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«C’era un rischio: che lei diventasse dittatore del mondo.»

«No, giovanotto! Io non ho la stoffa del dittatore. In una cosa sola posso sembrare autoritario: non mi piacciono gli imbecilli. Ho l’aspetto di un dittatore?»

«Sì, Chris,» disse Marlowe. «Non ai nostri occhi,» aggiunse subito in fretta, per timore di vederlo scoppiare, «ma a quelli di Washington forse sì. Quando un uomo comincia a parlare trattandoli da scolaretti deficienti, quando sembra che quest’uomo possieda una potenza fisica sconosciuta, ebbene non puoi meravigliarti se concludono in quel modo.»

«E c’è anche un altro motivo per cui non avrebbero potuto giungere ad altra conclusione,» aggiunse Parkinson. «Le voglio raccontare la storia della mia vita. Io ho frequentato le scuole migliori, pubbliche e private. Queste scuole di solito incoraggiano i ragazzi più svegli a studiare i classici, e questo — non starebbe a me dirlo — fu il caso mio. Ho vinto una borsa di studio a Oxford, dove mi sono distinto, e all’età di ventun anni mi son trovato la testa piena di un sapere che non si può vendere, o che almeno si può vendere solo con grande abilità, e io non sono mai stato molto abile. Perciò sono entrato nella carriera statale, che a poco a poco mi ha portato alla posizione che occupo ora. Morale: se sono entrato in politica l’ho fatto per caso, non per vocazione. E questo accade anche ad altri — non sono un caso unico e non voglio esserlo. Ma noi, gente capitata lì per sbaglio, siamo un’esigua minoranza e di solito non ci danno gli incarichi più importanti. I politici, in grande maggioranza, sono quello che sono perchè vogliono esserlo, perchè a loro piace la luce della ribalta, perchè a loro piace l’idea di governare le massa.»

«Ma questa è una confessione, Parkinson.»

«Capisce quel che voglio concludere?»

«Comincio a intravederlo. Lei vuol dire che la forma mentis di un dirigente politico è tale che non sogna nemmeno la possibilità che a qualcuno dispiaccia l’idea di poter diventare un dittatore.»

«Sì, lo capisco anch’io, Chris,» fece Leicester sogghignando. «Arraffare, ammazzare, senza rispetti umani. C’è proprio da esser contenti.»

«Comincio a vedere un po’ più chiaro, Parkinson.» Kingsley passeggiava su e giù parlando. «Ma ancora non capisco una cosa: perchè la prospettiva di aver noi come dittatori del mondo — prospettiva ridicola, lo sappiamo benissimo — può esser sembrata peggiore di quella terribile che hanno scelto?»

«Per Kremlino perdere potere cosa peggiore,» disse Alexis.

«Alexis come al solito condensa tutto,» rispose Parkinson. «Perdere il potere definitivamente è la prospettiva peggiore per un uomo politico; è una prospettiva che mette tutte le altre in ombra.»

«Parkinson, lei mi sorprende. Davvero. Sa il cielo se ho scarsa stima dei politici, ma non riesco a concepire una persona così meschina da mettere le proprie ambizioni personali al di sopra del destino della specie umana.»

«Oh, caro Kingsley, come capisce poco i suoi simili! Ricorda la frase della Bibbia: <Non sappia la mano destra quello che fa la sinistra.> Ha mai capito che cosa significa? Significa che bisogna tenere le idee in tanti piccoli compartimenti stagni, senza permettere che entrino in rapporto fra di loro e che si contraddicano. Significa che si può andare in chiesa una volta la settimana e abbandonarsi al peccato per gli altri sei giorni. Non creda che qualcuno veda in quei razzi la potenziale distruzione dell’umanità. È più probabile l’inverso: un bel colpo all’invasore che ha già distrutto intere comunità e portato le nazioni più forti vicino al disastro. È la risposta altezzosa delle democrazie alle minacce di un tiranno potenziale. Oh, non scherzo, parlo sul serio. E non dimentichi quel che ha detto Leicester dei rispetti umani.»

«Ma è assolutamente ridicolo.»

«Per noi sì, per loro no. È troppo facile giudicare quel che dicono gli altri secondo la propria mentalità.»

«Le dirò sinceramente, Parkinson. Credo che questo affare l’abbia sconvolto. Non sono poi quello che lei crede. C’è un fatto che lo prova. Come ha saputo di questi razzi? Da Londra, vero?»

«Sì, da Londra.»

«Allora, almeno a Londra c’è ancora un po’ di rispetto umano.»

