezza luce, che non aveva nulla di terreno, e che rifletteva il suo rosso cupo sulla terra inondata.