«Mi dispiace di disilluderla, Kingsley. È vero che non posso dimostrare in pieno quel che sostengo, ma tuttavia questa informazione il governo britannico non ce l’avrebbe mai passata, se avesse potuto accordarsi con gli Stati Uniti e con l’Unione Sovietica. Il fatto è che non abbiamo razzi da lanciare. Forse capirà che il nostro paese avrebbe a soffrire meno degli altri, se lei per ipotesi diventasse davvero padrone del mondo. Non so come lei la pensi, ma la Gran Bretagna sta precipitando giù per la scala delle potenze mondiali. Forse al governo britannico non sarebbe dispiaciuto di vedere gli Stati Uniti, Russia, Cina, Germania e tutti gli altri messi a tacere da un gruppetto di uomini domiciliati in Gran Bretagna. Forse credono di poter ricevere maggior prestigio dalla vostra — o, se preferite, dalla nostra — gloria. E forse credono che, arrivati al dunque, sia possibile cacciar lei nei guai e rimaner loro i veri padroni della situazione.»

«Le parrà strano, Parkinson, ma qualche volta ho creduto di essere il re dei cinici.»

Parkinson sogghignò:

«Una volta tanto, caro Kingsley, lasci che le si parli con quella franchezza a cui da un pezzo avrebbe dovuto essere abituato. Come cinico lei non vale due soldi. In fondo, dico sul serio, lei è un idealista, un sognatore.»

Intervenne la voce di Marlowe.

«Quando avrete finito questa autoanalisi, non vi pare che dovremmo riflettere sul da farsi?»

«Come commedia dì Cecov,» brontolò Alexandrov.

«Ma interessante, e piuttosto acuta,» disse McNeil.

«Oh, non è difficile decidere sul da farsi, Geoff. Dobbiamo chiamare la Nuvola e informarla. Da ogni punto di vista, è l’unica cosa da fare.»

«Ne sei proprio convinto, Chris»

«Certo, impossibile dubitarne. Eccovi il primo motivo, il più egoistico. Se la avvertiamo, la Nuvola non sarà danneggiata, e in questo modo eviteremo il pericolo che ci faccia fuori. Ma nonostante quel che ha detto Parkinson, credo che farei la stessa cosa anche se tale motivo non ci fosse. Può suonare strano, può darsi che la parola non esprima veramente quel che voglio dire, ma credo che sia umano fare così. Ma è una cosa questa che dovremmo decidere di comune accordo, e, se non siamo d’accordo, a maggioranza. Forse ne potremmo parlare per ore, ma credo che ciascuno di noi ci abbia già riflettuto, in queste ultime ore. E proviamo a fare questa votazione. Leicester?»

«Sì.»

«Alexandrov?»

«Avvertire bastardo. Taglieranno gola lo stesso.»

«Marlowe?»

«D’accordo.»

«McNeil?»

«Sì.»

«Parkinson?»

«D’accordo.»

«Parkinson, per pura curiosità, e a rischio di recitare un altro po’ di Cecov, vuol dirmi perchè è d’accordo? Dal primo giorno che ci conoscemmo fino a stamani ho sempre avuto l’impressione che fra noi due ci fosse la staccionata.»

«È vero, perchè avevo un compito da svolgere, e l’ho fatto con la maggiore lealtà possibile. Ma oggi mi sento sciolto da quell’impegno, perchè quell’impegno è soverchiato da un altro più grande e più profondo. Forse sono destinato anch’io a diventare un idealista, un sognatore, ma il caso vuole che mi senta d’accordo con tutto ciò che lei ha detto sul nostro dovere verso la specie umana. E son d’accordo anche su ciò che lei ha detto sull’umanità della nostra azione.»

«Perciò siamo tutti d’accordo: chiameremo la Nuvola e la informeremo dell’esistenza di questi razzi.»

«Non credi che dovremmo consultare anche gli altri?» chiese Marlowe.

Kingsley rispose.

«Può sembrare autoritario da parte mia rispondere di no, Geoff, ma io sarei contrario a un allargamento di questa discussione. Per prima cosa credo che se consultassimo tutti e si dovesse giungere a una decisione contraria, io non l’accetterei — ed ecco che salta fuori davvero il dittatore. Poi c’è anche l’osservazione di Alexis, che finiremo assai probabilmente con la gola tagliata. Ormai ci siamo messi contro tutte le autorità riconosciute; purtroppo lo abbiamo fatto in un modo soltanto comico. Se ci dovessero portare in tribunale, i giudici si metterebbero a ridere e ci rimanderebbero a casa. Ma questa volta è un altro paio di maniche. Se trasmettiamo alla Nuvola una informazione di tale importanza, è chiaro che ci assumiamo una responsabilità gravissima, ed io non voglio che troppa gente sia chiamata ad assumersi questa responsabilità. Per esempio non vorrei che anche Ann dovesse averne colpa.»